tema : il papa che vorrei

svolgimento – Mi piace tornare sui banchi del liceo con questo compito che i cardinali di santa romana chiesa hanno chiesto a noi preti sparsi nel mondo, e non ai vescovi le cui informazioni sul popolo di Dio le ricavano dalle feste patronali, quando sono ricevuti dalle bande cittadine a suon del noi vogliam Dio: ma quanti! ma che bello! (ché, poi, siamo noi parroci che gli lustriamo il pentolame allo scopo di fargli festa, ma anche di prepararci un encomio che si traduca in una migliore carriera - eh, sì, abbiamo le nostre colpe, ma siamo quelli che poi restano lì, gabbato lo santo, a sorbirci le angosce di senso di scristianizzati frequentatori di chiesa). Dunque, in un momento in cui tutti dicono la loro, ecco la nostra, di parroci: il papa che vorrei? lo vorrei giovane, ma non tantissimo; gagliardo e in salute, certo; capace di guardarsi attorno davvero, magari scendendo dal colle vaticano come quell’Antony Quinn che si traveste da prete, lui papa, e si immerge nella cagnara dei vicoli della città, rischiando di essere anche messo sotto da furgoncini impazziti. E se qualcuno lo potrebbe far fuori, faccia pure: noi instancabilmente ne faremo su un altro, di papa: le tanto vituperate scarpette rosse non sono forse, accanto ad altri simboli, il segno di un cammino verso il martirio che gli è chiesto in forza della sua sequela al Nazzareno? Libero di muoversi, dunque, e non più attorniato, neanche fosse uno statista qualsiasi, da uomini in grigiolondra, con auricolari da griffe e occhi roteanti in sintonia con le spalle: se deve accorgersi delle domande gridate dai ciechi contemporanei, o di quelle che solo gli occhi sanno trasmettere. Vorrei un papa che sappia superare steccati, per non lasciar fuori nessuno: un sorriso alla papa Giovanni, una forza di comunicazione come quella del secondo Giovanni Paolo, ma anche la profondità senza orpelli, essenziale, delle omelie di Benedetto papa. Con l’evidenza di umanità che fu di Paolo VI, quando senza pudore prelatizio gridò il proprio abisso di desolazione di fronte all’umanità perduta di terroristi senza cuore. Vorrei un papa che si rappresentasse davvero come un pastore bello: e non per le vesti riesumate da cerimonieri senza liturgia, e per le mitrie innumerevoli che mani ricamatrici di suore (o furbizie commerciali di negozi di alta moda ecclesiastica… ) vorrebbero deporre sulla sua testa. Un papa che ami la sobrietà dell’istituzione come il primo precetto evangelico e la riporti alla sua essenzialità - non permetta più che si scambi l’episcopato come fosse un’onorificenza: basta segretari e impiegati curiali fatti vescovi; basta con onorificenze che offendono il basso clero, quello che tira la carretta del quotidiano ecclesiastico ed ecclesiale dentro le storie della periferia della chiesa: e dunque basta con quei titoli altisonanti di sua eminenza & eccellenza, reverendissima... come se eminenti ed eccellenti non fossero i (semplici) fedeli tutti del popolo di Dio. E soprattutto un papa vorrei che cacciasse come diabolon chi cercasse di confonderlo dicendo di non badare a righe come queste, ché la chiesa sta da un’altra parte. Un papa accorto, che non si lasci trascinare da nepotismi, e non li permetta a nessuno di quelli che pure hanno responsabilità alte. Un papa che, creando cardinali, non crei dei propri cloni, ma cerchi chi sta nelle valli della vita. Insomma un papa che, dal suo immediato predecessore, abbia imparato a restare un uomo anche dopo che ha ricevuto le chiavi di sanPietro: si ricordi di quando i pietro che l’hanno preceduto eran fatti sedere sulla stercorata, il sedile che ricordava loro di essere ancora sottomessi, come tutti, alle necessità della natura; o di quando davano fuoco a batuffoli di stoppa, una fiammata e via, ricordando loro a voce sempre più alta per tre volte padre santo così passa la gloria del mondo - in parallelo antitetico al lumen Christi pasquale, perché ricordassero di non essere il Cristo in terra, ma servo dei servi di Cristo. Cari cardinali che ci avete chiesto di darvi un identikit, capisco che possiate pensare che un papa così, tutto così, sia difficile da trovare. Troppo? Ma lo Spirito santo di Dio che ha fabbricato l’uomo Gesù nel grembo di Maria, che difficoltà vuoi che abbia a darci un papa così? E poi permettetemi di ricordarvi che non necessariamente dovete trovarlo proprio dentro la Sistina: guardatevi attorno, e vedrete chi lo Spirito del Signore vi indica come da Lui eletto.


papa benedetto, grazie

In auto, un flash che interrompe una trasmissione su temi medici, e la notizia che il papa si dimette. E si dimette in una data precisa. E’ carnevale, e uno pensa subito a uno scherzo che qualche apprendista di agenzia trasmette cercando di dare lo scoop. E invece, dalle vetrine della città rimbalza ormai accertata. Pensieri che si accavallano, ma uno primariamente: il coraggio di un papa coerente. Ho avuto in passato da difendere il suo pensiero con amici convinti di un conservatorismo del Pastore tedesco. Da sempre ho seguito la sua bibliografia, e il mio convincimento era maturato in altra direzione: né conservatore né progressista, un uomo leale, sincero e umile. Con i suoi limiti culturali, dovuti a quella formazione da cui ciascuno di noi è condizionato. E così, nel rispetto dovuto, ho pure preso posizione su alcuni atti di non magistero vincolante; su alcune debolezze, umanamente comprensibili, a cui neppure un papa riesce a sottrarsi – ed un esempio lo trovate qui accanto, in quel cinguettio del 31 gennaio, ma soprattutto in quel cedimento agli integralisti che sono, occorre prenderne atto seppur a malincuore, inconvertibili. Ma l’atto che ha compiuto cambia la storia: perché, anche, ridimensiona quell’esasperazione sul martirio del suo predecessore che di fatto ha consegnato, per un lungo periodo, in mani non papali la sede di Pietro. “Ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”. Non certo in polemica con il prima del papato, dice che si può servire dunque, e certo, la chiesa anche nella fragilità; ma prendere coscienza che quel ministero è del tutto suo e non di altri che pure possono sorreggere le sue braccia, ma non sostituirsi, è un atto di coraggio di cui non possiamo essere che grati. Ci saranno letture intelligenti, e letture indecenti: non ci si può aspettare altro. Ma si convincano anche questi ultimi di questo atto di coraggio, e di bellezza. Il gran rifiuto di papa Celestino, non poi così dantescamente vituperabile, è ora il gran gesto di libertà di un uomo la cui grandezza offerta a ciascuno sta nel riconoscimento di un limite. Per il bene della Chiesa del Signore. A me pare che questo possa far dire, con umile orgoglio, che la Chiesa una santa apostolica e romana esce al meglio. Verso quali lidi, sappiamo che saranno sempre di speranza: sulla sua parola, infatti, possiamo buttare le reti, e vederle straripanti di un pescato di grazia.


letture estive

 Non più un uomo

Ma ora che sei morta, o madre,

io so le volte che mi hai generato.

In silenzio, non vista d'alcuno.
Quando nato appena
a farti male iniziai, a rompere
con sassi il giuoco sulla piazza
tu mi rimettevi dentro il grembo
a concepirmi ancora.
Bello mi volevi, uguale
al figlio di Maria.
……

Così, o madre, non più un uomo hai partorito.
Ormai non solo i tuoi figli sono
ma tutto il popolo.
E tu vestita a festa
e sempre all'ultimo banco
da lassù ti vedo quando
allargo sulla gente le braccia,
tu ancora continui a generarmi
in perfetta verginità e pianto.

D. M. Turoldo

 

Il digiuno del Papa

... è il giorno del digiuno chiesto da Papa Francesco per la pace nel mondo. Certo non tutti aderiranno a questo digiuno, ma tutti hanno applaudito all’iniziativa. Si è detto che sarà un gesto altamente simbolico che eserciterà una qualche pressione sui grandi della terra chiamati a prendere importanti decisioni. Si è detto anche che il digiuno ci indice a contenere le nostre brame di possesso, ci educa a tenere lo sguardo fisso sull’essenziale, ci invita alla sobrietà. Qualcuno ha perfino commentato che saltare un pasto fa bene alla salute, perché siamo abituati a mangiare troppo. Tutte cose vere, ma è mancata tuttavia l’osservazione più importante, l’unica veramente essenziale: il Papa intende il digiuno come una forma di preghiera rivolta a un Dio che non è responsabile di quel che accade nel mondo, visto che ha lasciato agli uomini il libero arbitrio, ma che può intervenire nella storia per cambiarne il corso. II Dio della Bibbia è il Dio che, per intercessione di Abramo, può salvare Sodoma e Gomorra se trova in esse anche solo dieci innocenti. E’ insomma il senso della Provvidenza che muove la richiesta di papa Francesco. Certo, per credere a tutto questo ci vuole la fede. Montanelli diceva che avrebbe sacrificato tutto, anche la vita, per avere la grazia della fede; diceva che se un giorno avesse incontrato l'onnipotente gli avrebbe rimproverato di non avergliela concessa. Credere non è per tutti e il Papa ovviamente lo sa. Infatti quando propone il digiuno, anche per i non credenti, non pretende da loro un significato diverso da quello di un gesto laico, sbaglierebbe se lo pretendesse. Ma sbaglia anche chi pretende che pure il digiuno del Papa (e il nostro!? n.d.r.) sia un gesto solo terreno. E’ un errore che si sta ripetendo spesso con Bergoglio: lo si considera il capo di una grande ONG e si dimentica che invece è, appunto, un Papa, il quale non ripone le sue speranze in Obama, Putin o Ban ki-moon.

Michele Brambilla (La Stampa)

lettera delle quattro suore trappiste in Siria: il sangue riempie le nostre strade, i nostri occhi, il nostro cuore

«Vediamo la gente intorno a noi e pensiamo: “Domani hanno deciso di bombardarci”». Oggi non abbiamo parole, se non quelle dei salmi che la preghiera liturgica ci mette sulle labbra in questi giorni: «Minaccia la belva dei canneti, il branco dei tori con i vitelli dei popoli… o Dio disperdi i popoli che amano la guerra…». «Il Signore dal cielo ha guardato la terra, per ascoltare il gemito del prigioniero, per liberare i condannati a morte»… «ascolta o Dio la voce del mio lamento, dal terrore del nemico preserva la mia vita; proteggimi dalla congiura degli empi, dal tumulto dei malvagi. Affilano la loro lingua come spada, scagliano come frecce parole amare… Si ostinano nel fare il male, si accordano per nascondere tranelli, dicono: “Chi li potrà vedere? meditano iniquità, attuano le loro trame. Un baratro è l’uomo, e il suo cuore un abisso”. Lodate il mio Dio con i timpani, cantate al Signore con cembali, elevate a lui l’accordo del salmo e della lode, esaltate e invocate il suo nome. POICHE’ IL SIGNORE E’ IL DIO CHE STRONCA LE GUERRE. “Signore, grande sei tu e glorioso, mirabile nella tua potenza e invincibile”».  Guardiamo la gente attorno a noi, i nostri operai che sono venuti a lavorare tutti come sospesi, attoniti: «Hanno deciso di attaccarci». Oggi siamo andate a Tartous… sentivamo la rabbia, l’impotenza, l’incapacità di formulare un senso a tutto questo: la gente cerca di lavorare, come può, di vivere normalmente. Vedi i contadini bagnare la loro campagna, i genitori comprare i quaderni per le scuole che stanno per iniziare, i bambini chiedere ignari un giocattolo o un gelato… vedi i poveri, tanti, che cercano di raggranellare qualche soldo, le strade piene dei rifugiati “interni” alla Siria, arrivati da tutte le parti nell’unica zona rimasta ancora relativamente vivibile… guardi la bellezza di queste colline, il sorriso della gente, lo sguardo buono di un ragazzo che sta per partire per militare, e ci regala le due o tre noccioline americane che ha in tasca, solo per “sentirsi insieme”… E pensi che domani hanno deciso di bombardarci… Così. Perché “è ora di fare qualcosa”, così si legge nelle dichiarazioni degli uomini importanti, che domani berranno il loro thé guardando alla televisione l’efficacia del loro intervento umanitario… Domani ci faranno respirare i gas tossici dei depositi colpiti, per punirci dei gas che già abbiamo respirato?

La gente qui è davanti alla televisione, con gli occhi e le orecchie tesi: «Si attende solo una parola di Obama»!!!! Una parola di Obama?? Il premio Nobel per la pace, farà cadere su di noi la sua sentenza di guerra? Aldilà di ogni giustizia, di ogni buon senso, di ogni misericordia, di ogni umiltà, di ogni saggezza?

Parla il Papa, parlano Patriarchi e vescovi, parlano innumerevoli testimoni, parlano analisti e persone di esperienza, parlano persino gli oppositori del regime… E tutti noi stiamo qui, aspettando una sola parola del grande Obama? E se non fosse lui, sarebbe un altro, non è questo il problema. Non si tratta di lui, non è lui “il grande”, ma il Maligno che in questi tempi si sta dando veramente da fare. Il problema è che è diventato troppo facile contrabbandare la menzogna come nobiltà, gli interessi più spregiudicati come una ricerca di giustizia, il bisogno di protagonismo e di potere come “la responsabilità morale di non chiudere gli occhi”… E a dispetto di tutte le nostre globalizzazioni e fonti di informazioni, sembra che nulla sia verificabile, che un minimo di verità oggettiva non esista… Cioè, non la si vuole far esistere; perché invece una verità c’è, e gli uomini onesti potrebbero trovarla, cercandola davvero insieme, se non fosse loro impedito da coloro che hanno altri interessi.

C’è qualcosa che non va, ed è qualcosa di grave… perché la conseguenza è la vita di un popolo. È il sangue che riempie le nostre strade, i nostri occhi, il nostro cuore.

Ma ormai, a cosa servono ancora le parole? Una nazione distrutta, generazioni di giovani sterminate, bambini che crescono con le armi in mano, donne rimaste sole, spesso oggetto di vari tipi di violenza… distrutte le famiglie, le tradizioni, le case, gli edifici religiosi, i monumenti che raccontano e conservano la storia e quindi le radici di un popolo…

Domani, dunque (o domenica ? bontà loro…) altro sangue.

Noi, come cristiani, possiamo almeno offrirlo alla misericordia di Dio, unirlo al sangue di Cristo che in tutti coloro che soffrono porta a compimento la redenzione del mondo. Cercano di uccidere la speranza, ma noi a questo dobbiamo resistere con tutte le nostre forze.

A chi ha un vero amore per la Siria (per l’uomo, per la verità…) chiediamo tanta preghiera… tanta, accorata, coraggiosa…    

le sorelle trappiste

da ‘Azeir – Syria, 29 agosto 13

 la cerniera di settembre 

 Inizia oggi il mese di settembre, l’ultimo mese estivo e il primo della stagione autunnale. E di questa situazione a metà ne cogliamo tutti gli aspetti nella vita di ogni giorno, sia guardando al clima che soffermandoci sul comportamento delle persone. Tutto in questo mese sembra in transito: tra sole, vento e pioggia l’estate cede lentamente il passo all’autunno, pur riservando per sé giornate splendide. Le città, sia esse grandi o piccole, come anche i paesi, tornano a pieno ritmo, con la vita di tutti i giorni che appare più lieta in questo mese perché si è potuto godere di un po’ di riposo estivo. Forse poco felici sono gli studenti e le studentesse che devono ritornare sui banchi di scuola, anche se sappiamo per certo che non tutti saranno mogi e più di qualcuno scalpiterà per iniziare una nuova avventura scolastica, che sia alla scuola elementare o media o superiore. Gli studenti universitari, si sa, studiano tutto l’anno (o almeno dovrebbero!). Alfonso Gatto (1909-1976) nella poesia Arietta settembrina si sofferma proprio sul nono mese dell’anno e su quell’aria particolare che vi si respira: la dolcezza dei venti sul mare, la campagna che piano piano si prepara ad addormentarsi, i tramonti che diventano splendidi in questa stagione, con il rosso e l’arancione che la fanno da padrone e tutto si addolcisce per passare dal vigore dell’estate piena al silenzio ovattato e meditabondo dei mesi autunnali, prima, e invernali, poi:

 Ritornerà sul mare / la dolcezza dei venti / a schiuder le acque chiare / nel verde delle correnti.

 S’addorme la campagna / di limoni e d’arena /  del canto che si lagna / monotono di pena.

