Compagne/i, e non sono comunisti

Non sono per l’orso morto o solo accantonato. Ma su qualcosa bisogna pur dichiararsi: ed è così ovvio, che mi viene da ridere di me stesso mentre scrivo. Anche se c’è poco da ridere. Stiamo (=stanno) sistemando la Chiesa. Non dico dove né come. E qui non mi dichiaro, perché sento che le ferite di alcuni richiedono tutto il tempo di cicatrizzarsi. [Però: convocato in udienza il 13 settembre 1927, lo si vide uscire dall’ufficio del Papa senza zucchetto né anello né croce pettorale: era entrato cardinale e ne era uscito prete (infatti non aveva mai ricevuto la consacrazione episcopale, non necessaria per i Principi della Chiesa finché questa disciplina fu riformata nel 1962, da quel santo di papa Giovanni che purtroppo ha così dato il là a una pletora di vescovi senza chiesa); e pensare che fu proprio lui il protodiacono che incoronò lo stesso Pio XI nel 1922. Il padre Louis Billot si ritirò a vita privata nel noviziato di Galloro, dove morì di polmonite. Naturalmente non c’è da aspettarsi che qualcosa del genere possa avvenire per qualche odierno cardinale. Anche se …]. Di solito mi sforzo di seguire la regola di non oltraggiare il silenzio su ogni cosa. Ma su qualcosa non riesco più a tacere. Se ne va della credibilità dell’immagine che la Chiesa dà di se stessa. Secondo me. O esagero? come direbbero i soliti laudatori del tempo presente per il “mondo che ormai è cambiato, te ne devi rendere conto” (e dicendomelo non si riferiscono solo a cellulari o smartphone con relativi scambi di piatti in tempo reale seppure in modo virtuale). Che se la loro propensione a giustificare avesse la saggezza del papa che dice “non essere questa l’epoca dei cambiamenti, ma il cambio di un’epoca” io saprei ancor più convincermi che il mio disagio è giustificatissimo. Un cambio di epoca? Dunque un cambio di sguardo e di comportamenti da certificare. In breve: non mi sono mai augurato di essere, in quest’ultimo decennio, nei panni di parroci che debbono celebrare i funerali di chi ha un compagno, una compagna, al posto di un marito o di una moglie, nei banchi accanto alla bara. E non perché non possa darsi in pura coscienza. Ma perché occorre comporre nella verità di quel che si vive: poiché chi sta lì sa che nella “teoria” della chiesa questo non si dà. Ora. E dunque come può un prete dire senza dire, annunciando la Parola del Signore? che potrebbe sì collimare con il vissuto del defunto, ma non con quello che lì si rappresenta secondo i dettami ecclesiastici? Una Chiesa che si attorciglia su se stessa per permettere o no di accostarsi all’Eucarestia a chi si è dato a un secondo matrimonio; e poi celebra con monsignori romani funerali di chi si è fatto almeno tre “compagne” e a volte senza neppure il sigillo di un riconoscimento civile? Botteghe teologiche di morale da rifare? Certamente, e presto. Per non condannare all’ipocrisia tanti poveri preti di campagna e no, richiesti di celebrazioni che stridono, queste sì, con la dignità umana: e di chi viene funerato e di chi presiede quel funerale. Forse l’ho già scritto, ma qui può esemplificare. A me è successo di celebrare per un suicida ottantenne: l’accenno alla misericordia del Signore che accoglie l’imperscrutabile umano, e la rabbia di nipoti “che non si doveva dire”. A parte che la cosa era risaputa da tutti quelli che stavano lì, ma la mia dignità nel voler dire parole vere? e la dignità di quel defunto riconosciuto in una fragilità che rendeva ancor più pregevole una vita stimabile? Che Chiesa è quella che non sapesse finalmente dire una parola nuova sul nuovo modo di concepire l’esistenza di persone che pur vogliono vivere di fede cristiana? ed esserne comunque riconosciuti pienamente?


