nel Tuo e nel mio presepe

Che questo sia un Natale diverso per chi spera ancora in Te, nella tua venuta, o Signore della storia, o amico degli uomini che vigilano.

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raccontare i preti differenziandoli dagli angeli

Alla fine di questo numero troverete un racconto: parla di preti e di angeli. Cercando di distinguere bene: i preti sono uomini, e non angeli. Per una sacralità che immedesima il ministero con le loro persone, essi sono messi su un piedistallo: lì si vogliono privi di ogni difetto, li si costringe a una eroicità che nulla ha a che vedere con la santità. Non possono dunque peccare: non devono, loro, arrabbiarsi, non devono lamentarsi, non devono prendere parte, e neppure si devono prendere piaceri leciti a qualsiasi altro mortale

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necessità dell’andare, gratuità restituita

Andare verso la foresta nera di questi giorni, e non con l’immaginazione, ma con un viaggio seppure spiccio, di soli due giorni: una bellezza che premia una faticaccia obbligata. I larici e gli abeti tappezzano di colori autunnali gli altopiani, sullo sfondo di un cielo traboccante, continentale, zeppo di nubi grigie, che si riflettono nei piccoli laghi srotolati quasi ad ogni svolta: superfici di piombo appena increspate in luccichii che comunicano vita. In un viaggio

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il rientro, e le cascate

il rientro, e le cascate Passo della Presolana, e uno stuolo di pecore sui pendii, messe lì, in lenta transumanza verso la pianura, a ripulire i terreni erbosi in sostituzione della falce, e delle braccia degli uomini che non ci sono più. Un’immagine, che dietro la poesia di un gregge bianco su un prato verde, non può nascondere il cambiamento del lavoro, e dell’uomo che ne è il protagonista; e dunque la domanda di sempre: era meglio, o è meglio? In questo rientro autunnale

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per l’ultima volta, promesso

  terzo soliloquio controcorrente   Mi permetta di continuare a disturbarla, caro monsignore. Per l’ultima volta, promesso: anche se delle promesse si sa l’inizio, ma non il compimento. Però sono troppe le cose che mi stanno sull’ingluvie (che è il termine nobile di gozzo): e non creda che siano partorite solo dalle mie fisime, nel qual caso lei avrebbe tutte le ragioni per voltarmi le spalle, e mandarmi a quel paese. Non mi piacciono gli uggiosi, quelli che hanno sempre qualcosa da ridire, su tutto

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ci stanno untori non presunti, e non raccontiamocela sottosopra

secondo soliloquio controcorrente Lei dice monsignore? Che il nostro popolo non è xenofobo? Che è solo questione di ordine su cui tutti possiamo essere d’accordo? Sull’ordine siamo d’accordo: nel disordine si propagano illegalità, è vero. Ma quale è il confine? Ha visto a che cosa ci ha portato l’ascoltare la pancia della gente? L’ha visto a Napoli? Come si fa a non rabbrividire in questa analogia fra il trattamento dei rifiuti e il trattamento di esseri umani? Perché lì bruciano le loro monnezze

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goccioloni di pioggia fumante sulla polvere del popolo sovrano

     soliloquio controcorrente Lei dice, monsignore? Eh, no: ci vuole un po’ di memoria. Tutto è cominciato qualche anno fa, con una donnetta cattolicante che avrebbe attraversato tutto il degrado del tempo presente, dalla presidenza dei deputati alla ribalta di starlette senza più pudori: mentre quella si rizzava contro il cardinal Martini a Milano, i suoi compari comunliberazionardi sbeffeggiavano il rettore della Cattolica, Luzzati, oltretutto ora avviato alla beatificazione. Perché, vede monsignore, non questo o quel partito è oggi da mettere sotto accusa. Ciascuno fa il suo mestiere,

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alla fine e dopo la fine arriva il meglio

La Pasqua è la fine che dà inizio. È la morte che si estingue in un risorto corpo di vita, in occhi finalmente celesti. Poesia? Forse, e solo per chi non coglie la bellezza del desiderio che porta oltre quanto si vive, per quanto si sia vissuta una vita piena. Ho letto di una vecchina sul letto ultimo. Serena. O splendente, se non vi sembra esagerato per quel momento. Al parroco che era lì ad accompagnarla dice: "Sa, il Signore mi ha donato una vita bellissima

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tra percezione e manipolazione

Da circa tre-quattro anni è entrato nel vocabolario quotidiano della ggente con due g il termine percezione: una uniformità grigia che tocca tutti gli ambiti, mediata da quell’amplificatore della realtà che è l’informazione, cartacea o televisiva. Vale non ciò che è, ma ciò che si percepisce. Abbiamo così raccontato estati tropicali, o inesistenza degli inverni, contro l’evidenza dei termometri, e lo studio dei credibili meteorologi: alte temperature maggiorate dalla personale intollerabilità,

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l’uomo guarda l’apparenza, Dio scruta i cuori

Una grande tragedia del secolo scorso, dopo l’olocausto, è stata quella dei desaparecidos: supposto che si possa fare una graduatoria del male. Ma è bene ogni tanto andare nelle soffitte della memoria, e aprire bauli impolverati dalla cattiva coscienza: anche solo per non abituarsi mai ai genocidi. Siano quelli serbi, solo ieri, o quelli che si consumano ancora oggi nella regione dell’antica Persia o nelle nazioni africane. Una tragedia, quella argentina,

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