 Così prossima al mondo / dei gracili segni, / tu riposi nel fondo / della dolcezza che spegni.

 per le donne violate, ALDA MERINI

Il mio primo trafugamento di madre
avvenne in una notte d’estate
quando un pazzo mi prese 

e mi adagiò sopra l’erba

e mi fece concepire un figlio.
O mai la luna gridò così tanto
contro le stelle offese,
e mai gridarono tanto i miei visceri,
né il Signore volse mai il capo all’indietro
come in quell’istante preciso
vedendo la mia verginità di madre
offesa dentro a un ludibrio.
Il mio primo trafugamento di donna
avvenne in un angolo oscuro
sotto il calore impetuoso del sesso,
ma nacque una bimba gentile
con un sorriso dolcissimo
e tutto fu perdonato.
Ma io non perdonerò mai
e quel bimbo mi fu tolto dal grembo
e affidato a mani più “sante”,
ma fui io ad essere oltraggiata,
io che salii sopra i cieli
per avere concepito una genesi.

lo sguardo lungo del cielo d’estate 

Rispondere alla pancia della gente. Tutto arriva a destinazione solo se tiene conto delle ragioni della pancia: non quelle della mente o del cuore. La vita fasulla che la tv trasmette come reale; o le stesse intercettazioni telefoniche sulle trivialità private e le frequentazioni improprie di cedri finti-Libano che si schiantano; ma lo stesso linguaggio delle omelie è invitato ad andare alla scuola di ciò che la pancia della gente oggi può recepire: quel quid radical che  fa dell’individualismo la norma, e del tecnicamente possibile una laicità. Un assoluto presente senza passato: dunque senza incertezze. Lo sentite l’abominio di quell’assolutamente che sostituisce il sì o il no sulla bocca di troppi? Un assoluto che non afferma o nega di più; ma solo esclude i frammenti possibili del prima e del dopo di ogni sì e di ogni no: il dubbio di chi va, il timore trattenuto di chi andando cerca, di chi mette il futuro nel proprio presente.  Ma chi vorrebbe morire di mal di pancia? Una buona cura è l’estate. Un paesaggio, un infinito racchiuso, segnato ma solo in minima parte dalle opere degli uomini. Spazio ampio, apparentemente deserto. C’è una profondità di cielo che specchia la vastità della terra che chiede di essere attraversata. È un’immagine (forse la migliore) di come può essere l’estate: un tempo sospeso che si popola di ciò che appartiene alla storia vissuta. Spazio della memoria di ciò che è stato, di ciò che la vita ha consegnato a ciascuno. Ma è memoria che vive, che ci sopravvive, solo se è consegnata. E si consegna se si comunica, se esce da sé. Uno spazio privilegiato, quello dell’estate: ferma il rumore del produrre, dell’affannarsi, e fa risalire il corposo silenzio di ciò che è stato, in noi e prima di noi. Non c’è più memoria del mondo contadino da cui tutti veniamo, seppur in distanze e frequentazioni diversificate: dei suoi riti e dei suoi ritrovi, di nonni che si raccontano attorno al focolare, dei bisogni che alimentano speranze, di trebbiatrici sull’aia, di leggende che descrivono verità, e di storie che accendono la fantasia. Prima è sparita la neve nei recenti inverni fatti di canne fumarie sempre accese, poi è sparita la nebbia, con quello smarrirsi impaurito – e quel sospiro di sollievo a una voce che richiama e conduce – che Amarcord descrive così acutamente. Ed è rimasto il freddo di una stagione senza connotazioni. Potrebbe sparire quel poco d’estate rimasto, se per guadagnare la frescura artificiale dei centri commerciali, si lascia fuori ancora una volta il meglio: la nettezza dell’ombra che ti fa costeggiare le strade, e l’incessante orchestra di cicale che fluttua da pianta a pianta ad alleggerire i pensieri. Se nella ordinarietà della vita i cristiani si muovono e agiscono senza esibirsi, tuttavia ci sono momenti in cui è doveroso testimoniare ciò in cui si crede: ma si può testimoniare ciò che non si vive, o ciò che non si conosce? È il dramma del cristianesimo che oggi sta sfocando perché non lo si sa raccontare. Ma credo che, prima ancora e per noi, sia il dramma dell’uomo contemporaneo che non tiene caldi in sé i propri ricordi, e dunque non sa passare le sue memorie mentre va. Se non si apprende – non nozioni, ma vita; e persone, e le loro tristezze e le risate liberanti – come si può imparare a vivere? Ma potrebbe soprattutto sprecarsi la preziosità che l’estate è: fuori dal dover fare, il tempo dilatato conduce dentro il piacere di raccontarsi, e così di tramandarsi di generazione in generazione. È il passato che innesca l’oggi: e nel fare comunione sull’oggi si compone un progetto di futuro. Non sembri eccessivo o fuorviante, ma il processo è lo stesso che s’avvera nelle celebrazioni dei cristiani: facendo memoria si compone una presenza reale, del Cristo con noi nella messa, di noi tra noi là fuori, sotto un cielo tutto da abitare.         di att. bianchi, 2010

santiago, di ritorno

Ci rechiamo di buonora, nel buio degli sgoccioli della notte verso l’aeroporto, con ancora nella mente le forti emozioni vissute, sempre a portata di mano per quei momenti in cui hai bisogno di un po’ di conforto per affrontare la tua quotidianità spesso impregnata di situazioni dove il rispetto e l’aspetto umano vengono soppiantati da avidità ed arroganza senza confini.
Mentre viaggiavamo verso casa, parlando del più e del meno, ad un certo punto Bruno cambia espressione, e trapela evidentemente una particolare emozione, come quando si sente il bisogno di svuotare il sacco e… di botto… ci battezza appioppandoci un nuovo attributo: Pier si ritrova col nomignolo “Pà di müt” mentre il sottoscritto con quello di “Ul müt”. Da lì in poi Bruno buttò fuori tutta la sua fatica vissuta in quelle, per lui, interminabili ore di silenzio che lo assillavano durante il pellegrinaggio. E’ evidente che le parole del curato, che il Signore e la pace siano con voi, per Bruno non avevano avuto molto effetto, ma penso che comunque gli abbiano lasciato uno spunto su cui riflettere, magari in altri pellegrinaggi. Spesso non sappiamo dare il giusto peso e significato alle parole che ascoltiamo troppo superficialmente.
Magari Bruno, ha puntato più sulla relazione con me e Pier, che non sul “Signore e la pace”!  

    

 nel giorno dell'Assunta in Cielo

     Avevo imboccato quella strada senza nessuna ragione plausibile. La meta non era contemplata dal mio fittissimo programma di viaggio. Il sole picchiava martellate tremende. Ero stanco, quasi stralunato, dopo migliaia di chilometri percorsi attraverso gli itinerari più suggestivi della Spagna e una ubriacatura incredibile di musei cattedrali corride palazzi sangrìa folklore villaggi paella El Greco Goya e città sgrondanti storia da tutti gli angoli.

 Mentre la macchina aggrediva tonfando gli ultimi tornanti, mi domandavo ancora perché avevo sterzato d'istinto all'apparire del cartello «Montserrat». Sapevo soltanto che si trattava di un celebre santuario della Catalogna circondato da montagne caratterizzate da una stranissima forma conica. La chiesa era zeppa di pellegrini. Mi sono fatto largo, a forza di gomiti, fino al limite del presbitero, giusto in tempo per vedere sfilare i monaci e i ninos della antichissima Escolanìa che andavano a prendere posto sotto l'immagine della Vergine, chiamata affettuosamente « Moreneta ».

 Una melodia che sembrava arrivare da un altro mondo e che ti portava dentro un messaggio sconvolgente. Accanto a me, un omaccione irsuto piangeva senza ritegno. Pensavo a ciò che mi aveva detto tante volte un carissimo amico, il romanziere Luigi Santucci: «Basta una goccia di musica per far uscire l'uomo dalla bestia». E lo stesso mi assicurava che, per lui, il canto dei bambini accompagnato dall'organo rappresentava la prova decisiva dell'esistenza di Dio.

 L'ultimo rintocco del mezzogiorno venne coperto dalla prima nota della «Salve Regina», in gregoriano. Ma, per me, in quel momento, non era soltanto la musica. Il canto della «Salve Regina» aveva allacciato il mio sguardo all'immagine della «Moreneta», austera e dolcissima.                                     di A. Pronzato 

 

«Ci dimentichiamo di essere

                      dei vasi di argilla quando tutto va bene, quando viviamo nella gioia e
nell’entusiasmo e anche quando approfittiamo della fragilità degli
altri. Ce ne ricordiamo quando la fragilità ci colpisce, come le malattie del corpo o quelle che non si misurano con le analisi mediche, cioè le instabilità personali,
le fragilità nelle nostre relazioni, nelle famiglie e nei patrimoni. C’è anche il
rischio che siamo consapevoli delle nostre fragilità, ma dimenticandoci
che abbiamo il tesoro nel vaso di
creta, cioè la Persona di Gesù Cristo, con la sua grazia, perdono e
misericordia. Come equilibrare
questi due opposti? Possiamo
farlo coltivando la virtù dell’umiltà. Qui appare luminosa la figura di Santa Chiara,che dell’umiltà e della povertà ha fatto una scelta radicale».                                  

Francesco Beschi, vescovo 

Maria, donna innamorata 

del  vescovo Tonino Bello, da Maria, donna dei nostri giorni

I love you. Je t'aime. Te quiero. Ich liebe Dich. Ti voglio bene, insomma.
Io non so se ai tempi di Maria si adoperassero gli stessi messaggi d'amore, teneri come giaculatorie e rapidi come graffiti, che le ragazze di oggi incidono furtivamente sul libro di storia o sugli zaini colorati dei loro compagni di scuola.
Penso, però, che, se non proprio con la penna a sfera sui jeans, o con i gessetti sui muri, le adolescenti di Palestina si comportassero come le loro coetanee di oggi. 

Con «stilo di scriba veloce» su una corteccia di sicomòro, o con la punta del vincastro sulle sabbie dei pascoli, un codice dovevano pure averlo per trasmettere ad altri quel sentimento, antico e sempre nuovo, che scuote l'anima di ogni essere umano quando si apre al mistero della vita: ti voglio bene!
Anche Maria ha sperimentato quella stagione splendida dell'esistenza, fatta di stupori e di lacrime, di trasalimenti e di dubbi, di tenerezza e di trepidazione, in cui, come in una coppa di cristallo, sembrano distillarsi tutti i profumi dell'universo.
Ha assaporato pure lei la gioia degli incontri, l'attesa delle feste, gli slanci dell'amicizia, l'ebbrezza della danza, le innocenti lusinghe per un complimento, la felicità per un abito nuovo.
Cresceva come un' anfora sotto le mani del vasaio, e tutti si interrogavano sul mistero di quella trasparenza senza scorie e di quella freschezza senza ombre. 

Una sera, un ragazzo di nome Giuseppe prese il coraggio a due mani e le dichiarò: «Maria, ti amo». Lei gli rispose, veloce come un brivido: «Anch'io». E nell'iride degli occhi le sfavillarono, riflesse, tutte le stelle del firmamento.
Le compagne, che sui prati sfogliavano con lei i petali di verbena, non riuscivano a spiegarsi come facesse a comporre i suoi rapimenti in Dio e la sua passione per una creatura. Il sabato la vedevano assorta nell'esperienza sovrumana dell'estasi, quando, nei cori della sinagoga, cantava: «O Dio, tu sei il mio Dio, dall'aurora ti cerco: di te ha sete l'anima mia come terra deserta, arida, senz' acqua». Poi la sera rimanevano stupite quando, raccontandosi a vicenda le loro pene d'amore sotto il plenilunio, la sentivano parlare del suo fidanzato, con le cadenze del Cantico dei Cantici: «Il mio diletto è riconoscibile tra mille... I suoi occhi, come colombe su ruscelli di acqua... Il suo aspetto è come quello del Libano, magnifico tra i cedri...».
Per loro, questa composizione era un'impresa disperata. Per Maria, invece, era come mettere insieme i due emistichi d'un versetto dei salmi.
Per loro, l'amore umano che sperimentavano era come l'acqua di una cisterna: limpidissima, sì, ma con tanti detriti sul fondo. Bastava un nonnulla perché i fondigli si rimescolassero e le acque divenissero torbide. Per lei, no.
Non potevano mai capire, le ragazze di Nazaret, che l'amore di Maria non aveva fondigli, perché il suo era un pozzo senza fondo.
Santa Maria, donna innamorata, roveto inestinguibile di amore, noi dobbiamo chiederti perdono per aver fatto un torto alla tua umanità. Ti abbiamo ritenuta capace solo di fiamme che si alzano verso il cielo, ma poi, forse per paura di contaminarti con le cose della terra, ti abbiamo esclusa dall'esperienza delle piccole scintille di quaggiù. Tu, invece, rogo di carità per il Creatore, ci sei maestra anche di come si amano le creature. Aiutaci, perciò, a ricomporre le assurde dissociazioni con cui, in tema di amore, portiamo avanti contabilità separate: una per il cielo (troppo povera in verità), e l'altra per la terra (ricca di voci, ma anemica di contenuti) .
Facci capire che l'amore è sempre santo, perché le sue vampe partono dall'unico incendio di Dio. Ma facci comprendere anche che, con lo stesso fuoco, oltre che accendere lampade di gioia, abbiamo la triste possibilità di fare terra bruciata delle cose più belle della vita.
Perciò, Santa Maria, donna innamorata, se è vero, come canta la liturgia, che tu sei la «Madre del bell'amore», accoglici alla tua scuola. lnsegnaci ad amare. È un'arte difficile che si impara lentamente. Perché si tratta di liberare la brace, senza spegnerla, da tante stratificazioni di cenere.
Amare, voce del verbo morire, significa decentrarsi. Uscire da sé. Dare senza chiedere. Essere discreti al limite del silenzio. Soffrire per far cadere le squame dell'egoismo. Togliersi di mezzo quando si rischia di compromettere la pace di una casa. Desiderare la felicità dell'altro. Rispettare il suo destino. E scomparire, quando ci si accorge di turbare la sua missione.
Santa Maria, donna innamorata, visto che il Signore ti ha detto: «Sono in te tutte le mie sorgenti», facci percepire che è sempre l'amore la rete sotterranea di quelle lame improvvise di felicità, che in alcuni momenti della vita ti trapassano lo spirito, ti riconciliano con le cose e ti danno la gioia di esistere.
Solo tu puoi farci cogliere la santità che soggiace a quegli arcani trasalimenti dello spirito, quando il cuore sembra fermarsi o battere più forte, dinanzi al miracolo delle cose: i pastelli del tramonto, il profumo dell'oceano, la pioggia nel pineto, l'ultima neve di primavera, gli accordi di mille violini suonati dal vento, tutti i colori dell'arcobaleno... Vaporano allora, dal sotto suolo delle memorie, aneliti religiosi di pace, che si congiungono con attese di approdi futuri, e ti fanno sentire la presenza di Dio.
Aiutaci, perché, in quegli attimi veloci di innamoramento con l'universo, possiamo intuire che le salmodie notturne delle claustrali e i balletti delle danzatrici del Bolscjoi hanno la medesima sorgente di carità. E che la fonte ispiratrice della melodia che al mattino risuona in una cattedrale è la stessa del ritornello che si sente giungere la sera... da una rotonda sul mare: «Parlami d'amore, Mariù».

don Celso, anno duemila

 Raccontava a se stesso che era per il caldo: anche, ma non solo. La torrida estate l’aveva steso come non mai nei pur numerosi anni che ormai contava. Si era così ritirato in quel piccolo chiostro di piante incolte, e di alti arbusti che creavano un’oasi temperata appena fuori il vasto porticato sul retro della canonica. A leggere, libri e vecchie riviste accantonate per un anno, e il quotidiano fresco di mattina.

 E sulla pila dei giornali ammucchiati sul vecchio canterano di famiglia, aveva tenuto in vista quella notizia per troppi giorni per non volersene far disturbare, e provocare a pensieri rosminiani da cinque piaghe. “Per favore, non chiamatemi eccellenza”, così occhieggiava il titolo su tre quarti di pagina. E diceva del nuovo arcivescovo, descritto come un frate che porta sandali, deciso ad abitare in un rione popolare, mandato a salvare la Chiesa di Boston. I maligni sussurrano che è modesto solo a metà, che è un po’ troppo affettato, uso alle telecamere. Ma c’è anche chi lo conosce come un uomo dal cuore grande e vero. Speriamo, si dice don Celso, che non capiti mai a Roma dalle parti del Senato, dove ci stanno boutiques ecclesiastiche: lui, giusto qualche mese fa nella capitale per la predicazione di esercizi spirituali a una parrocchia sulla Nomentana, si era scandalizzato, prete com’è di provincia.

 Una volta nella vita aveva orecchiato un complimento che era bastato a tutta la sua vanità. Stavano dicendo di lui che non era “pomposo”. Dalle sue parti si traduce: uno che non si dà delle arie, schivo di riconoscimenti; in termini correnti: che non se la tira. Ma per lui non era virtù. Gli era connaturato il rifiuto del superfluo: certo un po’ esagerando – se lo rimproverava ma senza correggersi – non aveva mai voluto celebrazioni per i suoi anniversari di messa, e neppure mai aveva indetto inaugurazioni di sorta. Riteneva fuori tempo ogni titolo che non fosse vescovo, presbitero e diacono; e ogni paramento che fosse un tradimento del grembiale liturgico.