dieci anni

Non sapendo più a quale santo appellarsi – santo del loro comparto, e cioè quegli anacoluti spariti persino dal calendario liturgico, e tuttavia tenuti in serbo nei loro messalini! – adesso invocano il silenzio. Ci hanno provato fin dall’inizio, avendo contato in piazza san Pietro ben ventidue persone in meno all’ascolto dell’Angelus rispetto al loro papa, che certo era il precedente; e hanno continuato con quella serie di invettive in tono accorato ma giudicante in maniera irrevocabile, aiutati da cardinali imporporati per nulla dalla vergogna; e non si rassegneranno, statene certi fino alla fine di questo pontificato. E dunque, ora sono arrivati a prendersela con chi racconta i dieci anni con gioia. Come vi permettete? Già fin dall’inizio, presentandosi vestito solo della talare, quel 13 del 3 del 2013 (tanti 3? Possibile che non si siano ancora afferrati alla numerologia per confortarsi della loro ripulsa per questo papa? Che tra l’altro si prende anche lo sfizio arrogante di darsi il nome di Francesco?).  Che cosa stava rifiutando? Forse l’inutile, direste voi? Ma non diteglielo, per carità cristiana: stanno ancora oggi leccandosi le ferite, come non si vergognano di scrivere in questi giorni.  Neanche un dubbio che potesse essere volontà del Signore quella scelta. E dicono di credere allo Spirito Santo: ma solo se lo Spirito fa quanto loro si aspettano. Così, più o meno apertamente, aderiscono a quel sede-vacantismo che per i credenti dovrebbe risultare del tutto improbabile per una comprensione autentica della chiesa cattolica. Ma tant’è: benedetto sia papa Benedetto nei secoli dei secoli; ma quello sgarbo del lasciare non ce lo doveva infilare, se l’eredità doveva essere di questo papa. Che chiama alla gioia del Vangelo? che bada alle persone più che alle rigidità morali? che s’imbarca in invettive contro il vissuto di tanti credenti maldisposti? Già: parole che sicuramente gli vengono anche dalla pancia, e sembrano non essere molto educate a quello stile sommesso, prelatizio appunto, proprio dei palazzi apostolici. Ma lo si capisca – è piemontese nelle radici: li vedete i simbolici baffi alla Vittorio Emanuele secondo?; trapiantato in Argentina, e i lazo nella rincorsa delle bistecche che saranno? – vive in un albergo di contenute stelle, abitato dai rumori dei troller di chi va e di chi viene, di chi vive la quotidianità in gioie e conflitti, domande e dolori.  Ci è stato dato un papa autentico, un uomo con difetti e con tanto pelo sullo stomaco. Ma non può essere una buona definizione per i detrattori: un papa così? ma quando mai. Eppure sono dieci anni che vive nel servizio petrino: per noi e per nostra salvezza intercedendo al Padre: sia, solitario, nel buio piovoso di quella piazza piena di assenze in quella notte carica di tragedie, sia nelle stanze segrete del suo ministero orante. Francesco osa essere un servo del Signore, un cristiano obbediente al Vangelo, un esperto di fragilità umane, un uomo che non ha paura dei potenti. Ci è stato dato: prendetelo e ringraziate.


