Natale, un giorno sospeso
Un paradiso in terra, anche per i più poveri, era il natale di un tempo. Del tempo della mia infanzia. Alici in sughetto piccante, e noci di grana accanto a corpose fette di prosciutto crudo per introdursi; risotto giallo allo zafferano, “proprio come si fa a Milano”; bollito pregiato attorniato da mostarda dolciastra e piccante, seguito, ad anni alterni, da arrosto d’anatra o da cappone farcito, e patate crocchianti, e spinaci al burro in salsa di pomodoro,
la voglia di essere “normale” che rende “normale” ogni cosa
Che ormai si viva di natale prima ancora dei morti, è diventato “normale”. Natale è quando ho voglia, recitava uno slogan pubblicitario scandito dalla faccia convincente di un comico per altro non male, anche se poi finito male: inevitabile, per un intelligente che per soldi (o per altro?) vende la sua faccia a una pubblicità così insensata da confondere un panettone con il mistero di Betlemme
dalla panchina al campo, per ascoltare la via della vita
Ieri hanno tagliato il prato. Forse l’ultima falciatura dell’anno. Si sente meno il profumo dell’erba tagliata: c’è, è verde, ma non è più servita dal sole; è come se la nebbiolina di stagione le mozzasse il respiro. Così è delle emozioni: alcune arricchiscono, altre ti fanno regredire. Come tutto a questo mondo, le emozioni non sono né buone né cattive in sé. Lo diventano a secondo dei luoghi e dei tempi e delle relazioni. E poi, nascono quando vogliono,
nel conflitto di idee un cambiamento indispensabile
Dovreste avere la possibilità, come alcuni di noi, di andare a Subiaco. Ma non in un giorno di sole, e non da soli: camminare all’in su, in quella strettissima valle che scende a strapiombo, e sotto scudisciate di pioggia inzaccherarvi fino ai polpacci, sentire il bisogno di un porto asciutto, e poi finalmente trovarlo. E provare – seduti su antiche panche, in calde caverne fattesi santuario – la sensazione di una evaporazione dei panni accompagnata a
una finestra, e un’icona, per entrare e incontrare
Fare un regalo a un prete è sempre difficile: o si ripiega su libri, o si moltiplicano i calici. Se un regalo è un segnale, per un prete dovrebbe essere qualcosa che lo riporta al cuore della sua vocazione ministeriale. Che essenzialmente è trovare nelle cose di ogni giorno il cuore che le unifica. Dunque, la contemplazione. Se il primo momento della contemplazione è il sostare, il secondo è l’ammirare. Che è poi la sorgente di una preghiera zampillante. Non è
dall’universale al particolare è autentica storia di Chiesa
Sede vacante. Tra un papa che non c’è più, e un papa che non c’è ancora. Questo è l’intervallo in cui scrivo questa pagina. Uno spazio sospeso, che permette di uscire dalla ressa di immagini e parole. Ne ho preso la mia parte anch’io, lo confesso. Infastidendomi degli eccessi, e ironizzando sugli acrobatismi. Gli eccessi di peana che sfigurano la vera importanza di un papa pur grande, assimilato a un divo da fissare dopo ore di coda con telefonino
un incontro da desiderare per confermare la fede
Dei gesti della Chiesa si è fatta talvolta l’abitudine. E di certe presenze, persino negli addetti ai lavori, se ne pensa al ribasso: a un fastidio, o a un di più. La visita non di cortesia ma di missione che il vescovo fa alle comunità cristiane, qualcuno la soffre. Non la desidera: o perché non ne sente la necessità – auspicando per altro tutte le visite possibili purché siano di cortesia o di minuto “mestiere”– o perché certe visibilità hanno appannato il ruolo apostolico
sotto la neve matura un incontro da vivere
Tra poco più di due mesi, il Vescovo sarà da noi in visita. Non è una visita di cortesia, anche se si nutrirà di cordialità con un uomo che molti hanno conosciuto negli anni in cui scendeva dal seminario per il servizio domenicale. Anni diversi da questi, e una comunità che ha ora uno svolgimento diverso: necessariamente, sennò che fedeltà al Vangelo sarebbe quella che si costringesse all'immobilità? Questa “Visita” - che nella sua definizione più adeguata, è accompagnata dall’attributo
l’uso della coscienza cristiana
Mazzolari è il parroco cremonese che si è sentito, ancora in vita, definire da papa Giovanni “la tromba dello Spirito Santo nella valle del Po”. Un papa non ha aspettato che Primo Mazzolari morisse per toglierlo dalle castagne di parroco scomodo in cui era stato relegato dai vescovi lombardi: impedito di predicare fuori dalla sua parrocchia, e lasciato lì in mezzo a sospetti. Cosa che è successa altre volte per altri preti: sospettati in vita, beatificati in morte. Un prete, quello, che ha predicato il Vangelo tra il ventennio fascista e l’immediato dopoguerra,
questo tempo ininterrotto, così ormai privo di attesa
Che ne direste di un presepe senza Bambino? Con le casette, i ruscelli, le pecorelle e i pastori, gli angeli — tanti angeli a compensarne l'invisibilità in un cosmo di apparenze. Con il bue e l'asino, e la paglia. Anche Maria e Giuseppe. Ma Lui no. Lui è uno che ha l'ombra della croce che gli attraversa il corpo, Lui ha un mistero nello sguardo che potrebbe portare lontano, troppo lontano. Ma un presepe senza la fragilità e la storicità di quel Bambino,