 Compativa senza proprio capire chi ci teneva, e anche questo si rimproverava ma senza correggersi. Come fa un vescovo a distinguere tra un prete e un altro? La mansione di un parroco di montagna è meno ragguardevole del notabile di Curia? E la distinzione tra primo e secondo e terzo grado di onorificenza, con filatteri diversi, che storia è? Che immagine si dà della Chiesa umile e distaccata? Che senso ha, e per la fede di chi? Aveva sperato che per il Giubileo si chiedesse ai già insigniti di deporre le vesti dell’inutilità, e l’aveva anche scritto al suo vescovo. Il settimanale diocesano, qualche mese dopo, avrebbe annunciato i “nuovi monsignori del Giubileo”.

 Se uno è considerato un santo, non lo si fa monsignore: era una regola non scritta della sua diocesi, che pure continuava a fabbricare onorificenze. Forse il vescovo, con traccia arguta, indicava palesemente chi non era santo?

 Pensieri da calura, di cui si sarebbe confessato. Ma alla fine dell’estate.  (di a. bianchi)

 

il potere del sorriso, di Concita De Gregorio

Gesti semplici. Qualcosa che somiglia a quel che accade a ciascuno di noi, quando accade. Il Papa che sale le scale dell’aereo portando la sua valigia, il futuro re d’Inghilterra che carica il piccolo principe in macchina nel seggiolino. Come tutti, e nonostante una condizione che permetterebbe di evitarlo, volendo: perché se sei abituato così – a portare la tua valigia, a prenderti cura delle persone che ami – fai così anche se sei il Papa, il prossimo re. Milioni di persone esasperate dalla quotidiana esibizione di tronfia protervia di chi concepisce il potere come personale privilegio e capriccio, restano quasi senza accorgersene incantate dal dettaglio. (…) A far diverso questo evento di globale distrazione estiva è lo stile. Quel che resta – della foto di lui in maniche di camicia, reduce dalla sala parto, e di lei con il vestito che tira sul petto – sono gli sguardi, i sorrisi, i gesti fuori controllo che somigliano ai nostri. Due minuti di ricreazione per il mondo intero, perché tutti hanno visto in un secondo la differenza che corre fra chi fa finta, si approfitta, si apparecchia diverso a suon di strafottenza e chi si carica il peso e la gioia di un viaggio nel suo stesso futuro portandolo a mano. Poi loro restano papi e re, certo. Ma che sia l’amore a fare la differenza in ogni cosa, anche in quelle in cui l’amore sembra che non c’entri, questo l’hanno visto tutti, in quel secondo. E pazienza per chi non lo sa e deride gli ingenui. Non sanno cosa si perdono, cosa si sono persi già. Non sanno da dove chiunque vorrebbe che la storia ripartisse. Facciamo da soli, grazie. Sorriso.

Quell'istante in cui i fiori scoppiano, di Aristea Canini 

 Quell’istante dove il sole diventa rosso e sembra pronto a ingoiarmi l’anima. Quell’istante dove incontro i tuoi occhi e ci vedo dentro l’anima. Quell’istante dove sento il profumo di pane fresco e rallento il cammino per farlo diventare benzina delle mie gambe e solletico delle mie voglie. Quell’istante dove vedo sbattere una nuvola contro l’infinito e sparire dietro l’orizzonte senza farmi male. Quell’istante dove le tue parole hanno un effetto diverso perché mi stai dando il tuo amore e quel secondo basta per farmi star bene per tutto il giorno. Quell’istante dove Dio non diventa uno da farsi pregare ma qualcuno da ringraziare. Quell’istante dove le parole di quelli che ascolto in tv spariscono e lasciano posto ai miei sogni e diventa tutto più chiaro. Quell’istante dove l’alba mi disegna l’avvenire e mi ci butta dentro. Quell’istante col tuo sorriso in faccia che mi regala il mondo. Quell’istante stamattina quando non avevo voglia di cominciare a scrivere e mi hai telefonato e mi hai buttato addosso la vita e ho accelerato per arrivare qui in redazione e mettere assieme parole per provare a regalare istanti ad altri. Quell’istante dove i fiori scoppiano pieni di petali e decidono di prendersi il mondo. Quell’istante dove cancello le parole di tutti quelli che incontro che parlano solo del meteo e dell’acqua che non deve esserci a maggio ma chi se ne frega, maggio e giugno non si sprecano nemmeno con la rugiada del cielo. Quell’istante dove mi infilo in strada deserte e divento padrona del mio vuoto. Quell’istante dove il fischio finale del campionato decide che abbiamo preso cinque gol anche oggi ma la fine all’improvviso diventa un nuovo inizio e ritorno a sorridere. Quell’istante dove Grillo non urla, il PD e PDL non si mettono più la lingua in bocca, la Lega non morde più, quell’istante che basta per darmi la voglia di rimettere i piedi sull’asfalto e rimettermi a correre verso altri istanti, verso altri attimi da far diventare eterni.

 

Favola estiva del 2012: un po’ riveduta e corretta, continua nel 2013

Gli italiani si godono la dolce vita, mentre il resto dell’Europa si affanna per ripagare i propri debiti? Sciocchezze! Gli italiani sono alle prese con la crisi e i pregiudizi, che il resto dell’Europa fomenta ad arte. Ma ora basta con i luoghi comuni. Un uomo è seduto alla finestra, sente il profumo del mare ma non lo vede. La sua casa, di quattro piani, sottile come un fazzoletto, è disposta in seconda file rispetto al lungomare di Meta di Sorrento, nel Golfo di Napoli. Qualche nave passa lì di fronte e saluta con il solito suono di sirena, inchinandosi a lui, com’è tradizione nel suo ambiente, e come anche lui ha fatto in quella fatale notte invernale. Adesso è seduto dietro le imposte chiuse, che il sole tramontando nel mare di Capri tinge ogni sera di rosso sangue; quasi non osa farsi vedere in giro, a volte si fa solo un giretto in motoscafo nei dintorni. Nessuna compassione per Francesco Schettino, il Capitano Dilettante, che la gelida notte del 13 gennaio ha fatto naufragare sugli scogli la nave da crociera “Costa Concordia” e che deve convivere con la colpa di aver causato la morte di 32 passeggeri. Anche a Meta, paese natale di Schettino posto tra il Vesuvio e Capri, nessuno prova compassione, anche se spesso è stato detto così. Nessuno dei suoi concittadini giustifica la sua viltà e le sue scuse, neanche i comandanti in pensione del Circolo Nautico in piazza, nemmeno il parroco nella Chiesa dei Naviganti di Meta. Solo una persona crede ad un complotto organizzato contro Schettino. Qualcuno ce lo ha messo lui lo scoglio lì in mezzo al mare, dice quest’uomo. Ma poi lui stesso si mette a ridere. E’ un amico d’infanzia, dice, una volta gli venne un crampo mentre nuotava in mare, Schettino era in canoa lì intorno e lo riportò a nuoto a riva salvandolo. Gli amici d’infanzia devono dirle queste cose, soprattutto se gli è stata salvata la vita.

 Dalla mia visita a Meta ho imparato due cose.

Primo: l’Italia è un pò come Francesco Schettino, che a mala pena esce di casa. Attualmente è la prigione più bella d’Europa. In questa estate, la seconda in tempo di crisi, molti italiani si sentono come in gabbia e isolati, abbandonati dal nord, ridicolizzati. Tuttavia: della crisi si parla ormai da anni, da quando sono venuta qui per studio 20 anni fa. E: gli italiani sanno di essere loro stessi responsabili della crisi. Sono già pronti per un risanamento generale della loro società con tutti i loro mali e malattie, si stanno dando da fare e ci stanno riuscendo. Secondo: pregiudizi e realtà devono essere accuratamente tenuti distinti. Gli italiani hanno perfettamente ragione ad essere irritati per l’immagine stereotipata, che il mondo dà di loro. Lo spendaccione, lo scroccone, l’ozioso frequentatore dei Club Med, gentaglia fallita del sud. E ancora: un capitano irresponsabile, che abbandona la nave mentre sta affondando, dando stupidamente la colpa al ponte scivoloso, a causa del quale sarebbe caduto finendo nella scialuppa di salvataggio. E’ questa più o meno l’immagine di tutta l’Italia? Queste immagini sono seducenti ma nonostante ciò errate: l’italia non è ancora KO. L’Italia non sarà ridotta in pezzi e rottamata come sta facendo ora una ditta americana con il relitto della nave al largo dell’isola del Giglio. L’Italia è viva, partecipa finanziariamente ai pacchetti di salvataggio come terza potenza economica nell’eurozona, e può darsi che proprio la crisi abbia riportato in vita l’Italia, “viva la crisi”, anche se può sembrare assurdo. Quindi estate sul Mediterraneo. Un’estate all’italiana con un incredibile debito di 1.9 mila milioni di euro, un livello di disoccupazione giovanile al sud che supera il 50% e un pericolo di infezione, che può partire dalla Grecia sull’orlo del fallimento e dalle banche spagnole. Ma gli italiani non restano in spiaggia a sonnecchiare, gli italiani meditano sui propri compiti…

  L’anti-politica fa bene agli italiani

Quando mi sono trasferita a Roma due anni fa, sono rimasta sbalordita da questa rumorosa spacconeria. Non avevo nulla contro la decadenza tardo romana o la sensualità dei cattolici – anche perché ho scelto io di venire a Roma. Quello che tuttavia ho trovato era un paese paralizzato, aggressivo e provinciale. Il paese dei miei sogni di un tempo non esisteva più. Nuotavo contro corrente. Mentre giovani laureati romani se ne andavano a Berlino, alla ricerca di un futuro, io lasciavo Berlino per trovarmi in una città, che si aggrappa al suo passato, senza essere arrivata al presente. Ma poi è iniziato un piccolo miracolo, la vecchia politica è stata mandata in ferie d’ufficio, sono comparsi senza essere eletti i tecnici, all’ultimo minuto. L’anti-politica fa bene agli italiani, il miracolo continua, è diventato un bel sogno estivo. Se Monti potesse, anche lui andrebbe in spiaggia a discutere dello spread con gli italiani, ma non non può, lavorerà tutta l’estate e se lo aspetta anche dai 630 parlamentari. Naturalmente ci sono sempre italiani in ferie al mare, solo che sono diventati consapevoli della crisi. In questo secondo anno di crisi con una meticolosità mai avvertita finora coloro che praticano lo sci nautico a grande velocità si tengono distanti dalle coste, si arriva a Rimini o ad Ostia in maniera ordinata e viene rilasciato lo scontrino per ogni acquisto, per gli ombrelloni, il gelato, lo spritz al bar. “Vacanze etiche”: questa è la nuova tendenza per le vacanze estive. Anche quest’anno i vicini europei fanno gruppo comune. Ci si muove tutti insieme, uniti come i passeggeri di tutto il mondo e i soccorritori italiani della “Costa Concordia”. Certo, non sono i viaggiatori colti dei grandi viaggi quelli che arrostiscono sulle spiagge italiane. Non ci sono Goethe, Winkelmann o Lord Byron – anzi: anche i turisti cercano l’ispirazione, sole, aria e stile di vita. Vogliono immergersi nella bellezza e nella Dolce Vita a completamento della loro efficienza.

  Il cittadino medio italiano è a dieta e sopporta con coraggio

Non tutti i tedeschi riescono a lasciare in valigia la loro germanicità. Un ristoratore della Sardegna racconta di una coppia, che recentemente voleva liberare i pesci dall’acquario del ristorante. L’uomo ha trovato l’azione di salvataggio alquanto strana. Coerenza tedesca contro la adattabilità italiana, si è fatto convincere, ha venduto ai tedeschi, per 500 euro, naturalmente con scontrino, due aragoste che i due hanno liberato in mare. Gli italiani fanno i compiti, e per questo vogliono essere rispettati e lodati dai vicini e dai mercati. E se lo sono guadagnato. Poiché gli italiani non vivono a scrocco e non si fanno mantenere dal ricco nord, questo è un altro pregiudizio. Il pinco pallino, il cittadino italiano medio, è a dieta e sopporta coraggiosamente, e non lo grida in piazza e blocca tutto, come i suoi vicini di sventura di Atene, anche questo è un miracolo. Sotto l’ombrellone e con l’insalata di pasta la Germania torna ad esser nuovamente argomento di discussione. Perché ci disprezzate, la Merkel è davvero così severa quando deve cedere? Queste sono le domande. L’Italia è come la Grecia? Gli italiani sono i nuovi spagnoli? Che arroganza, che luoghi comuni. Solo se restiamo uniti siamo europei. Senza gli stati del sud l’Europa è insignificante, fallita, i tedeschi lo dimenticano volentieri. Anche la crisi è una opportunità per imparare dal sud. Eppure la favola estiva continua in Italia…  [Articolo originale "Es lebe die Krise" di Fiona Ehlers, 2012]

 

Estate con papa Giovanni

Un nonno e un nipote, giornalisti e scrittori, hanno dato alla stampe per San Paolo, una bella biografia di papa Giovanni.  Essa racchiude, in poco più di centocinquanta pagine, quel tesoro si spiritualità, umanità e fedeltà a Dio che e’ stata la parabola umana di Roncalli, beato e prossimo alla canonizzazione prima della fine del 2013. Cinquant’anni fa Giovanni XXIII si spegneva nella pace di Dio e a distanza di tanti anni, la sua figura emerge ancora non solo nella devozione popolare ma come luce per comprendere il messaggio cristiano. La semplicità e la profondità del sacerdote bergamasco sono delineate attraverso i gesti, i pensieri, le preghiere e le azioni dell’autore del “Giornale dell’anima”: la sua famiglia, la formazione ed educazione nell’ambiente di fine Ottocento e poi la scelta vocazionale: il farsi prete per Dio e per gli uomini.  Don Angelo Roncalli non era un ingenuo e neppure solo un uomo coraggioso, sapeva affrontare le sfide anche difficili per un uomo che ha attraversato, nella sua esistenza, le tragedie del Novecento: dalle guerre mondiali alla nascita e l’affermazione dei totalitarismi.  Tutti i passaggi fondamentali della sua vita sono descritti dagli autori, in modo semplice, un modo bello e concreto per fare avvicinare le generazioni di oggi, che di don Roncalli divenuto Giovanni XXIII hanno sentito parlare i nonni, oppure hanno letto qualche scarna nota sui manuali scolastici di storia.  Leggendo il volume degli Agasso il lettore si immerge invece in una vita bella, di una persona che nelle mille difficoltà della  vita si e’ affidata a Dio, a Gesù’ come bussola per orientarsi sulle strade del mondo. Gli autori parlano dei complessi passaggi della  Sua vita, e lo fanno in modo chiaro, completo e comprensibile. Una  ulteriore prova di capacità divulgativa e di profondità di messaggio.          Agasso, Papa Giovanni XXIII, San Paolo, pp. 151 euro 9,90 

 

 Ricchi e poveri d'estate di Alberto Moravia  

Col caldo anche i caratteri si scaldano: ma per il ricco è un'altra cosa...
Con l'estate, forse perché sono ancora giovane e non mi sono ancora adattato al fatto d'essere marito e padre di famiglia, mi viene sempre  la voglia di fuggire.
 D'estate, nelle case dei ricchi, si chiudono le finestre alla mattina e l'aria fresca della notte rimane nelle stanze ampie e oscure, dove,  nella penombra, brillano specchi, pavimenti di marmo,  mobili lucidati a cera.
Tutto è a posto, tutto è pulito, ordinato, nitido; perfino il silenzio è un silenzio fresco, riposante, buio.
Se poi hai sete, ti portano su un vassoio una bella bibita gelata, un'aranciata, una limonata, in un bicchiere di cristallo in cui i blocchetti di ghiaccio, a rimescolarli, fanno un rumore allegro che da solo ti rinfresca.
Ma nelle case dei poveri le cose vanno diversamente. Col primo giorno di caldo, l'afa entra nelle d
ue stanzette affogate e non se ne va più via. Vuoi bere ma dal rubinetto, in cucina, viene giù un'acqua calda che pare brodo. In casa non ti puoi più muovere: sembra che ogni cosa, mobili, vestiti, utensili, si sia gonfiata e ti caschi addosso.

Tutti stanno in maniche di camicia, ma le camicie sono sudate e puzzano. Se chiudi le finestre, soffochi perché l'aria della notte non ce l'ha fatta ad entrare in quelle due o tre stanze dove dormono sei persone; se le apri, il sole t'inonda e ti pare d'essere in strada e tutto sa di metallo bollente, di sudore e di polvere.
Col caldo, anche i caratteri si scaldano, voglio dire diventano litigiosi: ma il ricco, se gli gira, prende e se ne va in fondo all'appartamento, tre stanze più in là; i poveri, invece, rimangono davanti ai piatti unti e ai bicchieri sporchi, naso a naso; oppure debbono andar via di casa. L'inverno e l'estate sono evidentemente due stagioni... classiste, tanto netta è la distinzione che esse fanno fra ricchi e poveri, fra le case ben protette e riscaldate dei primi nella stagione fredda (che sono anche le più arieggiate e ombreggiate sotto la sferza del solleone) e le umili dimore degli altri, che a volte sono semplici baracche, o piccole e vecchie stanzucce senza sole dove dominano i gelidi spifferi dei venti invernali e nelle quali d'estate regnano l'afa e l'aria stagnante, maleodorante, come accade 
nei locali sovraffollati.