per non parlare di …

Per non parlare della guerra, e di Zelenski che vuole sempre più diventare come Golia, non accontentandosi della fionda; e senza diventare io putiniano, Dio ce ne scampi e liberi. Per non parlare dunque dei trecentomila morti, sommati a tutt’oggi nelle due parti: che, al confronto dei cinquantamila del terremoto, gridano vendetta a un Dio che non è né ortodosso né comunque cristiano. Per non parlare della siccità, della mancanza dell’acqua dal cielo, che da meteopatico soffrivo già otto mesi fa; e dunque per non imprecare contro i sudditi acritici del sole che non mi hanno seguito nella mia voglia di nuove rogazioni ad petendam pluviam. Per non parlare di, scrivo del Nicaragua. E certo per raccontare di quel vescovo imprigionato per essersi rifiutato di andare in esilio con 222 connazionali imbarcati su un aereo, almeno non per essere precipitati nell’oceano, come già successo nelle dittature di quelle parti, ma per essere scaricati in altra America che nemmeno gli dà certezza di patria. Le cronache dicono, in rapida sintesi, di un processo contro cristiani, preti laici e quel vescovo, che da quattro anni denunciano; e la condanna per tutti, e l’espulsione dal paese; e i ventisei anni di carcere per il vescovo Rolando, a seguire il rifiuto di accettare la “grazia” dell’esilio. Un vescovo che preferisce rimanere a testimoniare la sua resistenza a quel dittatore che fin dagli anni settanta sta lì a “liberare” un popolo prima con derive sovietizzanti e poi con un populismo senza democrazia.  Ma se l’occasione è la resistenza di quel vescovo, parlo del Nicaragua per altro. Che poi altro non è. E dico di un mio compagno di messa che finisce nella prima rivoluzione di là: volontario a prestare azione e sostegno ai Contras, guerriglieri contro l’oppressione di tal Somoza, satrapo sanguinario. Uno dei tanti preti, l’Ubaldo, partito da qui per unirsi alla Chiesa di là, partecipe delle magnifiche sorti e progressive dell’avvenire. Certo una delusione: qualche anno, e vedere passare da una dittatura a un’altra. Il ritorno degli esuli è triste. E lui, quel mio compagno di studi e di ordinazione, segaligno nel fisico a raccontarne l’animo, che ora guarda alla persecuzione di una Chiesa, la cattolica, impedita, ed è di questi giorni, di fare processioni nei venerdì di quaresima; e tanto più nel venerdì santo, quando da sempre per quei popoli il Cristo morto è icona della loro voglia di resurrezione fin da questa terra. L’amaro dei giorni: la prepotenza che ti illude, la violenza che uccide. Da oriente a occidente, da quest’Europa antica per fede all’America giovane ma già rinsecchita.  Per non parlare di, si finisce per parlarne comunque. Abbiano il nome di Putin o di Ortega, dentro o fuori i propri confini – là dove non si accetta che “sì, i frutti della terra sono di tutti, ma la terra non è di nessuno” – si ripete lo stesso lugubre suono di armi o di catene. Una umanità che s’imprigiona. Ce n’è per pregare.     24 febbraio 2023
E per non farci mancare nulla. In gran Bretagna come qui da noi, l’appartenenza alla Chiesa conferiva uno status. Adesso si è derisi come bigotti scrive il Times, in una nazione post-religiosa, dove il numero dei non-credenti ha superato il numero dei credenti di tutte le fedi religiose messe insieme. Dio è morto. Per tanti.


divisivo o evangelico?

Qualche anno fa, in risposta a uno scritto di tal Socci (che nelle cronache future finirà a piè di pagina in una nota poco encomiastica) ,sapete, è quello che si è attaccato a una prima sconsiderata soffiata di un cardinale reduce dal Conclave, per dire che lui, l’eletto, non è Francesco, non è papa – che già scriverlo ti dovrebbe almeno farti chiedere ma chi ti sei? – solo per aver ripetuto, i conclavisti, una votazione a seguito di un conteggio errato; insomma volevo scrivere un pamphlet in risposta appunto intitolandolo È Francesco. Non ne feci nulla, preferendo, da qui, siglare note man mano che la marea, e si sentiva che sarebbe cresciuta, avesse portato a riva le proprie scelleratezze. Che è appunto quello cui stiamo assistendo: e non più con ciellini sfiancati o vaticanisti infastiditi (quel signore che il giorno dopo dei figli che si fanno responsabilmente, e lui che ne aveva otto o nove si è offeso: perché?!) ma con cardinali che parlano e scrivono in nome di una permalosità che non ti riesce facile permettergli. Anche se umani, come tenta di scusarli qualcuno dei buoni. Lettere post-morte, libri, interviste: il rosso della porpora messogli addosso per spronarli al martirio, e lo usano come il drappo in un’arena di tori. È vero: un papa così non è facile. Solo quattro anni dopo la sua elezione, esce un documento negli Usa e poi in Europa che lo accusa di eresia: tutti di estrazione lefebvriana, preti teologi giornalisti proclamano che ha dato scandalo al mondo in materia di fede e di morale con la Amoris laetitia e altri scritti. L’intento è chiaramente strumentale: si inchinano alla fine del documento al sacro bacio chiedendo benedizione, e lo intitolano Correzione fraterna. Ma il puzzo di ipocrisia è troppo forte: che esca giusto quattro giorni dopo che Francesco ha dato il benservito al cardinale prefetto della congregazione della fede che guarda caso comincia a tradurre i suoi sussurri in aperte scontente valutazioni, e che ora pubblica le sue riserve sul papato …  Avete sentito quel che dice e scrive: grave dolorosa è la ferita inflitta agli amanti del latino, con le restrizioni imposte da Francesco a scorno dei suoi predecessori che l’avevano permesso. Naturalmente al cardinale non viene da chiedersi il perché l’hanno permesso, e a qual fine (anche se a Benedetto, lo si deve riconoscere, quelle messe in latino piacevano proprio); e neppure ha letto (o non ha letto? o non ha capito?) i motivi esposti in una lettera ad hoc: lì non era più questione di latino, ma di fedeltà alla Chiesa che si è pronunciata in Concilio. Non basta: ma se sono ammessi altri riti, perché non quello voluto dai tradizionalisti? dice. Che è come dire agli ambrosiani che sono eretici o scismatici o quel che sono come è indubbio ormai per i lefebvriani. Povero cardinale a cui qualche amico dovrebbe dire: adesso taci, per il tuo bene, per la maggior gloria di Dio e la miglior salute tua. Sì, Francesco non è un papa facile: anche lui umano. Per accelerare quell’Ecclesia semper reformanda non è stato sul passo prelatizio che ha scambiato la prudenza con gli standard di sempre. E neppure ha tenuto in gran conto la difficoltà di tanti preti nel tenere il suo passo pastorale, spirituale. Modificare abitudini? Persino il suo stare a Santa Marta invece che nel Palazzo apostolico, non è facilmente digeribile per i tanti che pensano la dignità come una altezza. Nonostante si sia creato un Consiglio di nove cardinali (e anche lì dentro un qualche Giuda che scrive lettere da pubblicare dopo la propria morte – ed è stata pubblicata, e definisce questo papato un disastro) l’impressione dei più è che stia governando da solo. Ma forse questa è la condanna di chi si vuol mettere davanti per indicare un cammino difficile. Non mi inchino al sacro anello – guarda che non si usa più! – ma chiedo benedizione a lui cui si è un poco spento quel sorriso degli inizi che, ho scritto m’era piaciuto tanto.


