Mazzolari è il parroco cremonese che si è sentito, ancora in vita, definire da papa Giovanni “la tromba dello Spirito Santo nella valle del Po”. Un papa non ha aspettato che Primo Mazzolari morisse per toglierlo dalle castagne di parroco scomodo in cui era stato relegato dai vescovi lombardi: impedito di predicare fuori dalla sua parrocchia, e lasciato lì in mezzo a sospetti. Cosa che è successa altre volte per altri preti: sospettati in vita, beatificati in morte. Un prete, quello, che ha predicato il Vangelo tra il ventennio fascista e l’immediato dopoguerra,

declinando l’istanza cristiana mentre ci si scannava tra partiti, non imparentandosi con nessuna parte, potendosi dire con coerenza “obbedientissimo in Cristo”. Mi è tornata sotto gli occhi una delle sue saggezze, in questi giorni di grandi botti sul tema dei referendum a cui siamo avviati. Scrisse: bisogna guardare non a destra, non a sinistra, non al centro, ma in alto. Soprattutto nei temi delicatissimi della vita – di Chi è dono, a Chi è avviata? ma anche, a chi è affidata? – non si può passare né per caricature né per demonizzazioni. E neppure per quegli slogan alla no taleban no vatican, così miserrimi, che una volta di più raccontano l’obiettivo di certe parti sociali in Italia: non stanno nella vita, ma da sempre nell’affermazione di sé contro un nemico giurato. Sarebbe solo penoso il narcisismo dei loro cortei, se alla lunga non fosse anche urticante l’arroganza con cui, da violenti quali sono, infangano la non-violenza gandhiana.

Di contro, c’è un certo malessere nella Chiesa italiana: e i vescovi lo rappresentano a volte con silenzi stridenti, a volte con parole sovreccedenti il proprio ministero. Rispetto a un’indicazione sul come affrontare i quesiti referendari – indicazione che è sembrata inopportuna a molti per ragioni tra loro non identiche – ci sono voci di vescovi che si stanno pronunciando per la prima volta in maniera diversa. Potrebbe essere l’inizio non solo di una ripresa di autonomia delle Chiese locali nella guida dei fedeli (la centralizzazione è una delle cause del malessere ecclesiale), ma anche l’avvio di un ritorno sulla verità del Vangelo che non può tradursi mai in un direttorio. Tutti abbiamo a cuore la vita, dalla nascita alla morte, in sé e per le relazioni che sostiene. Ma se essa è il luogo della bontà di Dio, non la si può negare né in sé né nelle relazioni di dono di cui si nutre.

Dunque approccio misurato al mistero che la vita è. Non propaganda ma riflessione. C’è la regione dei principi: guai a non percorrerla. Guai a non lasciarsi interrogare dall’onnipotenza delirante che spesso ha preso l’uomo: il macabro a cui si arriva partendo da ricerche scientifiche è storia nazista, ma non solo. Ma anche: guai a non percorrere le contrade della sofferenza umana, guai a non immergersi per intero nell’attualità degli uomini: si rinnegherebbe il Vangelo, la bella notizia di liberazione dal male che Gesù ha lasciato in eredità ai suoi perché la trasmettessero in ogni tempo secondo il sapere proprio di ogni tempo: che è sapere di scienza, ma anche sapere sull’uomo sempre più rivelato a se stesso. Guai a noi, se non esercitassimo la misericordia: e cioè la comprensione, il conoscere che mette l’altro in sé.

“Invito a misurare la gravità di questi temi” chiede il papa ai cristiani, e, in forza della sua autorevolezza, anche a chi non si professa credente. I referendum prossimi potrebbero essere un buon esercizio dell’uso della coscienza cristiana: che è il sentire illuminato, ma personalmente responsabile, cioè senza intermediari. Ecco perché occorrerà che ciascuno di noi si informi bene, capisca ciò che è proposto, e lo valuti tra cielo e terra. Non attestandosi in cielo, non lasciandosi appesantire dalla terra.