 

 

Temporale       di Nancy Peterson 

L'aria, calda per tutto il giorno, opprime gli alberi, piega le corolle dei fiori, grava sulle mie spalle.
Mi avvicino alla finestra con un senso di disagio.
Ecco, lì a occidente, la spiegazione.
Strati su strati di nuvoloni giganteschi si addensano, si gonfiano, s'impennano nel cielo azzurro creando figure fantastiche.
Ben  presto le nuvole coprono il sole del tardo pomeriggio, e la giornata si oscura anzitempo.
Una raffica di vento frusta la polvere lungo la strada.
Una porta sbatte, le tendine si gonfiano e ondeggiano.
Corro a chiudere le finestre, a ritirare la biancheria stesa.
Smorzato dalla distanza, mi giunge il cupo brontolio del tuono.
Le prime gocce di pioggia sono spropositate; si spiaccicano nella polvere, rigano le finestre, tambureggiano rade sulla tettoia del patio.
Poi più veloci, come un rullo di tamburo in crescendo, le singole gocce diventano un  
esercito in marcia sulla campagna e sui tetti.

Qualche attimo dopo il cielo sembra spaccarsi, e io sussulto di paura.
Non più appostato in lontananza, il tuono fa tremare i vetri e manda il cane a nascondersi sotto il letto. Lo scoppio successivo è ancora più vicino e io faccio un involontario passo indietro.
So che non dovrei stare vicino alla finestra per ragioni di sicurezza, ma non so rinunciare allo spettacolo.
La pioggia diventa un torrente agitato a capriccio da un vento sempre più forte.
Insieme, pioggia e vento martellano gli alberi e piegano l'erba.
Dai tetti e dalle grondaie scende acqua furiosa, e il rovescio contro le finestre così fitto e 
continuo che non riesco a vedere nulla.

Nello scrosciare uniforme si inserisce ora il rumore della grandine sul tetto.
Chicchi bianchi rimbalzano contro l'erba e bucherellano le pozzanghere.
Ma ormai il temporale ha perso lena.
La tensione presente nell'atmosfera si è scaricata.
Le cortine di pioggia lasciano filtrare più luce, e il tuono brontola per l'ultima volta. ...
Mi vien voglia di uscire mentre ancora piove.
Una nebbiolina di gocce polverizzate mi bagna nonostante il riparo della tettoia, ma è fresca e gradita. Respiro a fondo e guardo il sole che si riaffaccia negli squarci tra le nuvole.
Un raggio colpisce le goccioli ne formatesi sull'orlo del tetto, che diventano ciascuna un piccolo
spettro di colori, la mia schiera privata di arcobaleni.
Tutto intorno a me sembra rinato, e anch'io mi sento così.
Provo un senso di pace infinita.


 il dilemma del porcospino, di A. Schopenhauer__________ «Alcuni porcospini, in una fredda giornata d'inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l'uno dall'altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell'altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione. Così il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l'uno verso l'altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l'uno lontano dall'altro. La distanza media, che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si trova nella cortesia e nelle buone maniere.  A colui che non mantiene quella distanza, si dice in Inghilterra: keep your distance! ? Con essa il bisogno del calore reciproco è soddisfatto in modo incompleto, in compenso però non si soffre delle spine altrui. ? Colui, però, che possiede molto calore interno preferisce rinunciare alla società, per non dare né ricevere sensazioni sgradevoli». Se due persone iniziassero a prendersi cura e a fidarsi l'uno dell'altro, qualsiasi cosa spiacevole che accadesse ad uno di loro ferirebbe anche l'altro. Che cosa scegliere? 


 

La vera storia di sant'Attilio da Collosa
di Ilaria Vajngerl Padre Attilio morì muto. Mi piacerebbe almeno salutare, questo fu il suo ultimo pensiero. Ma aveva fatto un voto, spirò in silenzio.

Se avesse custodito la premonizione che Dio gli aveva mandato in sonno, Nostrossiggnore-gesùcristo non l'avrebbe fatta avverare. E sarebbe stato un bene, un sacrificio compiuto per VoiTutti. Così don Attilio smise di parlare.
Perché, anche se Collosa era una città di peccatori, vergognatevi, perché sono tutte balle quelle che vi raccontano, l'inferno esiste davvero e i diavoli, a voi, pungeranno il culo!, lui avrebbe salvato il suo amatissimo gregge dal buio di un destino incerto, così parlò quell'ultima volta.
Poi scrutò i fedeli e si portò agli occhi  le dita indice e medio della mano destra aperte a V, V di VI VEDO, che puntò subito dopo verso la folla sbiadita.
Nei giorni che seguirono il suo funerale non erano piovute cavallette e i primogeniti continuavano ad essere picchiati dai fratelli più piccoli, ma più grossi, segno che l'alleanza fra Dio e il sacerdote era andata a buon fine.
Un secolo dopo, Sua Santità Papa Angelico il Pio provvide personalmente alla canonizzazione del prete, così anche il suo più intimo desiderio, comparire sul calendario di Frate Indovino, poté essere  realizzato. 

Postumo, sì, ma realizzato. E diciamolo, Sant'Attilio da Collosa suona proprio bene.

 Se avesse mantenuto il primo nome, quello che portava quando era bambino, sul calendario non ci sarebbe finito. E nemmeno sarebbe diventato prete, questo è certo.Nella famiglia di don Attilio avere un nome che iniziasse con la A, portava bene, era tradizione. C'era Anna, sua madre, e Andrea, suo padre, poi venivano Adele,  Agnese, Alberto e Antonio. E in ultima, c'era lui, Attilio. 

Attila.

Padre Attila, bé sarebbe stato originale, davvero, Padre Attila flagello di Dio.
Eh, no, no non si può fare proprio carissimo, questo è certo. Trovi qualcosa di più consono, ecco, così gli dissero. E  Attila fu ribattezzato Attilio, Perilbenenostroetdituttalasuasantachiesa. Amen.

 Le orecchie di padre Attilio erano simili all'altoparlante di un grammofono. E funzionavano ancora meglio. Poteva ascoltare la voce del padreterno dall'orecchio sinistro. E Dio a don Attilio ci si era affezionato. Così 

  prima del sorgere del sole, Nostrosiggnoregesùcristo, che vi guarda tutti dall'alto, figli di Eva!, andava a mostrare al parroco la melma nascosta sotto Collosa.

Padre Attilio il bonificatore, si faceva chiamare.
Ti ho visto l' altra notte, sai!?! Esordiva così, gli piaceva comparire alle spalle d'improvviso. Il peccatore sobbalzava, abbassava il capo impallidendo e infine si voltava tremante. Pensava che forse allora Dio esisteva davvero, l'aveva scoperto, e che, per favore Dio, fammi passare almeno questa,  andrò a messa tutte le domeniche. Lo giuro.
Don Attilio, bé, non sbagliava un colpo. Era anche meglio di uno che fa i miracoli.
Nessuno poteva immaginare che dietro i suoi prodigi ci stesse una zanzara.

La pianura di Collosa, una volta, era una palude marrone. Gli abitanti della città se ne ricordavano soltanto in estate, quando le zanzare cominciavano ad avere sempre più sete e gli abitanti  più prurito. Le ragazze si profumavano con la citronella, le zitelle mangiavano l' aglio,  usando la puzza del sudore come repellente naturale.
Padre Attilio invece si lasciava pungere per fare penitenza e poi, mica poteva grattarsi. Eh no, infilava avemarie, padrenostri e chi più ne ha più ne metta.

 Fu in una notte di luglio che una zanzara canterina, una di quelle che prima di pizzicarti te lo sibila all'orecchio, rimase intrappolata nel condotto uditivo sinistro di padre Attilio, che nei suoi accarttocciamenti notturni era solito ficcare la testa sotto il cuscino.
Nell'orecchio del sacerdote si stava stretti, è vero, ma era un posto sicuro, umido al punto giusto.  La zanzara decise di rimanervi.

 L'indomani padre Attilio si svegliò sereno. Fece colazione, andò in bagno chiudendo dietro di se la porta a chiave. Solo per precauzione.
Da piccolo acchiappava i rospi più grossi e li gettava nel catino mentre Adele e Agnese si lavavano la schiena. Il più delle volte l'acqua della vasca era troppo calda, le rane morivano quasi subito, si gonfiavano e diventavano bianche. Agnese non diceva nulla, si rivestiva e andava ad aiutare sua madre in cucina. Adele vomitava. Padre Attilio si lavò denti, si fece la barba e si insaponò le ascelle.
Agnese se ne rimaneva tranquilla. E questo Attila proprio non sapeva spiegarselo. Poi un giorno, mentre se ne stava solo in ammollo, sua sorella era entrata di soppiatto con un mazzo di ortiche. Era arrivata da dietro, gli aveva infilato la testa sott'acqua, tenendolo stretto per i capelli. Quando l' aveva sentito dibattersi aveva mollato la presa. Lui era subito scattato in piedi, aveva bisogno d'aria.  
Lei allora aveva iniziato a colpire. 
Agnese anche quella volta era rimasta in silenzio, aveva  gettato quel che rimaneva delle ortiche nel letamaio e se ne era  tornata in cucina ad aiutare sua madre.

 Padre Attilio cominciò a sentire la voce della zanzara nel confessionale. Inginocchiato c'era il notaio. Odio mia moglie. Non la sopporto. Nel mio studio ho messo un divano. È lì che sto finito di lavorare. Rientro per cena. E mia moglie mi sorride, è perfetta, come una volta. Io la odio ancora di più, mi fa sentire in colpa. Mi fa sentire vecchio.
Digli che sua moglie ha l'amante. L'ho vista.
Padre Attilio pensò di essersi sbagliato, in chiesa a quell'ora non c'era nessuno.
Digli che sua moglie ha l'amante.
Il sacerdote non voleva ascoltare, non capiva.

 Quando Attilio andò a pregare, Dioaiutamisatanahasceltome, la zanzara finalmente uscì dal  nascondiglio per presentarsi. Senti prete, mettiamoci d'accordo. Tu di giorno mi fai rimanere dentro il tuo orecchio, al sicuro. In cambio poi ti racconto quello che succede la notte, quando io vado a mangiare e tu dormi. Ci diamo il cambio, posso rendermi utile.

 Presto la moglie del notaio uccise suo marito. Lo trovarono in fondo alle scale con la testa fracassata. Pensarono ad un malore. Ma padre Attilio, no, lui sapeva che era stato ucciso con due colpi di fucile.
Ma cosa dice, qui non ci sono proiettili!
Padre Attilio condusse allora il commissario giù in cantina. Diceva, Dio mi guida, camminava con gli occhi sbarrati, a lui guardare mica serviva. 
Fermati prete. Lì dietro c'è qualcosa, sento l'odore. 
E così fu trovato l' Hammerless a canne cromate col calcio sporco di sangue.
Il notaio era stato ucciso con due colpi di fucile, assestati precisi, dietro la nuca, come si fa con le trote. Sparare sarebbe stato rischioso. Meglio usare l'arma come una mazza.
Io te l'avevo detto, prete, di dirgli che si era fatta l'amante. Se ne sarebbe andato, sarebbe  stato più triste, ma almeno sarebbe vivo. E tu no. Guardalo, cosa dirà ora il tuo Dio?

 L'onnipotente si limitava a tacere, Dio ci aspetta. Padre Attilio no.
Mandava di ronda la zanzara. 
C'era il professore di greco che per arrotondare la sera si vestiva da donna e andava al porto. Sapeva di detersivo. C'erano le donne che leggevano di nascosto i diari delle figlie. C'erano le figlie che saltavano dalla finestra e andavano a farsi leggere la mano. Qualcuna piangeva. C'erano quelle che dormivano sole e sognavano di avere qualcuno accanto. C'erano le mogli che non riuscivano a prendere sonno perché il marito russava troppo forte. C'erano i vecchi dell'ospizio, che facevano l'amore tutti insieme, per non sentirsi soli, ché tanto non li badava nessuno. C'erano i sospiri di chi sta per morire, di quelli che guardano la notte dalla finestra, e le sorridono, perché non c'è più tempo per fare altrimenti. C'era chi si suicidava. 
C'era chi tagliava i capelli della sorella, più bella. Chi di notte si alzava per mangiare. C'erano le ninne nanne e le bestemmie. Anche quelle, sì, perché no.

 Don Attilio ogni giorno si dava da fare, era una missione la sua, ci credeva. Prete, se il tuo Dio mi ha mandato ci sarà pure un motivo, in piedi! E lui prendeva il bastone e usciva di casa, ormai aveva smesso di pregare, mica serviva.
La messa delle undici era gremita di peccatori, le anime con la coda, li chiamava. Entravano curvi, guardando il pavimento, si bagnavano appena le dita con l'acqua santa, quasi scottasse. Si facevano un segno della croce svelto, poi prendevano posto il più lontano possibile rispetto all'altare. Come il primo giorno di scuola, arrivavano in anticipo per occupare i banchi più in fondo.
Almeno un tre quarti dei suoi fedeli era gente nuova, alcuni, quelli che ormai erano già stati scoperti, Santiddiononfarmiadareall'infernoperdonamisehopeccato, speravano nella divina assoluzione. Gli altri, quelli che ancora dovevano essere scovati, dicevano a Dio, solo questa, solo questa e poi la smetto, te lo prometto, ma fa che Attilio non lo venga a sapere.

 La fama del sacerdote, L'Orecchio del Signore, si diffuse ben presto in tutta la nazione. I Collosini quando viaggiavano e qualcuno chiedeva loro da dove venissero rispondevano, sto dove abita padre Attilio, sapendo che l'altro poi avrebbe esclamato, ah, a Collosa, c'è stata mia nonna!
Andava così, tutte le volte.
Prete, sei famoso, eh? Non mi ringrazi?
Attilio pensava che il suo nome sarebbe stato ricordato per sempre, di Attilio ce n'era uno, mica come Attila. Fu un venerdì mattina che padre Attilio svegliandosi trovò la zanzara spiaccicata sul cuscino. Probabilmente ci si era rotolato sopra tutta la notte. Di lei non restava che una macchia rossa con le zampe tese verso il soffitto. Forse chiedeva perdono.
Il sacerdote ebbe un capogiro, non riuscì ad alzarsi, bisognava pensare.
Non avrebbe sopportato di essere dimenticato, questo lo sapeva. Ma cosa avrebbe detto al vescovo,  ai pellegrini, o al sindaco quando avrebbero chiesto i suoi stimati servigi?
Gli avrebbero dato dell'impostore.
Non doveva succedere, per nessun motivo. In fondo anche lui aveva fatto del bene. È dai poteri che si giudica un santo? Non doveva compromettersi, non poteva.

Questa  notte Dio mi è apparso in sogno. Fratelli miei, porto dentro un segreto, che se rivelato risulterà mortale per Noitutti. Così ho stretto un patto col Signore nostro, per salvare voi che peccate, l'umanità intera, che ho più a cuore della mia stessa vita. Smetterò di parlare, ho fatto un voto. D'altra parte voi farete i conti direttamente con Dio, che è infinitamente giusto.  Nostro signore  mi vuole mettere alla prova, ancora una volta, se custodirò la Rivelazione fino alla fine dei miei giorni, allora vivrete sicuri, mio amatissimo gregge, lontani dal buio di un destino incerto.

 Così parlò quell'ultima volta.