Cose tante

Cose tante in questo volger dell’anno. Tra luci nevrotiche, ma non solo per vero, la morte di un ex-papa: della cui grandezza ho scritto al tempo della sua rinuncia. Per cui, avverto, quel che seguirà non vorrà diminuire, ma semmai più sottolineare lo specifico che è stata la sua presenza nella Chiesa. Se fate notare a qualcuno il bellissimo tempo uggioso, in cui nebbia e pioviggine hanno segnato alcune poche giornate, vi vedrete guardati male: gli amanti del sole anche se pallido, loro lo preferiscono comunque; a scapito di quel gelo che ristorerebbe terreni e corpi, e che manca a quest’inverno caldo oltre ogni misura di benessere. Anche se – il rovescio della medaglia – ci si sta augurando che continui a beneficio delle bollette del gas: per ricordare che di ogni cosa le scuole di pensiero sono sempre almeno due, se non quattro. Tante cose: per esempio scoprire che Benedetto ha avuto una sua corrispondenza con quell’odi-freddi cui io debbo una antipatia viscerale, da quando l’ho scoperto ateo professo di basso bordo, oltre che anticlericale da quando ha visto difficoltosa la strada a diventar papa e si è dimesso da chierichetto. (Ricompongo suoi irridenti appunti: ma solo per rammentare a quelli che rinfacciavano a Bergoglio la sua corrispondenza con Scalfari, che le intese con i “nemici” non sono accettabili per qualcuno e non per altri: e almeno queste son fatte da eminenti ecclesiastici. A differenza, ma lo devo scrivere?, di altri ecclesiastici che le loro intese le hanno con chi commercia sugli scandali!). Cose tante: anche di segretari beneficiati dell’episcopato (manco fosse una medaglia e non la successione apostolica!) e poi mostrano chiaramente di non esserne all’altezza, nonostante si vestano ancora oggi con pizzi vari. Chi? l’uno che a funerali non avvenuti del suo ex-capo lancia una coltellata a papa Francesco per la risoluzione che finalmente richiama all’unità della lex orandi che segna la lex credendi: che altro può fare un papa che si accorge di chiare deviazioni, se non richiamare che si crede come si prega? E lo dice in linguaggio ecclesialese, ma sarebbe più chiaro anche per il tedesco se avesse scritto: non è questione di latino sì o di latino no, il fatto è che voi non accettate il Concilio e dunque il sentire della Chiesa di Cristo. L’uno oggi a richiamare quell’altro: che invece se l’è presa con Benedetto il giorno delle sue dimissioni: dicendo che il suo Woytila non sarebbe mai sceso dalla croce: con quale finezza, l’uno e l’altro, ti chiedi; non hanno imparato dalla vicinanza a due Grandi? E sono vescovi, anzi arcivescovo uno e cardinale l’altro: e poi non sbotti in un ma che Chiesa è? E tuttavia starci dentro perché la si ama nelle sue pochezze, sapendo comunque la ricchezza che ti dà: in libertà – molto più di quella che il mondo pensa; e in verità – sull’essenziale che tocca alla vita. Farsi domande inutili è fondamentale: ad esempio sulle teorie dei quanti e sull’esistenza di Dio. Ma anche sulle proprie capacità di sopportazione del difficile che gli altri si inventano? perché no? Basta solo alla fine avvertirne il limite e saperci sorridere sopra.  5 gennaio 2023

