Alla fine di questo numero troverete un racconto: parla di preti e di angeli. Cercando di distinguere bene: i preti sono uomini, e non angeli. Per una sacralità che immedesima il ministero con le loro persone, essi sono messi su un piedistallo: lì si vogliono privi di ogni difetto, li si costringe a una eroicità che nulla ha a che vedere con la santità. Non possono dunque peccare: non devono, loro, arrabbiarsi, non devono lamentarsi, non devono prendere parte, e neppure si devono prendere piaceri leciti a qualsiasi altro mortale

 – tipo una sigaretta, una, in compagnia. Qualcuno intende il loro celibato come una sterilità. Trasfigurandone il nome, e talvolta i particolari che li potevano far riconoscere, ho anch’io raccontato tanti preti che ho conosciuto. O meglio, li ho fatti raccontare a quel don Celso che è un poco l’ideale a cui personalmente mi ispiro: restandone ancora lontano. Ho raccontato di preti nelle loro gioie del giorno, e nelle malinconie della notte. Li ho raccontati in certe solitudini di cui sono responsabili proprio quelli che li hanno messi su un piedistallo; o quelli che dal piedistallo li vogliono far scendere, ma per trattenerli con sé.  

Se vuoi raccontare un prete tieni conto che loro sono nati da donna, e non vengono dal nulla come Melchisedech; abbi ben chiaro che sono cresciuti anch’essi come tutti gli adolescenti, tra ribellioni e cotte; e, non dimenticare, quando hanno deciso di farsi preti avevano solo venticinque anni: che, forse, un tempo erano sufficienti per una decisione, e oggi no. E sappi che quando sono trasferiti da una parrocchia a un’altra gli si svela, a qualunque età, una crepa dell’anima, che forse essi stessi non immaginavano prima: dove vanno mettono radici, se appena appena hanno un cuore; ma quando gli è chiesto di partire le devono strappare. E se si tengono lontani da certe eccessive familiarità, è perché sanno la fatica del loro celibato: non lo vivono se non per quello che è – una povertà che è segno del Regno a cui tutti dovremmo finalizzare tutto, anche gli affetti; e, insieme, una disponibilità esclusiva al servizio delle comunità cui sono mandati. Ma resta una povertà, che talvolta urla, talvolta singhiozza silenziosamente. A volte quella povertà diventa insostenibile per alcuni, e li decide a imboccare una strada diversa: se lo fanno con l’umiltà di chi riconosce il proprio confine – si può solo ringraziare per gli anni che hanno dedicato al servizio nella chiesa, per tutta la grazia che è passata dalle loro mani.

Il più delle volte i preti si muovono tra consensi e avversioni. Non sono funzionari che scalano una carriera: volesse Dio che finalmente la gerarchia degli onori sparisse dal mondo clericale! è un surrogato che sciupa certe anime, che pure si erano avviate con purezza di cuore nel ministero. Certo sono diversi l’uno dall’altro: le loro origini sono disparate, diverso è il temperamento di ciascuno, diverse le doti. Per tutta la vita (ma non anche ciascun altro credente?) devono guardarsi dall’invidia e dall’avidità; e la scuola della misericordia per loro non finisce mai, se vogliono consolare secondo l’ordine in cui sono stati stabiliti da un sacramento. Ma ricorda: se vuoi raccontare un prete, racconta anche la comunità in cui vive – e capirai il perché penoso o entusiasmante di una vita che si dà.