La nostra cronaca 2012-2013

  • 29 giugno - una giornata di ritiro in rettoria dell'associazione Phisis.
  • 27 giugno - invasioni delle camminate Cre/Grest: da Erve Rossino Carenno, sorpassano da Pontida il Canto e pranzano nel chiostro prima di ripartire verso la chiesa di Brusicco dove celebrano; da Botta, sosta di preghiera in passaggio verso il santuario della Madonna del castello di Ambivere;  da San Gervasio, numerosissimi pranzano tra sagrato e chiostro prima di scollinare verso Mapello; oltre a quelli di Brivio, ed altri che, nei giorni scorsi, sono passati senza registrarsi.
  • 22 giugno  - viene un gruppo da Milano, delle parrocchie dell'Immacolata e di Sant'Antonio: dopo le lodi in chiesa hanno fatto un incontro in salone sulla figura di Padre Turoldo, ed hanno poi fatto preghiera al cimitero. Leggere di più

contrAppunti

Il reddito di cittadinanza è una misura di Welfare contro la povertà. Che qualcuno, e forse parecchi, se ne approfittino per frodare lo Stato, dunque noi tutti, non muta di una virgola intenzione e natura del provvedimento: a meno che si pensi, per esempio, che la piaga dei falsi invalidi si risolve abolendo le pensioni di invalidità. Ovvero che per punire chi non ha bisogno né diritto, si deve penalizzare chi ha bisogno e ha diritto. La destra sedicente sociale simula di essere “popolare” ma, al dunque, non vuole tassare i ricchi e non vuole che i poveri ricevano sostegno pubblico. Il sovranismo è una polpa mendace il cui vero nocciolo rimane la selezione naturale. Una destra degna di questo nome dovrebbe dirlo con schiettezza: siamo contro il reddito di cittadinanza perché siamo per la selezione naturale. Lo dicessero, molti equivoci dell’attuale scena politica finalmente svanirebbero. (M. Serra)

“Ultim’ora: bambini preoccupati per i loro genitori lanciano petizione per far chiudere Fuori dal Coro di Rete 4”. (lercio.it, riportato da A. Dipollina)

Che avesse ragione Guido Ceronetti, quando nei lontani anni 70 paventava il male di laurea? Era convinto che gli agitati della laurea, «i maniaci del possesso di un’illusione di potere» fossero meglio «frolliti e pronti alle lobotomie» di verità abusive. Questo incubo (la «dotta ignoranza» di cui parla Montaigne) mi è tornato in mente leggendo del plurilaureato che non vuole vaccinarsi. Si chiama Valentino Di Carlo, ha 41 anni, insegna a Lecco in scuole e istituti superiori da precario e ha spiegato che non vuole vaccinarsi e non ha il green pass. Le sue lauree sono in Scienze politiche, Scienze filosofiche e Lettere moderne (prendi tre paghi due, con pochi esami aggiuntivi) ma l’ottusità è una sola: no al green pass perché lede chissà quale diritto, no al vaccino per non fare da cavia. Nella situazione in cui siamo non si può giocare con la vita degli altri e se uno con tre lauree non ha capito che il vaccino è l’arma più efficace a disposizione per affrontare l’epidemia che ci ha messo in ginocchio, allora significa che la situazione è disperante. Di Carlo confonde la forza delle opinioni con le opinioni della forza (bruta). Il pezzo di carta non serve a niente, il seme delle storpiature cresce nelle nostre menti e chi ne viene infettato brama infettare, è un sadismo antico che nessun titolo di studio può sanificare. (A. Grasso)

Nelle dichiarazioni programmatiche al Senato c'è spazio anche per una citazione di Papa Francesco sui temi ambientali: «Il riscaldamento del pianeta - ha detto infatti Draghi - ha effetti diretti sulle nostre vite e sulla nostra salute, dall’inquinamento, alla fragilità idrogeologica, all’innalzamento del livello dei mari che potrebbe rendere ampie zone di alcune città litoranee non più abitabili. Lo spazio che alcune megalopoli hanno sottratto alla natura potrebbe essere stata una delle cause della trasmissione del virus dagli animali all'uomo. Come ha detto papa Francesco “Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l'opera del Signore”». Un po’ di papa non ci sta mai male. Che se poi lo cita il presidente nuovo ci sta giusto.

i due galletti - Tutta la città ne parla: Ibra e Lukaku faccia contro faccia (alla faccia del distanziamento) che suggeriscono alle rispettive madri quale attività intraprendere. Non per essere cinici, ma è stato prima di tutto uno spettacolo formidabile: due titani, il bianco e il nero, che eruttano guerra, mentre i compagni attorno, improvvisamente nani, tentano disperatamente di dividerli, ma rimangono sotto di una spanna. Ha cominciato Ibra, che è un tipaccio, sfiorando l’insulto razzista (una vecchia, sciocca diceria su pratiche woodoo della mamma di Lukaku: che per altro è più cattolico del Papa). Lukaku, che è buono come Garrone, non ci ha visto, e a quel Franti milanista ne ha dette di tremende. Perché sia ben chiaro che non è privilegio dei bianchi, il potere di umiliare. Fatto il sunto, credo onesto, io che sono interista fino all’osso, e per Lukaku e la sua mamma farei qualunque cosa, intercedo per Ibra: sì, è stata colpa sua, ma non accanitevi. È anche lui un figlio dell’insulto, figlio di immigrati bosniaci in Svezia, cresciuto senza padre, salvato da un’infanzia di merda (mi correggo: un’infanzia difficile) in virtù della statura e dell’estro calcistico.

Frottole di Natale, di Michele Serra -- Si apprende dal Salvini che esiste un “diritto al Natale”, e questo diritto è negato dal governo. Siamo in piena Radio Maria, con Satana che gongola perché i comunisti vogliono impedire ai bimbi, ai papà, alle mamme, ai nonni, agli zii, ai cognati, ai cugini, ai padrini e alle madrine di radunarsi a frotte per mangiare il capitone, l’abbacchio, il panettone, il torrone, in uno spolverio magico e scintillante (molto natalizio) di goccioline e sputacchi emessi dal più tossicchiate, e dunque sospettabile, dei convitati. (..) È legittimo pensarla così, ma a un patto: dire a chiare lettere, sillabando le parole, “sappiamo benissimo che senza distanziamento, mascherina, chiusure, il numero dei morti sale di molte migliaia, ma è un prezzo da pagare alla sacrosanta voglia di fare finta di niente”. ... (6. 12. ’20). Non cita, l’autore, le famiglie allargate, di cui invece raglia, vivendole, il suddetto. Ma insomma, ci capiamo. Questi è quello che nonni, bimbi ... ecc ecc, voteranno, ahinoi!

OGGI, 29 novembre ore 13 - leggo che nel Concistoro di ieri i nuovi cardinali (con la mascherina e distanziati, da buoni cittadini del mondo prima che del Vaticano) si sono presentati, come di rito, vestiti di porpora. Meno uno. Non volete che avessi la presunzione che fosse arrivato il mio desiderio (vedi il daQui qui sopra) dell'altro ieri? Un francescano ha scelto di tenersi il saio - adesso non so se già nella cerimonia o nel seguito della sua vita. Ma quel francescano è un Cappuccino, non il Minore. Credo che la sberla sia volata, in continuità storica con le divisioni già incominciate tra i francescani, Francesco ancora vivo.  Quando scrissi non sapevo dell'altro; ora so che almeno uno ... . Lo scossone c'è. E sono contento. Voi pure? (abi)

nei giorni in cui gli eroi di ieri sono gli imputati di oggi un pezzo di Luca Bottura - "E dov’è Emergency adesso?". Se lo chiedeva un tizio cattivista, qualche tempo fa, in una di quei flame sui social che normalmente attaccano i "buonisti". Subito sotto, la solita raffica di commenti melmosi. È l’Italia che manco adesso, come certi giornalacci fasciopopulisti, non riesce a non cercare il colpevole in chi arriva da lontano. Quelli che campano di domande retoriche cui rispondere con un rutto: e le sardine? E i cinesi? E i comunisti? Pronti: i medici di Emergency sono al lavoro in Lombardia, per supportare la sanità pubblica contro il Covid. A Milano sono sbarcati altri medici: cubani, cinesi. Le sardine non possono essere in piazza ma ne conosco personalmente (come il sardone Roberto Morgantini, a Bologna, con le sue Cucine popolari) che cibano chi non può #stareacasa perché la casa non ce l’ha. Ecco dove sono, tutti. A dimostrarvi che almeno in questi giorni dovreste girare verso il muro la gigantografia di Mario Giordano, difendere altri italiani come voi, magari solo più generosi. E magari prendervela con il ministro ceco che ci ha rubato un cargo di mascherine e respiratori: guardacaso, è sovranista.

di Paolo Berizzi, La Repubblica   -   La Procura di Bergamo apre un’inchiesta sul corteo no-lockdown di giovedì scorso culminato davanti all’abitazione del sindaco Giorgio Gori, tra striscioni, fumogeni, slogan e insulti. Venti le persone denunciate dalla questura per manifestazione non autorizzata e violazione del Dpcm, che prevedeva il coprifuoco serale. La relazione della Digos — depositata ai pm — ha accertato la partecipazione, a fianco di commercianti e negazionisti, di militanti neofascisti: dieci indagati sono di CasaPound.Tra i denunciati anche l’avvocato-ultrà Marco Saita, dichiarate simpatie di estrema destra, autore di una rubrica sportiva sul sito de L’Eco di Bergamo, giornale di proprietà della Curia. Purtroppo giornale e tv si sono presi una autonomia che rasenta l’indipendenza: qualcosa cui dovrebbe ormai intervenire chi è delegato a quegli strumenti. Fatto notare da tempo. (n.d.r.)

I single al tempo del Covid - Per loro, la privazione della socialità, del cinema il giovedì, del teatro la domenica, dello sport in compagnia è dolorosa perché è proprio in questo che consiste la loro vita. ... È per questo che gli amici single o senza figli intorno a me ora si chiudono a cerchi di sei persone che fanno il patto di frequentarsi solo tra loro. Memori dell’angoscia solitaria del primo lockdown , dopo la chiusura dei luoghi di socialità e il coprifuoco, molti stanno facendo sbucare nei soggiorni i pouf gonfiabili e i divani-letto, proponendosi convivenze solidali e qualunque cosa possa generare protettive familiarità temporanee. Non basta proteggerci dal virus, dobbiamo proteggere anche la nostra capacità di relazione. La velocità del contagio ora non ci lascia scampo: se vogliamo vivere e far vivere siamo obbligati all’isolamento. Tuttavia possiamo compiere l’atto creativo di trasformare in fisiche le vicinanze emotive e decidere che isolamento non vuol dire solitudine. Se potete, chiedete a una persona cara di valutare una convivenza amichevole di un mese. Scegliamo un volto quotidiano, solo uno, che ci conservi viva la capacità di riconoscere tutti gli altri. (M. Murgia)

di Natalia Aspesi - È incomprensibile che la nostra opposizione si serva del Covid per raccattare consensi, che non abbia l’intelligenza e la generosità di capire che una pandemia non ha colore se non quello della disperazione. Sapere quindi che i lombardi, i milanesi, in realtà quasi tutto il mondo (in Francia per esempio dalle 21) devono tapparsi in casa dalle 23 alle 5 del mattino, mi lascerebbe egoisticamente indifferente se non ci fosse, almeno nei siti ma anche in alcune piazze e su certa stampa ghigliottina, la ribellione contro la dittatura sanguinaria tipo Pol Pot del governo, e meno male che adesso per la Lombardia, per Milano, la decisione l’ha presa il confusionario e macilento governatore, che essendo leghista è protetto dal segretario del partito, attualmente impegnato a segnalare l’arrivo quotidiano di milioni di immigrati infetti (dopo gli italiani?) e a sostenere Trump indossando una mascherina prendingiro (i mascherati per convinzione): e il buonuomo, diventato star di un massacrante Report, si è comunque gravato di una dura responsabilità: soprattutto politica.

 Una donna non comune - La senatrice Liliana Segre ha deciso di affidare proprio ai  ragazzi  di  Rondine–Cittadella della Pace, l’ultima testimonianza della sua  tragedia a lieto  fine , invitando sempre tutti a fare «la scelta» coraggiosa del Bene. Lei la fece  quando  vide  il  comandante dell’ultimo   campo,  «un   uomo crudele, che continuava a colpirci col nerbo di bue, e che improvvisamente  cominciò  ad  aver  paura di  noi. Si  spogliò, si  mise in  mutande, mandò via il cane e gettò a terra  divisa  e  pistola.  Ebbi  l’impulso di raccoglierla  e di sparare. Mi  sembrava  un  giusto  finale  di quel periodo incredibile. Fu un attimo,   importantissimo,   decisivo nella  mia  vita,  perché  capii  che mai avrei potuto uccidere qualcuno.  Non  ho  raccolto  la  pistola  e, da quel momento, sono diventata quella  donna  di  libertà  e  di  pace con cui ho convissuto fino a ora».

Accanto ai peana di questi giorni … – Sebbene trasgressiva, Rossana Rossanda condivise alcuni orrori del comunismo. Celebriamo la memoria della Gran Dama colta e carismatica che Togliatti mise al posto dell’eretico “cacciato”: Vittorini. Disciplinata nemica del marmo stalinista, si invaghì del castrismo e poi della feroce Cina di Mao, compresa Tienanmen. Si sedette “dalla parte del torto” ma già allora avevano ragione i vituperati riformisti, anche se meno glamour. (F. Merlo)

il motto dannunziano - Ad Ascoli Piceno giovedì il capitano leghista ha indossato una mascherina nera con la scritta «Memento audere semper» (ricordati di osare sempre) con riportata la firma di Gabriele D’Annunzio. Venne coniata da D’Annunzio nel 1918 in occasione della preparazione di un’incursione militare in Croazia della Regia Marina italiana. Essendo collegata con la successiva epoca fascista, la frase ha sollevato polemiche sui social. Ma insomma: perché pretendere che sappia la storia? è già bello che sappia la strada per i vari papeete estivi.

di M. Serra – I carabinieri sono una presenza quotidiana e familiare, alla luce del sole. Li conosciamo, li salutiamo, chiacchieriamo con loro, prendiamo il caffè con loro. Non sono i generali o i ministri chiusi nei loro uffici, sono l’avamposto dello Stato sul territorio, i garanti della convivenza, le figure alle quali, per istinto, ci si rivolge se ci si sente in pericolo o si ha bisogno di aiuto. È questo che rende odiosa questa storia piacentina, l’abuso di un potere che si fonda sulla fiducia quotidiana, il tradimento di una dimestichezza. Come se il barbiere ti tagliasse la gola, il panettiere ti avvelenasse il pane, il pompiere appiccasse l’incendio, il vigile urbano manomettesse il semaforo. Non te lo aspetti, e non sei disposto a sopportarlo. Prima ancora di indignarsi, ci si avvilisce: ma come, dei carabinieri che vivono come malavitosi? E di chi bisogna fidarsi, allora?

 

di Luca Bottura – Domenica alle 14 in piazza a San Giovanni… no, non ci sono i quattro gatti di Salvini spacciati per mezzo miliardo di persone. Domenica alle 14 in piazza San Giovanni… no, non c’è la Meloni che si commuove per un (povero) gattino anziché per i migranti che affogano ogni giorno. Domenica alle 14 a Roma, in piazza San Giovanni… no, non c’è la Destraccia italiana che i migranti li vuole in orbite lontane e strepita contro i “mercanti di uomini” e di fatto protegge i caporali e i loro voti.  Domenica 5 luglio, dalle 14, a Roma, in piazza San Giovanni, organizzati da Aboubakar Soumahoro, ci sono gli Stati Popolari. Un raduno incidentale di buonisti vari, persone che sperano, gente a cui hanno raso al suolo non tanto la sinistra, ma quello che la conteneva, dando poi fuoco alle macerie e cospargendole di sale. C’è la speranza, ci sono le parole, i pensieri, le opere e nessuna omissione.Mandate il sangue alla testa dei cattivisti. Siateci pure voi. Dove? Giusto: non l’avevo detto: in piazza San Giovanni in Laterano, a Roma, domenica, dalle 14.