E per non farci mancare nulla: pubblicità televisiva, le foto accostate della suora canterina, prima e dopo, con la scritta: mi sono potuta truccare. Il mio gusto estetico dice: molto meglio prima, e non è deformazione professionale.


sul treno

La grande luna sembra incombere sugli alberi della collina, ma dolcemente, con quel suo colore giallooro; un invito a farsi toccare; e basterebbe un saltello, ma ce lo si dice nei sogni, non in questa sera in cui splende, prima di nascondersi – narrano – dietro giornate di pioggia. È l’alternarsi delle storie che viviamo, la cruda indifferenza dentro cui nasconderemo il nostro natale: le donne dell’Iran? la guerra in Ucraina? Per un po’ sì, e poi la vita deve andare avanti, è sempre stato così, un gira-e-volta, un assestarsi dentro accomodamenti reali, e linguistici. Come il carico residuo inventato per disperati da non far scendere sul sacro suolo italico, da un fresco ministro imbesuito dalla carica; o come quell’utilizzatore finale riferito alla strage delle donzelle (strage si fa per dire, se si ha senso morale di rispetto della dignità) proprio di un avvocato in difesa dell’indifendibile. Cose meno gravi, e tuttavia indice di un passaggio d’epoca che risale dal basso e a poco a poco tracimerà: in che cosa? in una apocalisse di distruzione, o, come è nel nome, nell’apocalisse di rivelazione di un mondo diverso, possibile e carico di speranze vere? Non saprei dire se proprio c’entra, ma è un natale come altri: da adolescente le mie vacanze natalizie si svolgevano tra Milano e Senago, case di zii e cugini da ritrovare, di anno in anno. A Senago – un paesotto del Gallaratese – il profumo delle serre, l’umido della terra che copriva la semente dei fiori in vaso; a Milano l’eco della metropoli – con l’odore forte di nebbia e dei tram. Ed è lì che ho scoperto il Corriere, e ho scoperto Buzzati con il suo elzeviro che ha accompagnato più di tante sirene odissee il mio discernimento nella vita. Ne ho già scritto: descriveva quel treno che non fermava mai, diretto dove? Boh. Quelle due colonnine a sinistra della terza pagina – c’era ancora la terza pagina, nella terza dei quotidiani – a richiamare oltre le notizie il succo della vita. E da allora (non c’è piantina più incorruttibile di quella adolescenziale) mi sono sentito su quel treno senza meta apparentemente definita. In viaggio, cogliendo sul treno, e cioè nell’andare, relazioni bellezze e sbagli. La mia vita. E la vorrei, in questo natale, più spalancata su tutte le ingiustizie, come quella luna dorata su nel cielo di tutti.


Lavacri.

Lavacri – … e a proposito di esami di coscienza in morte di cardinali proposto dal papa: quel linguaggio sardo-brigantesco di un già sostituto di Stato vaticano con parenti ed amici ripropone l’attualità evangelica del lasciare che i morti seppelliscano i loro morti. E invece, vien fuori che anche i cardinali tengono famiglia. Non è una novità nella storia della Chiesa, ma pensavo che dal virus del nepotismo, questo almeno, si fosse ormai vaccinati.

