Per non parlare della guerra, e di Zelenski che vuole sempre più diventare come Golia, non accontentandosi della fionda; e senza diventare io putiniano, Dio ce ne scampi e liberi. Per non parlare dunque dei trecentomila morti, sommati a tutt’oggi nelle due parti: che, al confronto dei cinquantamila del terremoto, gridano vendetta a un Dio che non è né ortodosso né comunque cristiano. Per non parlare della siccità, della mancanza dell’acqua dal cielo, che da meteopatico soffrivo già otto mesi fa; e dunque per non imprecare contro i sudditi acritici del sole che non mi hanno seguito nella mia voglia di nuove rogazioni ad petendam pluviam. Per non parlare di, scrivo del Nicaragua. E certo per raccontare di quel vescovo imprigionato per essersi rifiutato di andare in esilio con 222 connazionali imbarcati su un aereo, almeno non per essere precipitati nell’oceano, come già successo nelle dittature di quelle parti, ma per essere scaricati in altra America che nemmeno gli dà certezza di patria. Le cronache dicono, in rapida sintesi, di un processo contro cristiani, preti laici e quel vescovo, che da quattro anni denunciano; e la condanna per tutti, e l’espulsione dal paese; e i ventisei anni di carcere per il vescovo Rolando, a seguire il rifiuto di accettare la “grazia” dell’esilio. Un vescovo che preferisce rimanere a testimoniare la sua resistenza a quel dittatore che fin dagli anni settanta sta lì a “liberare” un popolo prima con derive sovietizzanti e poi con un populismo senza democrazia.  Ma se l’occasione è la resistenza di quel vescovo, parlo del Nicaragua per altro. Che poi altro non è. E dico di un mio compagno di messa che finisce nella prima rivoluzione di là: volontario a prestare azione e sostegno ai Contras, guerriglieri contro l’oppressione di tal Somoza, satrapo sanguinario. Uno dei tanti preti, l’Ubaldo, partito da qui per unirsi alla Chiesa di là, partecipe delle magnifiche sorti e progressive dell’avvenire. Certo una delusione: qualche anno, e vedere passare da una dittatura a un’altra. Il ritorno degli esuli è triste. E lui, quel mio compagno di studi e di ordinazione, segaligno nel fisico a raccontarne l’animo, che ora guarda alla persecuzione di una Chiesa, la cattolica, impedita, ed è di questi giorni, di fare processioni nei venerdì di quaresima; e tanto più nel venerdì santo, quando da sempre per quei popoli il Cristo morto è icona della loro voglia di resurrezione fin da questa terra. L’amaro dei giorni: la prepotenza che ti illude, la violenza che uccide. Da oriente a occidente, da quest’Europa antica per fede all’America giovane ma già rinsecchita.  Per non parlare di, si finisce per parlarne comunque. Abbiano il nome di Putin o di Ortega, dentro o fuori i propri confini – là dove non si accetta che “sì, i frutti della terra sono di tutti, ma la terra non è di nessuno” – si ripete lo stesso lugubre suono di armi o di catene. Una umanità che s’imprigiona. Ce n’è per pregare.     24 febbraio 2023
E per non farci mancare nulla. In gran Bretagna come qui da noi, l’appartenenza alla Chiesa conferiva uno status. Adesso si è derisi come bigotti scrive il Times, in una nazione post-religiosa, dove il numero dei non-credenti ha superato il numero dei credenti di tutte le fedi religiose messe insieme. Dio è morto. Per tanti.