 
C’è miracolo e miracolo, diceva Troisi in “Ricomincio da tre”, e far ricrescere la mano a un monco è troppo anche per il Padreterno... Franco Cardini ha rievocato le avventure editoriali del conservatorismo intelligente, le ha comparate al vuoto di oggi e si è depresso: “I leader, i partiti si giudicano da quello che scrivono. Cosa scrive Salvini? Cosa scrive la Lega?”. Ma per scrivere serve appunto la destra, e ridarla a un monco non si può. L’élite intellettuale (diciamo) della nuova egemonia non è composta da professori, ma dagli invasati dei talk-show. Giorgia Meloni si affida a Mario Giordano e ad Alessandro Meluzzi, ossia a un matto urlante sul monopattino e a un primate ortodosso autocefalo (suona come una trafila di insulti, ma è proprio così). Salvini ha reclutato i suoi gorilla dalla Gabbia di Paragone. E la cultura? Ripenso a un panel del convegno “Europa Sovranista”, organizzato l’anno scorso dal think tank Nazione Futura. Tema: “Che cos’è il sovranismo?”. Ne parlano: Paolo Becchi, Maria Giovanna Maglie, Ilaria Bifarini. Roba da far drizzare i capelli a un calvo, ma non certo da far rispuntare la mano a un monco, come insegna anche una vecchia battuta: “Muzio Evola – Alla ricerca di una nuova destra”. di Guido Vitiello
Chi usa la Bibbia per il proprio potere mondano davanti alla tragedia la rende vanità». È una sentenza senza appello il tweet diffuso ieri da padre Antonio Spadaro, gesuita, direttore di Civiltà cattolica e personalità molto vicina a Papa Francesco, dopo il gesto del presidente americano Donald Trump che, seguito dal corteo di guardie del corpo e staff, si è fermato davanti alla Saint John Episcopal Church, davanti alla Casa Bianca, alzando un braccio e mostrando alle telecamere una Bibbia: un richiamo alla religione per rafforzare il suo messaggio contro le proteste per la morte di George Floyd. La condanna non è venuta solo da parte cattolica. Anche la Chiesa episcopale, con il vescovo di Washington, Mariann Edgar Budde, si è detta «indignata» dalla messa in scena del tycoon. «Il nostro messaggio è antitetico a quello del presidente», ha detto la Budde, denunciando le cariche della polizia su manifestanti pacifici, compiute solo per liberare lo spazio antistante la chiesa. Ma nel pieno del clima di violenza che infiamma gli Usa, il gesto di Trump - che evidentemente intende chiamare ancora a raccolta i sostenitori «evangelical» - rinfocola le polemiche sull'uso dei simboli religiosi in campo politico, tema noto non solo in Italia, dove a lungo si è dibattuto su Vangeli, rosari, crocefissi e presepi, magari ostentati nei comizi e nelle stesse aule parlamentari.
di Luca Bottura -  Interno Lega, luci scarse, panzetta di ordinanza. Su una cyclette, maglione, pantaloni lunghi, evoluisce Matteo Salvini. Il quale, in un breve montaggio, canticchia in playback In bicicletta di Riccardo Cocciante. No, non mi sono fumato un chilum caricato ad arbre magique. È un vero filmato. Anzi: un contenuto di TikTok, il social network per adolescenti e bambini, che il Caporale sta dragando a strascico per cercare nuovi e giovani adepti. Mi rendo conto che nel giorno in cui il Supercapone del Mondo, quello coi capelli all’Aperol, evoca l’uso delle armi per risolvere le rivolte susseguenti all’omicidio di George Floyd, le scenette da avanspettacolo dell’ex Ministro della Paura possano sembrare misera e patetica cosa. Anche perché lo sono. Però, ecco, che ‘sto tizio possa entrare nella cameretta di mia figlia senza il mio permesso, un po’ di paura me la mette. Soprattutto senza mascherina. Non si può fare qualcosa per impedirgli di importunare i più piccini? Lo dico da papà.
diario del covid – Esco presto per fare la spesa, in modo da non incontrare quasi nessuno: attraverso la strada, lo rifaccio, cambio marciapiede, torno indietro, presto attenzione agli angoli, non sai mai chi puoi trovarci dietro. … Faccio il risotto con lo stesso impegno di Einstein quando si concentrava per scrivere la formula che doveva sintetizzare la sua teoria; e se poi non mi dicono almeno dodici volte che è la cosa più buona che hanno mangiato nella loro vita, sanno che non lo farò mai più. … Una cosa però forse — forse — l’ho capita: perché mia moglie continua a vincere le gare da 3 con i calzini (al momento, non l’abbiamo ancora battuta). Secondo me, io e mio figlio immaginiamo di essere su un campo da basket, di avere un pallone da basket e di tirarlo in un vero canestro; e forse sentiamo anche — come sentono solo i maschi scemi — gli spalti pieni di tifosi che ci incitano. Mia moglie, invece, pensa soltanto che bisogna buttare questi calzini in quel cestino; e basta. (da Lettura) 
preghiera - Ho preso l’agnello, mangerò come Cristo durante l’Ultima Cena e dozzine di generazioni di cristiani durante il pranzo pasquale, contribuendo inoltre a salvare un pastore (questo aspetto me lo ha ricordato il grande cuoco marchigiano Lucio Pompili). Ho preso l’uovo e mi dispiace che stavolta non sia di pasticceria (tutte chiuse per pandemia statalista) bensì industriale, ma almeno il simbolo c’è. Ho preso un grande pane, patriarcale. Ho preso il vino in cantina, bottiglie che mi ricordano i luoghi amati. Niente messa su schermo perché credo nell’incarnazione non nella televisione, e perché le scenografie alla Sorrentino non mi interessano nemmeno al cinema. Mi metterò una bellissima cravatta, la stessa che avrei indossato in chiesa. Farò il segno della croce prima di iniziare a mangiare. Nel bicchiere troverò Dio eterno e oblio temporaneo, che auguro a tutti. (dal Foglio,  Camillo Langone)
di L. Bottura ----Matteo 21,12-17 (liberamente tratto da) Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare, a vendere, a strumentalizzare, specie quelli senza mascherina; rovesciò i tavoli del Caporale, e le sedie delle venditrici di bugie a mille euro l’una, e disse loro: «La Scrittura dice: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di furbastri. Persino il mio rappresentante in Terra parla da casa sua e voi chiedete di riempire le chiese a Pasqua? Ma cos’avete al posto del cuore? Una scheda elettorale? Sto per nominarmi invano». Gli si avvicinarono ciechi e storpi nel tempio ed egli li guarì. Poi gli si avvicinò Zingaretti e lo riammalò, per permettere al Pd di continuare a salire nei sondaggi. Ma i sommi sacerdoti, gli scribi sovranisti, il fariseo che sta sempre su Twitter, vedendo le meraviglie che diceva, lo interpellarono: «Signore, ma se non risorgi in Chiesa, chi se ne accorgerà?». Ed egli rispose: «Son risorto nelle guerre, dove i cristiani erano perseguitati, nel cuore di ognuno, per 2000 anni. Perché stavolta dovrebbe essere diverso?». Lasciatili, uscì fuori dalla città, verso Betània, e là trascorse la notte. Poi prese la via di Betsaida per fare un po’ di jogging sulle acque.

“… solo gradirei essere informato in anticipo quando il signor Salvini, della Sepolcri Imbiancati Spa, recita «L’eterno Riposo» in tv con Barbara D’urso. Mica per altro: per mandargli il testo, visto che da come lo biascicava a favore di telecamera si capiva lontano un miglio che era la prima volta”. Così come sempre in modo incisivo, il Gramellini del Corriere. Leggo, qualche pagina dopo, che un vescovo, indignato, ha cambiato canale. Di qui la domanda: che ci faceva su quel canale? monitorava forse la conversione, più mariana – ma senza offesa alla Madre di Gesù – che cristiana di quello che è diventato il valletto della conduttrice illuminata? (illuminata non al modus orientale, ma da indefiniti led che ne cancellino le rughe. Così si dice, dell’illuminata e del valletto che pesca voti persino usando i morti). Davvero, o tempora o mores!

sempre loro - Il presidente del Trentino, Fugatti, leghista, ieri si è presentato in conferenza stampa con un bell’orologio verde Padania – valori che il tempo non cambia – e ha spiegato che lui, i foresti, nei suoi ospedali non li cura. Cioè: se serve li cura, ma dopo aver curato "i suoi". Ché quelli sono venuti a portargli le malattie e, insomma, un po’ si fottano. E, anzi, è meglio che facciano le valigie quanto prima. Piccolo memento: quando le piste della Lombardia erano chiuse per virus, il Trentino (e la Val d’Aosta) pensarono bene di monetizzare la contingenza, tenendo aperto. Ciò ha ovviamente favorito il contagio. Ora però, invece di autodenunciarsi, Fugatti la butta sulla pulizia etica, alla stregua di Arno Kompatscher, il suo omologo altoatesino, la zona del Paese in cui hanno depositato "Südtirol" come marchio commerciale in modo da bypassare il bilinguismo e vendersi all’Estero come provincia dell’Austria. Con grande successo. Prima. Quando il turismo valeva tutto. Ora no, ora calcinculo. Per coerenza, data la martellante pubblicità del sito visittrentino.it, suggerisco almeno di creare un nuovo dominio attualizzato: fuoridaico........trentino.it.         L. Bottura

ancora lui - Siamo in emergenza e dunque è giusto e saggio dimenticare i politici quelli che minimizzavano l’allarme indossando un cervello di plastica come mascherina e quelli che ci avvertivano che di ben altro avremmo dovuto occuparci che del coronavirus, perché «ogni anno nel mondo circa mille persone vengono folgorate dai fulmini». Eppure — anche costringendoci a guardare avanti e a non curarci degli scivoloni di chi ha sempre la diagnosi in tasca: sbagliata, purtroppo — è impossibile ignorare il disarmante zigzagare di Matteo Salvini, perché nel lodevole sforzo di unità nazionale antivirus il leader della Lega ha avuto e avrà ancora una parte non piccola e dunque vorremmo tutti capire cosa ci aspetta. Esistono infatti due versioni del Salvini in modalità Covid19. C’è il Salvini incendiario e c’è il Salvini pompiere. C’è un Matteo che il 21 febbraio, al primo caso di Codogno, si aggrappa alla maniglia dell’allarme gridando nel megafono di Facebook: «Chiudere! Blindare! Proteggere! Controllare! Bloccare!», e avverte che l’Italia deve isolarsi immediatamente: «Sigilliamo i nostri confini! E tutta l’Italia deve diventare zona rossa». Una ricetta discutibile, forse, ma chiara. Almeno fino alla sera del 27 febbraio, quando entra in scena il secondo Matteo. Che dopo aver fatto un giro nel centro di Milano dice l’esatto opposto. Macché chiudere, macché sigillare, macché zona rossa: «Riaprire! Riaprire tutto quello che si può riaprire. Riaprire per rilanciare fabbriche, negozi, musei, gallerie, palestre, discoteche, bar, ristoranti, centri commerciali». Nuovo ordine, ripetuto il giorno dopo: «Aprire, aprire, aprire! Si torni a produrre, a comprare, si torni al sorriso». Dal «chiudete tutto!» al «riaprite tutto!». Il disinvolto passaggio è stato così stupefacente che il blogger Federico Mello ne ha tratto su Twitter uno spassosissimo video, diventato subito virale. Ma nel frattempo Salvini ha cambiato di nuovo idea. Chi l’ha detto che bisogna riaprire tutto? «Tutta Italia zona rossa» avverte martedì 3 marzo, quando i contagiati sono già più di duemila. Il pompiere esce di scena, torna in campo l’incendiario. E chiede tre cose: «Chiarezza, chiarezza, chiarezza». Giusto. Aprire o chiudere? Serve una chiusura aperta. Anzi, un’apertura chiusa. Chiudere aprendo e riaprire chiudendo. Subito. Chiaro, no? (di Sebastiano Messina)

abbiamo letto da Luca Bottura - I supermercati del Nord presi d’assalto come dopo l’esplosione di una bomba atomica, l’isola campana che intona #primagliischitani e caccia i lombardo-veneti, Marine Le Pen che vuol costruire muri per tenere fuori dalla Francia i Salvinì, le scuole e i musei chiusi come in un qualunque programma della Lega, indurrebbero a più di un motteggio sul celebre virus, se solo fosse chiaro cosa ci aspetta a breve e soprattutto se il sottoscritto ne capisse qualcosa in più di una mazzafionda. Non avendo competenza alcuna, lascio ovviamente che si esprimano le figure più autorevoli del web, da Francesco Facchinetti a Paola Ferrari, passando per Rita Dalla Chiesa e Littorio Feltri. Mi limito a sottolineare la messe di post, spesso vergati da convinti novax, contro i poteri forti che avrebbero fatto impennare il prezzo dei disinfettanti. Se ne conoscete qualcuno, dite loro che l’amuchina a 80 euro è purtroppo il portato del modello economico che si è affermato nel Secolo Breve: quello capitalistico. E che se non l’hanno capito, sarà meglio che si facciano subito un tampone: potrebbero essere portatori sani di social-ismo.

sardine e squali – «In Italia le Sardine sono più degli squali e sono destinate a vincere». È l’auspicio di Soros, il magnate che è inviso ai suprematisti bianchi e ai sovranisti: se non nelle urne avvenga nel paese. Prima o poi, ma meglio prima.

cosa non si fa - Subito dopo essersi mandato a processo da solo per il caso Gregoretti, il "caporale" ha chiesto via social al popolo leghista di digiunare per protestare. E intanto si è fatto fotografare tra una pancetta e un prosciutto, e l’altro ieri si era fatto riprendere con una pizza, e con un formaggio ipercalorico, e aveva pubblicato un semifreddo al mascarpone. Insomma, l’hashtag #DigiunoperSalvini è un ossimoro. Ma è lui stesso una contraddizione unica, ampiamente votata. (da R)

Cose di pancia - Abbandonata (?) la nutella a causa delle nocciole turche (quanto l’ignoranza si fa padrona!), non più papeete (non è stagione) né mojito, ma aziende emiliane ad annusare il parmigiano (proprio il naso contro una forma, da esperto!) e a tagliare salumi profumati, tutti si aspettano la sua vittoria. Che potrebbe essere: la pancia prevale se non sempre, troppo spesso.

La tv tamarra di santa Barbara è Il popolo più tipico, certo non l’unico, di Mediaset, battezzato dal marketing come Anziani da osteria, Insoddisfatte, Pie Donne, specie se dimoranti nelle aree interne e più tradizionaliste del Paese ( S. Balassone ). Stanno dividendosi tra leghisti e fratelli della Romana, attingendo ogni sera a trasmissioni canalizzate al consenso. e poi dicono che non siamo caduti in basso!

ius culturae -  La grancassa xenofoba dell’ultradestra ha prodotto danni percettivi incalcolabili. È passata l’idea del «Paese invaso»: gli italiani credono che la quota di stranieri sia pari al 30% della popolazione (è solo il 7%), e che il 47% sia clandestino (non supera il 10%, con dentro quelli creati dalle leggi Salvini sulla sicurezza), che 1 carcerato su 2 sia straniero (il rapporto reale è 1 a 3). Nonostante la "cura al veleno" con cui il capo leghista con soci li ha sottoposti,gli italiani – 7 su 10  – su dieci sono favorevoli a una legge sul riconoscimento della cittadinanza a tutti i figli di genitori stranieri nati qui. Giallorossi, perché non subito?

chi è? - A comiziare tra i coatti romani e gli emarginati, spara violenze che il suo corpo minuto pare non sopportare, robe amazzoniche e militari in bocca. Per questo piace così tanto ed è "la più amata dagli italiani"? Perché sembra togliere ferocia alla gagliofferia, con sua cantilena da suburra, il ritmo ondulato della lingua dell’ozio romano che dubita di quel che dice mentre lo dice. «Chiudiamo i porti», «spariamo sulle navi», «costruiamo i muri» e intanto «ce famo du spaghi a Garbatella che è er quartiere mio». Noi  elettori ci facciamo rappresentare da persone così: possibile che non ci siano persone migliori? (riel. su F. Merlo)  

#primailtortellino, o #prima gli italiani? Passaggio epocale: la Lega ha contestato il vescovo di Bologna: danno pollo invece di maiale per inchinarsi all’Islam. Nuovi vecchi cattolici di nessuna cultura? Subito dopo aver difeso il sacro tortello la candidata a governare l’Emilia Romagna, Borgonzoni – leghista già sottosegretario della cultura - ha dovuto elencare, su Radio1 i confini della Regione che vorrebbe governare. E ha inserito il Trentino-Alto Adige. Zero in geografia, ma non solo.

La prima cosa bella di mercoledì 25 settembre 2019 è la fine della democrazia. Calma. Può essere un fenomeno naturale e può esserci vita oltre le urne come le usiamo ora. (Gabriele Romagnoli dixit, e chi non gli darebbe ragione?)

Parlamento o Urlamento? - Bisogna dire la verità: non c’è stata quella violenza da angiporto, con scene da parlamento libico o balcanico, che tante volte abbiamo visto, anche nella storia recente. Solo rumore e strepito dove i più sguaiati erano quelli di Fratelli d’Italia che oggi però non sono stati maneschi, e dunque sono stati migliori della loro storia e della loro antropologia.

Niente Twitter, né Facebook, né Instagram. Luciana Lamorgese è la nuova ministra dell'Interno del governo Conte bis, e non è su alcun social network. Una novità rispetto all'era Salvini, caratterizzata dalla sua forte attività sulla rete. La particolarità non è sfuggita ai tanti utenti del web che hanno sottolineato con ironia il passaggio di testimone al Viminale: come faremo adesso a sapere che cosa mangiare e chi insultare?

pieni poteri - “La storia insegna che l’esercizio del potere può provocare il rischio di far inebriare, di perdere il senso di servizio e di far invece acquisire il senso del dominio “. Meglio di così non poteva dirlo, nell’ottobre scorso il Capo dello Stato a un gruppo di liceali. Ma un certo politico già rotolava verso spiagge che l’hanno inghiottito. Ma l’hanno inghiottito? Ai posteri elettori l’ardua sentenza.

ADDIO         

 

Il ridottissimo vocabolario del nostro discorso pubblico - vergogna, animali, bestie, zecche, tiro dritto, non mollo - non ha soltanto incoraggiato tutti alla costante aggressione verbale: è il vocabolario che rende perfettamente comprensibile il nulla di cui ci parlano gli attuali leader. E noi a subire. Fino a quando?

In Russia venti milioni di poveri sono il risultato dell'incuria politica del nuovo Zar Vladimir Putin. Nell'America di Trump gli americani muoiono per mancanza di insulina, perché i malati con tabelle fai-da-te se la riducono non potendola più pagare così cara. E queste sono le politiche trumpiane e putiniane che piacciono ai nostri attuali governanti? Avanti così, o popolo.

Accerchiato: non più felpe poliziesche (qualcuno aveva notato che quelle della Guardia di Finanza non se le era mai messe) ma accuse di rubli. E' il caso di suggerirgli che la pianti con le furbizie e prenda monito da Mafalda?