Fruscio del vento tra gli alberi, in queste mattinate assolate. Proiezioni e ricordi, sospesi tra ciò che ci si aspetta dal mese di novembre e ciò che si vive: senza piogge autunnali, senza nebbie agli irti colli, e dunque senza il sapore della vendemmia trattenuto per l’olfatto di chi ci abita. E pare che questo tempo fermato in una stagione non sua, abbia fatto evaporare pure il modo di sentirsi Chiesa: una apatia, o è accidia? Certo dubito che darsi battaglia nel cortile cattolico, così come lo si fa in un Colosseo qualsiasi, possa in qualche modo essere lo stile con cui, come Chiesa intera, ci poniamo nell’annuncio del Vangelo. ma lasciarsi correre addosso i giorni senza lasciarsi titillare da quel che accade attorno, impigrendosi dentro un daffare che non è sul presente … Rigurgiti di passioni rivoluzionarie che l’età ha visto percosse da tradizionalismi inattaccabili?  Ma abbiamo un cervello per ragionare al riguardo: per pensare oltre, per discernere su giorni che se ne vanno lasciandoci indisturbati, nonostante la quantità di grettezze e di livori presenti in tanti cattolici. Che scrivono sui loro blog anche nefandezze di pensiero, invitando a caffè teologici d’antan, che vivono tra una tartina e l’altra, aspettando il tempo delle rivincite: nel papato e contro il Concilio. Se il Signore, che ritornerà – perché ritornerà! – volesse porre la domanda che è lì sospesa da secoli, su quale fede in Lui troverà in noi; appunto, quale fede troverà? quale Chiesa troverà? Non ancora ripulita da orpelli mondani che nascondono e allontanano, o finalmente libera da compromessi? Con un Vangelo addolcito che non tiene alto l’avvertimento a non scartare la misericordia, scartando poveri, malati, vecchi, e diversi? “Da semplici discepoli del Maestro diventiamo maestri di complessità, che argomentano molto e fanno poco, che cercano risposte più davanti al computer che davanti al Crocifisso, in internet anziché negli occhi dei fratelli e delle sorelle”. Sta celebrando in suffragio dei cardinali defunti in San Pietro, Francesco; e rievocandone la vita confessa i peccati in cui possono essersi perduti. I loro e i nostri. Ed è un esame di coscienza per tutta la Chiesa, se spendere centinaia di migliaia di euro per una veste rossa (cosa scriveva la Fallaci dell’obispo latinoamericano che non ha incontrato in fruscianti vesti seriche?) può gridare vendetta al cospetto dei poveri cristi di terra e di mare. Il Papa invita quindi a lasciarsi «sorprendere dalla presenza di Dio, che ci aspetta tra i poveri e i feriti del mondo. E attende di essere accarezzato non a parole, ma con i fatti». Un gran lavacro non su moralismi, non su negazioni dell’umano, ha bisogno questa Chiesa che pure amiamo nella sua imperfezione. Un lavacro che ci aspetta tutti al varco della fede che vorremmo lui davvero trovasse.
***


E dopo è un adesso. 

E dopo è un adesso. Provo a non essere prevenuto ma non posso negare tutte le perplessità di questi primi giorni: sarà questo strano novembre. Io mi auguro che il governo ci stupisca e faccia cose buone per gli italiani (e non). Sospendere il giudizio in attesa di vedere i risultati. Peccato il detto di Ennio Flaiano che asserisce essere gli italiani sempre pronti a correre sul carro dei vincitori. Ancora una volta.

