Ieri hanno tagliato il prato. Forse l’ultima falciatura dell’anno. Si sente meno il profumo dell’erba tagliata: c’è, è verde, ma non è più servita dal sole; è come se la nebbiolina di stagione le mozzasse il respiro. Così è delle emozioni: alcune arricchiscono, altre ti fanno regredire. Come tutto a questo mondo, le emozioni non sono né buone né cattive in sé. Lo diventano a secondo dei luoghi e dei tempi e delle relazioni. E poi, nascono quando vogliono,
non sono un dato di fisica sperimentale: a parità di condizioni, insomma, non è detto che “senti” allo stesso modo: né il dolore né la gioia. Ovvio, dici tu. Ma lo è solo a livello di testa. A livello di vita non ti raccapezzi che un viaggio disegnato da tempo, per strade e vicoli che vuoi rivedere, poi ti deluda alla grande. Le variabili, a cui dare la colpa del fallimento del desiderio, sono tante. Ma una, credo, è da sottolineare: mentre si aspetta ciò che non viene, non ci si lascia prendere da ciò che avviene. A volte si costringe il desiderio a una corazza: e non ci si lascia più sorprendere. Così non assumendo che, ciò che cambia i connotati delle cose, le rende nuove: e affascinanti, se le si contempla dentro la luce che le costituisce nel momento in cui le ammiri. Dunque il sole non è meglio della pioggia; o il vento meglio della nebbia: le cose – ma le relazioni e le persone – esistono per il sole, e la nebbia e la pioggia e il vento, che le dipinge nel presente che ti è dato con loro.
Il fatto religioso in particolare risente di queste stagioni delle emozioni: nell’uscire dalla fanciullezza verso l’adolescenza; o nei conflitti che sembrano il pepe-e-sale degli adulti. Risente dei desideri per una Chiesa che finalmente si dislochi da sé, per aprirsi veramente all’anima dell’uomo. C’è una grande attesa sul nuovo papa? E lui, in privati colloqui con in preti della Val d’Aosta, racconta la propria sensibilità per i gravi problemi che oggi interrogano la Chiesa; e in pubblica intervista ai polacchi dice che non farà molto di più di quanto indicato nei documenti del predecessore. Il Sinodo universale, convocato sul tema dell’Eucarestia, promette molto, con la sua ora di libertà concessa ai partecipanti? E questi se ne escono con propositiones generiche, che nulla aggiungono al già emanato, anche recentemente: senza neppure rilanciare la palla al papa sulla comunione ai divorziati, o sull’ordinazione di uomini sposati (ricordo che nelle partite a pallone giocate in Seminario, ce n’era uno specializzato nel far gol portandosi a rete con la palla nascosta sotto la veste talare: un affronto per alcuni, una furberia per altri – per tutti un gol irrimediabilmente nullo). A volte mi chiedo se nella Chiesa non si facciano parole, e intere scaffalature di parole, che non sanno poi prendere la via della vita. Ci si chiede se i vescovi di questa Chiesa vivono solo di riflesso il vissuto dei loro popoli; o se ne lasciano corrompere le orecchie e il cuore?
Chissà se va ancora a fare la spesa sottocasa adesso che fa il vescovo nella sua terra? Quand’era un irlandese a Roma, residente in Campo de’ Fiori, era conosciuto, mentre le conosceva, dalle bancarelle straripanti di verdura e di frutta, nella sua rapida ma quotidiana frequentazione: intendendo per bancarelle la gente che vende e che compra, che parla e smania, imprecando talvolta, talvolta mendicando. Era già vescovo; e la fascia e lo zucchetto se li prendeva dalla tasca prima di una liturgia; in mano non si vergognava di portare le borse di plastica con il cibo che si sarebbe cucinato da solo. (Perché a Roma i vescovi e i cardinali hanno una vita più sobria di quanto non appaia: alla fin fine sono impiegati altamente decorati – qualche volta malamente se son fatti vescovi senza una terra e un popolo – ma carenti persino di un servizio in casa). L’abbiamo conosciuto, quel vescovo ormai in Irlanda, in un suo passaggio qui di qualche anno fa. E son certo che la spesa, lui, la fa ancora. Perché sentivi in lui il piacere di calarsi tra le persone nel loro trantran. Così impara un vescovo ciò che la gente mette in pancia. E impara le giuste parole che un pastore deve ai mal di pancia degli uomini e delle donne di questo mondo. Di questo. Non di quello che si desidera, e non è.