Il giorno dopo -  Era uno slogan degli anni cinquanta del secolo scorso. Ora l’antico slogan è stato riciclato dalla destra clericale filosalviniana  così: “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, la Cei no”. Con evidente successo. Purtroppo per il cattolicesimo italiano.

A una bambina della terza elementare non viene data la pizza come a tutti gli altri ma solo una scatoletta di tonno e cracker. Si mette a piangere: per la pizza o per l’umiliazione? Tutti a dire la loro. Il ministro dell’Interno mai a corto di parole su tutto, preferisce il silenzio: d’altra parte – lo si capisca - è una bambina marocchina.

Buone notizie - Al ministro dell’Interno che ha usato più volte la sua consueta espressione: dovrebbero marcire in galera, ha risposto un magistrato: “Non sono parole che mi appartengono. Anche noi adulti, dobbiamo studiare di più”. E qualcosa deve aver studiato se l’altro giorno ha promesso che non userà più quel marcire. Studiare ancora di più, comunque. 

Non sappia la sinistra ... così, uno pseudocattolico del convegno sulla famiglia che si terrà a Verona. Per ora da sottolineare l’uso del Vangelo per giustificare la propria azione politica come una costante nella Lega di Salvini che più volte, non a caso, cita san Giovanni Paolo II in contrapposizione al pontificato in corso, per giustificare le proprie prese di posizione (porti chiusi!). Sono uscite che infastidiscono i cristiani, o almeno quelli che si sforzano di esserlo.

IL GESTO delle manette rivolto ad avversari politici (lo ha fatto il senatore dei cinquestelle Giarrusso) rivela uno stile umano infimo. Ma politicamente, se possibile, è ancora più ripugnante. Si colloca al livello zero della cultura democratica, per la quale la galera non è contemplata tra le soluzioni di un contraddittorio politico: al contrario è nata, la democrazia, per una gestione dei conflitti non cruenta. (L'amaca). Che ne è di questi rappresentanti del popolo, che liberano i complici dalla giustizia nel processo, e poi augurano la galera senza processo agli avversari?

UN GIORNALISTA dev'essere al di sopra e fuori dai fatti: dev'esserne soltanto testimone e mai protagonista. E deve mettere al centro la notizia, rispettando il pluralismo, la correttezza e il dialogo. Visto quel che succede soprattutto da circa tre anni (quotidiani sfrontatamente schierati con le parti al governo, e ossessivamente persecutori di avversari), sarebbe bene ricordassero che i giudici non stanno chiedendo al Parlamento di assolvere o condannare il ministro tuttofare dell’Interno, quanto piuttosto il permesso di giudicarlo: sequestratore o benemerito difensore dei confini patrii? Sapranno informare, e non cattivamente formare?

CATTURARLO era il mio lavoro e l’ho fatto, ma non brinderò mai alla tristezza altrui“. Così la dottoressa Cristina Villa – la poliziotta che ha fatto arrestare Cesare Battisti. Uno Stato che si manifesta con la divisa e le parole della dottoressa Villa è uno Stato che rassicura. Perché sa fare il proprio mestiere; e poiché lo sa fare, regola le proprie azioni e le proprie urgenze in funzione delle indagini in corso e non in funzione dei tigì di prima serata. Uno Stato che parla con la voce di Salvini e Bonafede invece non rassicura affatto, e anzi ci fa sentire meno protetti e meno garantiti. (M. S.)

CHI GLIELO DICE a Salvini che i Valdesi – a cui ha infilato i 12 sbarcati ultimi “senza oneri per lo stato” – non hanno pratiche da rosario, quello da lui sventolato? E che i pretoni e i vescovoni prendono sì il sussidio statale per migliaia di migranti - che altrimenti lo stato te lo vedi!, ma ne spendono di più per dare dignità ai loro ospiti? E per mantenerli comunque oggi che lo stato salviniano ha deciso di dimezzare il proprio quorum di partecipazione?

PARLAMENTO - "Le disuguaglianze oggi prendono le forme dell’esclusione e, avanti di questo passo, si è ad un velo di distanza dalla crisi della democrazia". Come sta avvenendo in questi giorni là dove si dovrebbe vedere il Paese che siamo. 

SI CAMBIA - È di qualche giorno fa: smentendo almeno un decennio di cannoneggiamenti dei suoi compagni di merenda contro la necessità di aerei dalla tecnologia avanzata, seppur militare - Tofalo,  giovane sottosegretario in forza grillina ha detto "Spesso bisogna realmente conoscere e valutare le informazioni". È quello che significa governare un Paese. È bello che qualcuno ci stia arrivando.

 


Sito in lavorazione

Il sito è in lavorazione. Portare pazienza...


Egredere, sed non omnis

Uscire, ma non del tutto.Quando ho pensato di trascrivere questo antico ammonimento sul portale del Tempio appena riqualificato (a S. Lucia, la chiesa prepositurale in Bergamo), avevo voluto dare il segno di un rinnovamento di strutture che non racchiudono, e non possono racchiudere del tutto il senso della vita. Anche dalla presenza del Signore, che si rende visibile nei sacramenti, si esce fuori. Per reincontrarlo sui marciapiedi o sui pianerottoli, certo; ma le facce diverse costringono a misurarsi con un Dio diverso: il Dio della collera, della tristezza, della seduzione, il Dio che s’affaccia in poveri cristi sperduti. Ma anche un Dio della gioia che ti sorride, della generosità che ti presta il sale, della bellezza che inonda la giornata. Occorre uscire.

E se occorra uscire da qui: da queste pietre antiche che trasudano un silenzio di preghiera, da questi vigneti che dicono, scheletrici in questa stagione, la promessa del vino nuovo. Uscir fuori da queste colline, come dal Tabor: è bello, ma occorre scendere. Dove c’è la vita, dove c’è il Signore da incontrare nelle diversità della sua incarnazione. Raccolgo da qualche mese le storie di chi passa, e il desiderio di tutti di pensarsi qui per sempre: raccolgo quella sotterranea voglia di fuga che ci prende anche nelle stagioni migliori della vita. Certamente è desiderio di un attimo: ma è segno del qualcos’altro che ci spetta, e nella speranza della fede, ci aspetta. Ci spetta per il riflesso di sé che il Creatore ha messo in ciascuno, e ci aspetta per grazia del Figlio nostro salvatore.

Uscire, occorre, e sempre nella vita. Non attaccarsi. Vivere la povertà come un distacco continuo. Non arroccarsi sulle proprie ragioni, e neppure su bandiere sbrecciate. Occorre uscire. Ma non del tutto: una parte di Lui, e della Sua bellezza, sempre ad accompagnarci. Il corposo della sua parola sempre ad orientare. Per non uscir fuori, e non sapere chi e che cosa ci è chiesto nei giorni.


Il Vangelo secondo Santa Marta

La Parola di Dio ci invita a uscire allo scoperto, a non nasconderci dietro la complessità dei problemi, dietro il “non c’è niente da fare”, “è un problema loro”, “è un problema suo”, o il “che cosa posso farci io?”, “lasciamoli lì”. Ci esorta ad agire, a unire il culto di Dio e la cura dell’uomo. Perché la sacra Scrittura non ci è stata data per intrattenerci, per coccolarci in una spiritualità angelica, ma per uscire incontro agli altri e accostarci alle loro ferite. Ho parlato della rigidità, di quel pelagianesimo moderno, che è una delle tentazioni della Chiesa. E quest’altra, cercare una spiritualità angelica, è un po’ l’altra tentazione di oggi: i movimenti spirituali gnostici, lo gnosticismo, che ti propone una Parola di Dio che ti mette “in orbita” e non ti fa toccare la realtà. La Parola che si è fatta carne (cfr Gv 1,14) vuole diventare carne in noi. 

I magi sfidano Erode. Abbiamo bisogno di una fede coraggiosa, che non abbia paura di sfidare le logiche oscure del potere dove, ancora oggi, tanti Erode seminano morte e fanno strage di poveri e di innocenti, nellʼindifferenza di molti.

La pandemia ci ha mostrato che non possiamo restare sempre sani in un mondo malato. Negli ultimi tempi tanti si sono malati di dimenticanza, di Dio e dei fratelli. Nella società globalizzata, che spettacolarizza il dolore ma non lo compatisce, abbiamo bisogno di costruire compassione per non lasciare che la vita dei popoli si riduca a un gioco tra potenti. Meno armi e più cibo, meno ipocrisia e più trasparenza, più vaccini distribuiti equamente e meno fucili venduti. La preghiera e l’azione possono riorientare il corso della storia.

La Trinità è anche il fine ultimo verso cui è orientato il nostro pellegrinaggio terreno. Il cammino della vita cristiana è infatti un cammino essenzialmente “trinitario”: lo Spirito Santo ci guida alla piena conoscenza degli insegnamenti di Cristo, e ci ricorda anche quello che Gesù ci ha insegnato; e Gesù, a sua volta, è venuto nel mondo per farci conoscere il Padre, per guidarci a Lui, per riconciliarci con Lui. Tutto, nella vita cristiana, ruota attorno al mistero trinitario e viene compiuto in ordine a questo infinito mistero. Cerchiamo, pertanto, di tenere sempre alto il “tono” della nostra vita, ricordandoci per quale fine, per quale gloria noi esistiamo, lavoriamo, lottiamo, soffriamo; e a quale immenso premio siamo chiamati. Questo mistero abbraccia tutta la nostra vita e tutto il nostre essere cristiano

Il dinamismo della carità del credente non è frutto di strategie, non nasce da sollecitazioni esterne, da istanze sociali o ideologiche, ma nasce dall’incontro con Gesù e dal rimanere in Gesù. Egli per noi è la vite dalla quale assorbiamo la linfa, cioè la vita per portare nella società un modo diverso di vivere e di spendersi, che mette al primo posto gli ultimi.

di quaresima - Per non lasciarci soli e accompagnarci nel cammino, Cristo è sceso dentro al nostro peccato e alla nostra morte. Il nostro viaggio, allora, è un lasciarci prendere per mano. Lasciatevi riconciliare: il cammino non si basa sulle nostre forze. La conversione del cuore, con i gesti e le pratiche che la esprimono, è possibile solo se parte dal primato dell’azione di Dio. A farci ritornare a Lui non sono le nostre capacità e i nostri meriti da ostentare, ma la sua grazia da accogliere. Ci salva la grazia, la salvezza è pura gratuità.  L’inizio del ritorno a Dio è riconoscerci bisognosi di Lui, bisognosi di misericordia. Questa è la via giusta, la via dell’umiltà.

109 - La vita non è il tempo per guardarsi dagli altri e proteggere se stessi, ma l’occasione per andare incontro agli altri nel nome del Dio vicino. Così la Parola, seminata nel terreno del nostro cuore, ci porta a seminare speranza attraverso la vicinanza. Proprio come fa Dio con noi. I Suoi discepoli erano persone semplici, che vivevano del frutto delle loro mani lavorando duramente notte e giorno. Non erano esperti nelle Scritture e non spiccavano certo per scienza e cultura.  E abitavano una regione composita, con vari popoli, etnie e culti: abitavano nella periferia della Palestina di allora. Era il luogo più lontano dalla purezza religiosa di Gerusalemme, il più distante dal cuore del Paese. Ma Gesù comincia da lì, non dal centro ma dalla periferia, e lo fa per dire anche a noi che nessuno è ai margini del cuore di Dio.

108. Per adorare il Signore bisogna “vedere” oltre il velo del visibile, che spesso si rivela ingannevole. Erode e i notabili di Gerusalemme rappresentano la mondanità, perennemente schiava dell’apparenza. Vedono e non sanno vedere – non dico che non credono, è troppo – non sanno vedere perché la loro capacità è schiava dell’apparenza e in cerca di attrattive: essa dà valore soltanto alle cose sensazionali, alle cose che attirano l’attenzione dei più. D’altro canto, nei Magi vediamo un atteggiamento diverso, che potremmo definire realismo teologale – una parola troppo “alta”, ma possiamo dire così, un realismo teologale –: esso percepisce con oggettività la realtà delle cose, giungendo finalmente alla comprensione che Dio rifugge da ogni ostentazione. Il Signore è nell’umiltà, il Signore è come quel bambino umile, rifugge dall’ostentazione, che è proprio il prodotto della mondanità. Questo modo di “vedere” che trascende il visibile, fa sì che noi adoriamo il Signore spesso nascosto in situazioni semplici, in persone umili e marginali. Si tratta dunque di uno sguardo che, non lasciandosi abbagliare dai fuochi artificiali dell’esibizionismo, cerca in ogni occasione ciò che non passa, cerca il Signore. Noi perciò, come scrive l’apostolo Paolo, «non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne».

107. Il Natale ci invita a riflettere, da una parte, sulla drammaticità della storia, nella quale gli uomini, feriti dal peccato, vanno incessantemente alla ricerca di verità, alla ricerca di misericordia, alla ricerca di redenzione; e, dall’altra, sulla bontà di Dio, che ci è venuto incontro per comunicarci la Verità che salva e renderci partecipi della sua amicizia e della sua vita. E questo dono di grazia: questo è pura grazia, senza merito nostro. C’è un Santo Padre che dice: “Ma guardate da questa parte, dall’altra, di là: cercate il merito e non troverete altra cosa che grazia”. Tutto è grazia, un dono di grazia. E questo dono di grazia lo riceviamo attraverso la semplicità e l’umanità del Natale, e può rimuovere dai nostri cuori e dalle nostre menti il pessimismo, che oggi si è diffuso ancor più a causa della pandemia. Possiamo superare quel senso di smarrimento inquietante, non lasciarci sopraffare dalle sconfitte e dai fallimenti, nella ritrovata consapevolezza che quel Bambino umile e povero, nascosto e inerme, è Dio stesso, fattosi uomo per noi. Questa realtà ci dona tanta gioia e tanto coraggio. Dio non ci ha guardato dall’alto, da lontano, non ci è passato accanto, non ha avuto ribrezzo della nostra miseria, non si è rivestito di un corpo apparente, ma ha assunto pienamente la nostra natura e la nostra condizione umana. Queste riflessioni ci aiutino a celebrare il Natale con maggiore consapevolezza. Ma c’è un altro modo di prepararsi, che voglio ricordare a voi e me, e che è alla portata di tutti: meditare un po’ in silenzio davanti al presepe. Chiediamo la grazia dello stupore: davanti a questo mistero, a questa realtà così tenera, così bella, così vicina ai nostri cuori, il Signore ci dia la grazia dello stupore, per incontrarlo, per avvicinarci a Lui, per avvicinarci a tutti noi. Questo farà rinascere in noi la tenerezza. L’altro giorno, parlando con alcuni scienziati, si parlava dell’intelligenza artificiale e dei robot… ci sono robot programmati per tutti e per tutto, e questo va avanti. E io dissi loro: “Ma qual è quella cosa che i robot mai potranno fare?”. Loro hanno pensato, hanno fatto delle proposte, ma alla fine sono rimasti d’accordo in una cosa: la tenerezza. Questo i robot non potranno farlo. E questo è quello che ci porta Dio, oggi: un modo meraviglioso in cui Dio ha voluto venire al mondo, e questo fa rinascere in noi la tenerezza, la tenerezza umana che è vicina a quella di Dio. E oggi abbiamo tanto bisogno di tenerezza, tanto bisogno di carezze umane, davanti a tante miserie! Se la pandemia ci ha costretto a stare più distanti, Gesù, nel presepe, ci mostra la via della tenerezza per essere vicini, per essere umani. Seguiamo questa strada.

106. Chi prega non lascia mai il mondo alle sue spalle. Se la preghiera non raccoglie le gioie e i dolori,  le  speranze  e  le  angosce  dell’umanità,  diventa  un’attività  “decorativa”,  un  atteggiamento  superficiale, da teatro, un atteggiamento intimistico. Tutti abbiamo bisogno di interiorità: di ritirarci in uno spazio e in un tempo dedicato al nostro rapporto con Dio. Ma questo non vuol dire evadere dalla  realtà.  Nella  preghiera,  Dio  “ci  prende,  ci  benedice,  e  poi  ci  spezza  e  ci  dà”,  per  la  fame  di  tutti. Ogni cristiano è chiamato a diventare, nelle mani di Dio, pane spezzato e condiviso.

105. Dio dona amore, Dio chiede amore. È questa la radice mistica di tutta la vita credente. I primi cristiani in preghiera, ma anche noi che veniamo parecchi secoli dopo, viviamo tutti la medesima esperienza. Lo Spirito anima ogni cosa. E ogni cristiano che non ha paura di dedicare tempo alla preghiera può fare proprie le parole dell’apostolo Paolo: «Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). La preghiera ti fa conscio di questo. Solo nel silenzio dell’adorazione si sperimenta tutta la verità di queste parole. Dobbiamo riprendere il senso dell’adorazione. Adorare, adorare Dio, adorare Gesù, adorare lo Spirito. Il Padre, il Figlio e lo Spirito: adorare. In silenzio. La preghiera dell’adorazione è la preghiera che ci fa riconoscere Dio come inizio e fine di tutta la storia. E questa preghiera è il fuoco vivo dello Spirito che dà forza alla testimonianza e alla missione.