Quando diciamo “l’Italia ha scelto la Destra” dobbiamo prima definire cosa intendiamo per l’Italia. E cosa intendiamo per Destra. Due esercizi mentali che offro ai cristiani. Loro hanno scelto la destra? Da italiani? Nel giorno in cui viene eletto a presidente di una camera del parlamento un signore che si definisce cattolico, e si è fatto sposare con il rito tridentino da uno di quei preti che credono di credere in Dio perché si vestono “come ci si vestiva” (approccio di molti pretini appena sfornati, a detta dei loro parroci); uno che lotta per l’incremento della natalità – italiana non di quella dei migrati – e forse non può avere più di un figlio e pazienza che non possa dare il buon esempio; uno che inneggia ai fascisti greci dell’Alba dorata, forse per non rovinarsi del tutto in patria; insomma, uno così rappresenterà quali fedeli cattolici di questa nazione? Quelli delle piazze del familismo, quelli che inneggiano ai principi inderogabili, e che in nome di una approssimazione devastante al Vangelo, proclamano, come lui dice, “Ama il prossimo tuo, cioè quello vicino a te” – che è l’esatto opposto del farsi vicino che il Vangelo chiede, per giustificare il respingimento di chi bussa alle porte dalla miseria*. Sull’altro scranno un post fascista la cui storia speculare in termini di civiltà democratica ci è narrata da cronisti che hanno pane per i loro pezzi di colore. Entrambi un saluto al sommo pontefice, quel Francesco che va bene ormai a tutti, persino a loro che nei fatti ne rinnegano la predicazione. E di questi giorni in particolare va bene a quei pacifisti del né-né: quelli equidistanti (!). Fa specie che vada bene a quelli che sembrano tanto i succedanei del no a tutto, dei negazionisti della realtà: sia un virus o la terra tonda. Quei pacifisti che – lontani dall’essere i costruttori di pace delle Beatitudini – non sanno udire l’afflato di speranza che sta nel servizio del vescovo di Roma. Che non chiama bene il male, ma così tenta di sconfiggerlo, e conduce per mano dentro la fragilità umana. E dunque: quale destra? Quella che rinnega i diritti di tutti ad essere accolti nelle loro diversità di cultura, di fede, di etnia? E quali italiani hanno scelto la destra? i cattolici? Ma sanno che così aiutano ad allontanare il Vangelo dalle coscienze? Ebbene sì: non c’è più destra, non c’è più sinistra: e lo dicono quelli di destra, chi sa perché. O si sa? Gregge, e non uomini. Ma non lo dicano i Vescovi: di quale chiesa parlano, quale incontrano nei loro pellegrinaggi parrocchiali? Incontrano queste persone che hanno votato pensando alle bollette – e certo! – o alla vita? quella dalla culla alla tomba, con quegli slanci che ogni età chiede per uscire verso la vita eterna? E dunque con quel rischio del seguire le parole del Signore che giudicano, pur senza condannare? Il voto come una grazia: a far accorgere che le chiese semivuote non sono infausta conseguenza del concilio; ma quell’assestamento sulla pancia del secolo che prende vigore dal panem et circenses per sé. Dice il neo presidente della camera: “Quando andiamo a messa mia moglie si mette al primo banco, io all’ultimo”. Dunque c’è speranza, per ogni peccatore che si converte.    14 ottobre 2022

* Come tutti i cattolici integristi è ignorante nonostante le tre lauree che si attribuisce nel curriculum dei deputati: cattivo esempio per chi crede nello studio del sapere e non nei titoli accademici_

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Varie ed eventuali .5

Ma dai, non sarà così male … quando la senti in giorni come questi, è perché si sta parlando di voto. E abbiamo provato questo e quello, perché no? colloqui tra innamorati della democrazia che mai e poi mai starebbero dalle parti di giornalisti a la page che a votare non vanno, lo dicono, e poi fanno le maratone televisive: perché anche loro tengono famiglia, magari anche più d’una. Certo non possono schierarsi con chi della famiglia ha fatto uno slogan, insensibile alla coerenza che, si sa, in politica vale meno di zero. Però: non voti? Accucciati da qualche parte e non entrare nel circo. C’è un pudore minimo: ma, si sa, il pudore non chiede solo alle ciccioline di non entrare in parlamento.
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Sì, i tempi di don Camillo non sono più quelli (e averne nostalgia? Racconta Guccini del suo prete, anticomunista fino a che è arrivato Berlusconi: ha cominciato a schierarsi a sinistra – dillo ai preti, tanti, di oggi, che sono ancora lì, ma senza l’intelligenza del prete della terra di Peppone!). Però la vignetta che vedete qua accanto dice molto e bene; mettici testa se vai a votare, e dimentica per una volta la pancia. Turati il naso, perché sì le cose non odorano di buono da nessuna parte, ma sappi che cosa vale, e chi vale.
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Voi che mi leggete non state tra i fruitori dell’assegno di povertà, chiamato altrimenti tirando dentro la cittadinanza (per altro negata dagli stessi politici a migliaia di ragazzi nati qui con una pelle diversa). E dunque non vi incanta che quello sia il cavallo di battaglia di azzeccagarbugli contemporanei. Però che si giochi sulla pelle di poveracci non a promettere dignità, ma accattonaggio statale, un po’ di voglia di mandarli al diavolo ve la potete coltivare, sennò che umani siamo?
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Per esempio, il voto utile. Non esiste. Lo dicono soprattutto quelli che tentano la soglia del doppio numero per poter contare. Quelli che i partitini fanno la differenza. Certo, è democrazia – la democrazia che conosciamo – fino a quando non ci convinceremo della imperfezione della democrazia continueremo ad avere una pletora di arrampicatori per se stessi. Le parole di Levy a me stanno bene: che si dica che un popolo che scegliesse oggi un Hitler o uno Stalin è un popolo immaturo e indegno. La democrazia non è fare una guerra per mettere al posto di chi c’è “le persone perbene”. E se lo dice qualcuno che sta chiedendo il vostro voto interrogatevi.
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Scappano dalla mobilitazione generale, perché la guerra non la vogliono. E c’è chi dice: “Mi romperò un braccio o una gamba o andrò in prigione. Tutto pur di evitare quest’inferno”. E con un Patriarca che invita ad arruolarsi con le stesse promesse che finora conoscevamo solo dal Corano per i credenti nell’Islam. È peggio di quel che si crede. E per gli uni e per l’altro. Davvero, che fare? Pregare sperando, certo.


