Nella Pentecoste che continua

Un prete dehoniano, morto recentemente, ripeteva che le nubi passano, il cielo resta: che è la sconfitta del pessimismo arreso al difficile del mondo. E della Chiesa. Abbiamo davanti, a Dio piacendo, una lunga estate. Alcuni meteorologi la prevedono secca, altri piovosa: la saggezza degli antichi suggerisce di annusare il che cosa sarà del giorno dopo la sera prima. Perché le nuvole si fanno e si disfano per minuti cambiamenti, per refoli di vento o per raffiche inattese. In cielo come in terra. Che sia comunque una stagione di decantazione:

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L’animo del poeta e l’irruenza del profeta

Sentirete tutto tra un paio di mesi, e speriamo sia tanto. Perché i cinquant’anni che separano dalla morte di don Primo Mazzolari meritano che lo si rimetta al centro di un’attenzione del popolo cristiano: quello che entra in chiesa e poi va a votare. Perché don Primo, prete sino all’osso, ha incarnato il suo ministero nella inscindibilità tra l’essere cittadini e l’essere cristiani. E lo ha fatto in tempi difficili: una chiesa impaurita dal possibile avvento del comunismo in Italia, e le conseguenti azioni di contrasto che hanno rasentato la fobia. Un maccartismo

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Ma quale 68?

È forse l’anno più insistentemente celebrato, ben al di fuori degli anniversari rituali. È nelle vene della memoria collettiva, spartiacque tra chi lo detesta e chi lo esalta: giochi retorici e pregiudizi inscalfibili a dividere una volta di più il popolo italiano. Forse perché lo si richiama secondo un frammento, di fatto non lo si racconta mai tutto. Si apre, il 68, con il devastante terremoto del Belice, e l’offensiva dei Vietcong – preludio alla disfatta americana nel pantano del Vietnam. È l’anno dell’omicidio di Martin Luther King e di Bob Kennedy, e la fine della primavera di Praga:

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La Tradizione tradita

Per parlar male del latino, occorre rifarsi al latino. Che poi non è un parlar male del latino in sé, ma di quello liturgico: di quello che viene invocato come la panacea dei mali della Chiesa. Quello che, escluso dal Vaticano (la rozzezza del linguaggio è tutta loro, non nostra) ha lasciato il posto al diavolo tra le mura leonine; tutto è conseguenza di quella stoltezza. Forse la maggior parte dei lettori non ha l’età per ricordare certi fogli che in nome della fedeltà alla Tradizione attaccavano a man bassa Paolo VI, il papa a cui è stato incollata la maschera d’Amleto:

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I Sinodi, e l’obbedienza dei Vescovi

Insomma qualcosa si muove, e si muove nella direzione attesa da tanti cattolici, da molto tempo. “Il cristianesimo, il cattolicesimo non è un cumulo di proibizioni, ma un’opzione positiva. È importante che lo si veda nuovamente, poiché questa consapevolezza è ormai scomparsa”. Sentirselo dire da papa Benedetto, sul finire dell’estate, è bello. Pastori anonimi lo vivono da tempo nelle piccole e grandi parrocchie del mondo: anche se una certa mancanza di parresia – che è azione largamente ancora sospetta nella Chiesa – impedisce loro di essere una voce alta

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La fede? Altrove!?

Qual è, in termini di fede, la strada che il cristiano oggi percorre? Siamo in un tempo di attesa, dopo che Benedetto è stato chiamato al compito di vescovo di Roma, e dunque a presiedere nella carità le chiese sparse sulla terra. E come in ogni tempo di attesa si delineano aspettative diverse, e frette più o meno giustificate. Non che la chiesa di Cristo deceleri se stessa nei momenti di passaggio: ma certo essa cresce quanto più si imprime una profonda intelligenza della fede, e della spiritualità che ne consegue. Nessun cristiano è esente dal fare passi decisi,

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Aspettando primavera

Primavera della Chiesa fu detto il Concilio. E come ogni stagione di quel nome, portava con sé le immagini di uno sbocciare: foglioline tremule sui rami accarezzati dalla brezza tiepida, terra bucata da sotto per il frumento che occhieggiava sul mondo, e mistura di colori e profumi portati dal vento ad annunciare la sinfonica diversità dei frutti. Stagione breve, quasi a preparare quelle primavere meteorologiche che stiamo vivendo da alcuni anni. Un tempo trapassato all’indietro, all’inverno, secondo letture pessimistiche

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Almeno stupiti

Nelle vigilie di questo Natale, ci si può risvegliare con un senso d’angoscia. E con un acuto senso del limite. Qui, da questa parte del mondo, i cristiani sono alle prese con un rifacimento del loro look: una parrocchia che diventi finalmente missionaria, movimenti che s’incontrino con associazioni, gruppi che riscoprano un loro federalismo ecclesiale. Oltre ai soliti preparativi perché la nascita del Salvatore trovi le chiese parate a presepi, e alle ninne nanne che fanno tanto buono. Dall’altra parte del mondo la storia viaggia su binari diversi:

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Pentecoste, nuova Babele

Pentecoste, nuova Babele Per capire la Pentecoste, occorre rileggere la paginetta di Babele: un inserimento a interrompere una narrazione di discendenza. Un breve segreto, ma profondo quanto basta a richiamare fin dagli inizi un’apoteosi che si sarebbe consumata “mentre il giorno di Pentecoste stava per finire”: dunque in un tramonto che non vedrà mai la notte, con un fuoco che danza in lingue inestinguibili. Per capire la Pentecoste, occorre ripartire da lì: da quegli uomini che si chiamano insieme per darsi un nome, che si radunano per costruire una città e una torre. E da un Dio che scende

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Insignificante il Gesù di Betlemme?

Sulle fettine, c’è un mercato che non s’aggiusta: colpa dell’euro o colpa delle avide filiere commerciali, il fatto è che ai cenoni di fine anno molti arrivano da giorni di insopportabile privazione degli italici gusti. (Che non è poi un male se ascoltate chi, in nome del salutismo o in nome dell’animalismo, bandisce la carne dal menu dell’alimentazione umana). Indigestione piena, invece, per i mangiatori di altre fettine: le fettine di bontà, ormai ingredienti immancabili di tutti i grandi contenitori televisivi,

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