104. Per l’umanità la fame non è solo una tragedia ma anche una vergogna. È provocata, in gran parte, da una distribuzione diseguale dei frutti della terra, a cui si aggiungono la mancanza di investimenti nel settore agricolo, le conseguenze del cambiamento climatico e l’aumento dei conflitti in diverse zone del pianeta. D’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Dinanzi a questa realtà, non possiamo restare insensibili o rimanere paralizzati. Siamo tutti responsabili.

101.Quest’ansia di mondanità,quest’ansia di essere più importante degli altri e dire: “No! Io merito questo, non lo merita quell’altro”. Questo è mondanità, questo è lo spirito del mondo e chi respira questo spirito, respira l’inimicizia di Dio. Gesù, in un altro passo, dice ai discepoli: “O siete con me o siete contro di me”. Non ci sono compromessi nel Vangelo. E quando uno vuole vivere il Vangelo facendo dei compromessi, alla fine si trova con lo spirito mondano, che sempre cerca di fare compromessi per arrampicarsi di più, per dominare, per essere più grande.

102. Anche se il demonio avanza nel mondo e semina zizzania non spetta di certo ai cristiani “sopprimere i malvagi”. Il loro compito semmai è quello di salvarli. Il male, certo, va rigettato, ma i malvagi sono persone con cui bisogna usare pazienza. Non si tratta di quella tolleranza ipocrita che nasconde ambiguità, ma della giustizia mitigata dalla misericordia. Se Gesù è venuto a cercare i peccatori più che i giusti, a curare i malati prima ancora che i sani anche l’azione di noi suoi discepoli dev’essere rivolta non a sopprimere i malvagi, ma a salvarli.

100. La rigidità non è di uno spirito buono, perché mette in questione la gratuità della Redenzione, la gratuità della Risurrezione di Cristo: E durante la storia della Chiesa, questo si è ripetuto. E anche nei nostri tempi abbiamo visto alcune organizzazioni apostoliche che sembravano proprio bene organizzate, che lavoravano bene … ma tutti rigidi, tutti uguali uno all’altro. Dov’è rigidità non c’è lo Spirito di Dio, perché lo Spirito di Dio è libertà. La morte e la Risurrezione di Cristo è gratuita. Non si paga, non si compra: è un dono.

99. Gesù ci fa capire un altro modo di cercare la giustificazione, proponendoci l’immagine di quelli che si credono giusti per le apparenze: quelli che sanno fare la “faccia di immaginetta”. Questi truccano l’anima, vivono del trucco, la santità è un trucco per loro. Gesù sempre ci chiede di essere veritieri, ma veritieri dentro al cuore e che se qualcosa appare che appaia questa verità, quello che è dentro al cuore.

98 - Lo spirito del mondo è contrario allo Spirito Santo. Gesù, nell’Ultima Cena non chiede al Padre di togliere i discepoli dal mondo, perché la vita cristiana è nel mondo, ma di proteggerli dallo spirito del mondo Ed è anche peggio di fare un peccato. È un’atmosfera che ti rende incosciente, ti porta ad un punto che tu non sai riconoscere il bene dal male. Uno può essere nelle città più peccaminose, nelle società più atee, ma se il cuore rimane in Dio, quest’uomo e questa donna portano la salvezza. Lo Spirito Santo è colui che ti fa rimanere nel Signore, è la garanzia, la forza per rimanere nel Signore.

97 - Essere cristiano non è soltanto compiere i Comandamenti: si devono fare, questo è vero; ma se tu ti fermi lì, non sei un buon cristiano. Essere cristiano è lasciare che lo Spirito entri dentro di te e ti porti, ti porti dove lui vuole. Nella nostra vita cristiana tante volte ci fermiamo come Nicodemo, davanti al “dunque”, non sappiamo il passo da fare, non sappiamo come farlo o non abbiamo la fiducia in Dio per fare questo passo e lasciare entrare lo Spirito. Nascere di nuovo è lasciare che lo Spirito entri in noi e che sia lo Spirito a guidarmi e non io e qui: libero, con questa libertà dello Spirito che tu non saprai mai dove finirai.

96 - Gesù ha cambiato la storia facendosi vicino a noi e l’ha resa, per quanto ancora segnata dal male, storia di salvezza. Offrendo la sua vita sulla croce, Gesù ha vinto anche la morte. Dal cuore aperto del Crocifisso, l’amore di Dio raggiunge ognuno di noi. Noi possiamo cambiare le nostre storie avvicinandoci a Lui, accogliendo la salvezza che ci offre. Fratelli e sorelle, apriamogli tutto il cuore nella preghiera, questa settimana, questi giorni: con il Crocifisso e con il Vangelo. La liturgia domestica, sarà questa. Apriamogli tut-to il cuore nella preghiera, lasciamo che il suo sguardo si posi su di noi e capiremo che non siamo soli, ma amati, perché il Signore non ci abbandona e non si dimentica di noi, mai.

95. Quaresima è riconoscere il peccato. Quando noi abbiamo non solo il ricordo, la memoria dei peccati che abbiamo fatto, ma anche il sentimento della vergogna, questo tocca il cuore di Dio e risponde con misericordia. Ecco che il cammino per andare incontro alla misericordia di Dio è vergognarsi delle cose brutte, delle cose cattive che abbiamo fatto. E così, quando io andrò a confessarmi, dirò non solo l’elenco dei peccati, ma i sentimenti di confusione, di vergogna per aver fatto questo a un Dio tanto buono, tanto misericordioso, tanto giusto. A lui, attraversando con il peccato la vita dei fratelli.

94. Confessare Gesù  è accettare la strada dell’umiltà e dell’umiliazione. E quando la Chiesa non va per questa strada, sbaglia, diventa mondana. E quando noi vediamo tanti cristiani buoni, con buona volontà, ma che confondono la religione con un concetto sociale di bontà, di amicizia, quando noi vediamo tanti chierici che dicono di seguire Gesù, ma cercano gli onori, le vie fastose, le vie della mondanità, non cercano Gesù: cercano se stessi. Non sono cristiani; dicono di essere cristiani, ma di nome, perché non accettano la via di Gesù, dell’umiliazione. E quando leggiamo nella storia della Chiesa di tanti vescovi che hanno vissuto così e anche di tanti Papi mondani che non hanno conosciuto la strada dell’umiliazione, non l’hanno accettata, dobbiamo imparare che quella non è la strada. La grazia di seguire Gesù è il non usare il cristianesimo per “arrampicarsi”.

93. Stiamo attenti perché questo è un tarlo che entra nel cuore di tutti noi, è il seme di una guerra l’invidia e la gelosia e ci porta a giudicare male la gente ci porta a scartare la gente, a una guerra domestica, una guerra di quartiere, una guerra di posti di lavoro, di cittadinanza. Ci dia il Signore la grazia di ringraziare per il dono che siamo, non mettendoci in concorrenza fatua con i doni altrui.

92. Dove c’è il Signore c’è la pace. È Lui che fa la pace, è lo Spirito Santo che Lui invia a fare la pace dentro di noi. Se noi rimaniamo nel Signore il nostro cuore sarà in pace; e se noi rimaniamo abitualmente nel Signore quando noi scivoliamo su un peccato o un difetto sarà lo Spirito a farci conoscere questo errore, questa scivolata. Rimanere nel Signore. E come rimaniamo nel Signore? Dice l’Apostolo: “Se ci amiamo gli uni gli altri”. È questa la domanda, questo è il segreto della pace.

90. E' proprio il Cristo che è stato inviato dal Padre a salvarci e lo ha fatto con amore, ha dato la vita per me: non c’è amore più grande di dare la vita per un altro. Pensiamo a una mamma, l’amore di una mamma, per esempio, che dà la vita per il figlio, lo accompagna sempre nella vita, nei momenti difficili ma questo ancora è poco... È un amore vicino a noi, non è un amore astratto l’amore di Gesù, è un amore io-tu, io-tu, ognuno di noi, con nome e cognome,

89. Oggi vi sono cristiani  che hanno paura delle sfide della vita, delle sfide del Signore, delle sfide della Storia. Sono i cristiani che preferiscono l’ideologia alla fede e si allontanano dalla comunità; hanno paura di mettersi nelle mani di Dio e preferiscono giudicare tutto, ma dalla piccolezza del proprio cuore. Due le figure della Chiesa oggi: la Chiesa di coloro che si accovacciano nelle proprie ideologie, e la Chiesa che fa vedere il Signore che si avvicina a tutte le realtà, che non ha schifo: le cose non fanno schifo al Signore, Lui è venuto per guarire, Lui è venuto per salvare, non per condannare.

88. La profezia di Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni». Tra gli uni e gli altri c’è uno scambio reciproco, cosa che non succede quando, al contrario, a prevalere nella nostra civiltà è la cultura dello scarto, una rovina che ci fa rimandare al mittente i bambini che arrivano o ci fa adottare come criterio quello di chiudere nelle case di riposo gli anziani perché non producono, perché impediscono la vita normale. Quale dunque il cuore del messaggio di Dio? È la cultura della speranza  è rappresentata dall’incontro tra vecchi e giovani.

87. Essere in cammino vuol dire anche correre dei rischi, pensiamo a quelli che hanno rotto il tetto della casa per calare il paralitico, correndo il rischio che il padrone di casa facesse loro causa. Mettersi in cammino e correre dei rischi per incontrare Gesù è l’atteggiamento del discepolo, comportamento che non è quello degli scribi, un gruppo fermo al balcone, a guardare e giudicare

86. La vita cristiana è fare strada, sempre. Non rimanere fermi. E in questo andare, cosa raccomanda il Signore ai suoi? Una vita di servizio. La vita cristiana è per servire. Ed è molto triste vedere cristiani che all’inizio della loro conversione o della loro consapevolezza di essere cristiani, servono, sono aperti per servire, servono il popolo di Dio, e poi, invece, finiscono per servirsi del popolo di Dio. Questo fa tanto male, tanto male al popolo di Dio. La vocazione del cristiano quindi è “servire” e mai “servirsi di”. La vita cristiana è una vita di gratuità.

85. Non può scegliere Gesù, il buon cristiano, per 'fare carriera'. Diventarne discepolo è una scelta libera e consapevole, fatta per amore, per ricambiare la grazia in estimabile di Dio, e non un modo per promuovere sé stessi, per sentirsi importanti o per acquisire un posto di prestigio. Gesù ci vuole appassionati di Lui e del Vangelo.Una passione del cuore che si traduce in gesti concreti di prossimità, di vicinanza ai fratelli più bisognosi di accoglienza e di cura. Proprio come Lui stesso ha vissuto.

84. Solo da benedetti possiamo benedire gli altri con la stessa unzione d’amore. È triste vedere con quanta facilità oggi si maledice, si disprezza, si insulta. Presi da troppa frenesia, non ci si contiene e si sfoga rabbia su tutto e tutti. Spesso purtroppo chi grida di più e più forte, chi è più arrabbiato sembra avere ragione e raccogliere consenso. Non lasciamoci contagiare dall’arroganza, non lasciamoci invadere dall’amarezza, noi che mangiamo il Pane che porta in sé ogni dolcezza.

83. La vita cristiana è per servire. Ed è molto triste vedere cristiani che all’inizio della loro conversione o della loro consapevolezza di essere cristiani, servono, sono aperti per servire, servono il popolo di Dio, e poi, invece, finiscono per servirsi del popolo di Dio. Questo fa tanto male, tanto male al popolo di Dio.

82. La vita cristiana è fare strada, sempre. Non rimanere fermo. E in questo andare, cosa raccomanda il Signore ai suoi? “Guarite gli infermi, predicate dicendo che il regno dei cieli è vicino, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni”. Cioè: una vita di servizio. La vita cristiana è andare. Predicate, servite, non “servitevi di”. Servite e date gratis quello che gratis avete ricevuto.

78. Qual è un profeta? Un vero profeta è quello che è capace di piangere per il suo popolo e anche di dire le cose forti quando deve dirle. Non è tiepido, sempre è così: diretto. Ma il vero profeta non è un ‘profeta di sventure’. Il vero profeta è un profeta di speranza: aprire porte, risanare le radici, risanare l’appartenenza al popolo di Dio per andare avanti. La Chiesa ha bisogno dei profeti: ha bisogno che tutti noi siamo dei profeti.

77. Nella preghiera si deve avere coraggio, avere quella parresia, quel coraggio di parlare a Dio faccia a faccia. Non è la preghiera del pappagallo recitando formule. La vera preghiera è questa: parlare al Signore, strappargli quanto si chiede. Nella preghiera di intercessione mettercela tutta. E se viene il dubbio: “Ma come so che il Signore mi ascolta?” noi abbiamo una sicurezza: Gesù. Lui è il grande intercessore.

76. “Perdonate e sarete perdonati”. Anche se è tanto difficile perdonare. Ma anche è un comandamento che ci ferma davanti all’altare, ci ferma davanti alla comunione. Perché Gesù ci dice: “Se tu hai qualcosa con il tuo fratello, prima di andare all’altare, riconciliati con il tuo fratello”. Anche nel Padre Nostro Gesù ci ha insegnato che questa è una condizione per avere il perdono di Dio. “Perdonaci come noi perdoniamo”. Noi stiamo dando la misura a Dio di come deve fare con noi. Perché il Signore sarà generoso: noi diamo uno e Lui ci darà cento di tutto quello che noi diamo.

75. I nostri tempi non sono migliori di quelli del diluvio universale e le prime vittime sono i bambini, tra guerre e ingiustizie, e i poveri che pagano il conto salato della festa dei ricchi. Per questo gli uomini e le donne oggi dovrebbero avere gli stessi sentimenti di Dio pentendosi e addolorandosi: fatto carne, aveva la capacità di sentire come noi, col corpo e l’anima, sentire nel cuore di Dio fatto carne, il cuore di Gesù: è il cuore del Padre, il cuore dello Spirito, è lì e ci accompagna con dei sentimenti e soffre.

74. Basta con le nostre risposte di compromesso alle domande scomode di Dio, il quale ci chiede dov’è il nostro fratello che ha fame o che è malato da solo in ospedale, o è in carcere, o non può andare a scuola, o è tossicodipendente. Non si deve scappare dalla domanda scomoda di Dio scaricandoci la coscienza e trovando mille scuse generiche: l’impegno in prima linea dei cristiani nel sociale è voluto dal Signore e non è certo l’attività di un partito comunista.

73. Il cristiano deve imparare la saggezza delle carezze di Dio: avere l’umiltà di aprire il cuore per essere guarito dal Signore e altrettanta umiltà e delicatezza per guarire il fratello che gli sta accanto, che ha bisogno del suo aiuto, di un consiglio, di una buona parola. Ed è proprio così che si costruisce una comunità cristiana. Tutti noi abbiamo bisogno di essere guariti, tutti; perché tutti abbiamo malattie spirituali, tutti; ma, allo stesso tempo, abbiamo la possibilità di guarire gli altri.

72. Dio ti cerca, anche se tu non lo cerchi. Dio ti ama, anche se tu ti sei dimenticato di Lui. Dio scorge in te una bellezza, anche se tu pensi di aver sperperato inutilmente tutti i tuoi talenti. Dio è non solo un padre, è come una madre che non smette mai di amare la sua creatura. Può darsi che anche a noi capiti di camminare su sentieri lontani da Dio, come è successo al figlio prodigo: in quei momenti difficili, possiamo trovare ancora la forza di pregare, ricominciando dalla parola “Padre”, ma detta con il senso tenero di un bambino: “Abbà”, “Papà”.

71 - I comandamenti di Dio sono concretezza, perché «il criterio del cristianesimo è la concretezza, non le idee e le belle parole. La carne di Cristo è la concretezza del primo comandamento. Il secondo comandamento è concreto: amare, amarci gli uni gli altri, amore concreto, non amore di fantasia. Sulla concretezza, dunque, è la sfida: se noi osserviamo questi comandamenti, rimaniamo in Dio, la nostra vita è vita in Dio e lui rimane in noi.

Preferire una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietare e preoccupare la coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo.

A Natale Dio bussa con le carezze alla porta di ciascuno e sta noi non fare resistenza al suo amore: spesso, infatti,abbiamo paura della sua consolazione e della sua tenerezza, una «parola che oggi è sparita dal dizionario della nostra vita. Ma la tenerezza è un linguaggio che non conoscono i profeti di sventura, è una parola cancellata da tutti i vizi che ci allontanano dal Signore: vizi clericali, vizi dei cristiani  che non vogliono un po' muoversi, tiepidi.


Tempo d'avvento, il Rorate

un breve ma intenso cammino, per avvicinarci al Natale cristiano: una preghiera litanica che percorre i temi della luce e dell'incontro, con una meditatio sulla Parola di Dio_ ore 20,30 di venerdì 7, 14 e 21 dicembre_