Varie ed eventuali .4

Il papa a L’Aquila per la perdonanza. Per perdonare all’Alighieri di aver messo all’inferno un santo come Celestino? Perché no! dopo il gran gesto di Benedetto, rinunciare è finalmente descrivibile come una virtù. Se … Se non ce la fai; se il tuo tempo non è solo quello scandito dall’orologio; se concepisci la vita come il dovere di non viverla solo per dovere. Si tratterà di mettere a punto alcune cose, per quanto riguarda i papi: decretare nel codice di diritto canonico che non sono papi emeriti, ma vescovi emeriti della diocesi di Roma, e dunque non vestono più di bianco; umilmente (umilmente?) possono rientrare nel corpo dei cardinali, e si riprendono il nome della famiglia che li ha generati. Insomma si è papi a tempo: il tempo dello Spirito. Per farci imparare, a tutti noi, che c’è un tempo per tutto, come elenca il Qoelet.

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L’altro giorno due preti ambrosiani mi chiedono – con un sorriso che va da su in giù – perché non il vescovo di Bergamo ma quello di Como fatto cardinale. Ambrosiani: con il loro vescovo che anche stavolta è fuori. Loro sono perplessi per sé, e lo si capisce: snobbati da un mancato riconoscimento manco gli appartenesse per mandato divino. Nel prossimo Conclave in assenza di Milano? Non si maneggia lo Spirito, verrebbe da dire, se già non si sapesse che sì, lo Spirito è chiamato ad accompagnare. Magari a scegliere, un po’ meno…

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Dio patria e famiglia? Tra i tanti slogan è tornato pure questo. Una bestemmia, se pronunciato da chi di Dio ne sa quanti certi zoticoni alla odifreddi, che risalgono da equazioni matematiche a un pensiero più grande della pur rispettabile intelligenza ateista. E si lasci stare la famiglia, se a difenderla nelle piazze dello scontento immotivato e immotivabile sono predicatori che se le fabbricano – appunto, più d’una – secondo propri cliché; e in quanto alla patria, quale, quella di Redipuglia, con i suoi morti mandati al macello da chi stava in stanze al sicuro da geloni ai piedi scalzi sulla neve? Quelli che oggi, magari meritevolmente, dimezzano i parlamentari, ma non si dimezzano ilo stipendio, pur facendosi paladini dei tartassati dalle bollette capestro?

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A proposito di piazze: a Ferrara assediano il Vescovo perché accorpa due parrocchie. Fedeli? Di che? Se gridano: il papa non crede alla Madonna? che poi uno dice che c’entra il papa!? C’entra la piazza, quella che voterà Dio patria e famiglia. La piazza di quei sedevacantisti che si riferiscono all’ex vescovo di Roma, Ratzinger, come il proprio papa. Fedeli di chi? preti in sparizione, seminari desertificati: ma con piazze così, che vogliamo sperare? Vacche magre non solo in economia, ma anche nella Chiesa del Signore. Che pure, l’ha promesso, non lascerà che le porte degli inferi possano prevalere. Io ci credo. Però: quando?

 

Rieccoci: lo si dice dopo una lunga assenza, soprattutto se sottolineata da impazienti lettori. Beh, avere lettori impazienti è già un risultato.  Ma niente mare o montagna o viaggi, e niente pigrizia, ma qualche postumo di un passaggio al pp Giovanni, che i bergamaschi ormai identificano nel complesso delle sette torri, più una Chiesa bella, che posta lì è inutile. Ma se vi interessa, su questo e sul fraticello con cui mi sono confrontato, io steso lui in piedi, dirò un’altra volta.