La Parola di Dio ci invita a uscire allo scoperto, a non nasconderci dietro la complessità dei problemi, dietro il “non c’è niente da fare”, “è un problema loro”, “è un problema suo”, o il “che cosa posso farci io?”, “lasciamoli lì”. Ci esorta ad agire, a unire il culto di Dio e la cura dell’uomo. Perché la sacra Scrittura non ci è stata data per intrattenerci, per coccolarci in una spiritualità angelica, ma per uscire incontro agli altri e accostarci alle loro ferite. Ho parlato della rigidità, di quel pelagianesimo moderno, che è una delle tentazioni della Chiesa. E quest’altra, cercare una spiritualità angelica, è un po’ l’altra tentazione di oggi: i movimenti spirituali gnostici, lo gnosticismo, che ti propone una Parola di Dio che ti mette “in orbita” e non ti fa toccare la realtà. La Parola che si è fatta carne (cfr Gv 1,14) vuole diventare carne in noi.
I magi sfidano Erode. Abbiamo bisogno di una fede coraggiosa, che non abbia paura di sfidare le logiche oscure del potere dove, ancora oggi, tanti Erode seminano morte e fanno strage di poveri e di innocenti, nellʼindifferenza di molti.
La pandemia ci ha mostrato che non possiamo restare sempre sani in un mondo malato. Negli ultimi tempi tanti si sono malati di dimenticanza, di Dio e dei fratelli. Nella società globalizzata, che spettacolarizza il dolore ma non lo compatisce, abbiamo bisogno di costruire compassione per non lasciare che la vita dei popoli si riduca a un gioco tra potenti. Meno armi e più cibo, meno ipocrisia e più trasparenza, più vaccini distribuiti equamente e meno fucili venduti. La preghiera e l’azione possono riorientare il corso della storia.
La Trinità è anche il fine ultimo verso cui è orientato il nostro pellegrinaggio terreno. Il cammino della vita cristiana è infatti un cammino essenzialmente “trinitario”: lo Spirito Santo ci guida alla piena conoscenza degli insegnamenti di Cristo, e ci ricorda anche quello che Gesù ci ha insegnato; e Gesù, a sua volta, è venuto nel mondo per farci conoscere il Padre, per guidarci a Lui, per riconciliarci con Lui. Tutto, nella vita cristiana, ruota attorno al mistero trinitario e viene compiuto in ordine a questo infinito mistero. Cerchiamo, pertanto, di tenere sempre alto il “tono” della nostra vita, ricordandoci per quale fine, per quale gloria noi esistiamo, lavoriamo, lottiamo, soffriamo; e a quale immenso premio siamo chiamati. Questo mistero abbraccia tutta la nostra vita e tutto il nostre essere cristiano
Il dinamismo della carità del credente non è frutto di strategie, non nasce da sollecitazioni esterne, da istanze sociali o ideologiche, ma nasce dall’incontro con Gesù e dal rimanere in Gesù. Egli per noi è la vite dalla quale assorbiamo la linfa, cioè la vita per portare nella società un modo diverso di vivere e di spendersi, che mette al primo posto gli ultimi.
di quaresima – Per non lasciarci soli e accompagnarci nel cammino, Cristo è sceso dentro al nostro peccato e alla nostra morte. Il nostro viaggio, allora, è un lasciarci prendere per mano. Lasciatevi riconciliare: il cammino non si basa sulle nostre forze. La conversione del cuore, con i gesti e le pratiche che la esprimono, è possibile solo se parte dal primato dell’azione di Dio. A farci ritornare a Lui non sono le nostre capacità e i nostri meriti da ostentare, ma la sua grazia da accogliere. Ci salva la grazia, la salvezza è pura gratuità. L’inizio del ritorno a Dio è riconoscerci bisognosi di Lui, bisognosi di misericordia. Questa è la via giusta, la via dell’umiltà.
109 – La vita non è il tempo per guardarsi dagli altri e proteggere se stessi, ma l’occasione per andare incontro agli altri nel nome del Dio vicino. Così la Parola, seminata nel terreno del nostro cuore, ci porta a seminare speranza attraverso la vicinanza. Proprio come fa Dio con noi. I Suoi discepoli erano persone semplici, che vivevano del frutto delle loro mani lavorando duramente notte e giorno. Non erano esperti nelle Scritture e non spiccavano certo per scienza e cultura. E abitavano una regione composita, con vari popoli, etnie e culti: abitavano nella periferia della Palestina di allora. Era il luogo più lontano dalla purezza religiosa di Gerusalemme, il più distante dal cuore del Paese. Ma Gesù comincia da lì, non dal centro ma dalla periferia, e lo fa per dire anche a noi che nessuno è ai margini del cuore di Dio.
108. Per adorare il Signore bisogna “vedere” oltre il velo del visibile, che spesso si rivela ingannevole. Erode e i notabili di Gerusalemme rappresentano la mondanità, perennemente schiava dell’apparenza. Vedono e non sanno vedere – non dico che non credono, è troppo – non sanno vedere perché la loro capacità è schiava dell’apparenza e in cerca di attrattive: essa dà valore soltanto alle cose sensazionali, alle cose che attirano l’attenzione dei più. D’altro canto, nei Magi vediamo un atteggiamento diverso, che potremmo definire realismo teologale – una parola troppo “alta”, ma possiamo dire così, un realismo teologale –: esso percepisce con oggettività la realtà delle cose, giungendo finalmente alla comprensione che Dio rifugge da ogni ostentazione. Il Signore è nell’umiltà, il Signore è come quel bambino umile, rifugge dall’ostentazione, che è proprio il prodotto della mondanità. Questo modo di “vedere” che trascende il visibile, fa sì che noi adoriamo il Signore spesso nascosto in situazioni semplici, in persone umili e marginali. Si tratta dunque di uno sguardo che, non lasciandosi abbagliare dai fuochi artificiali dell’esibizionismo, cerca in ogni occasione ciò che non passa, cerca il Signore. Noi perciò, come scrive l’apostolo Paolo, «non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne».
107. Il Natale ci invita a riflettere, da una parte, sulla drammaticità della storia, nella quale gli uomini, feriti dal peccato, vanno incessantemente alla ricerca di verità, alla ricerca di misericordia, alla ricerca di redenzione; e, dall’altra, sulla bontà di Dio, che ci è venuto incontro per comunicarci la Verità che salva e renderci partecipi della sua amicizia e della sua vita. E questo dono di grazia: questo è pura grazia, senza merito nostro. C’è un Santo Padre che dice: “Ma guardate da questa parte, dall’altra, di là: cercate il merito e non troverete altra cosa che grazia”. Tutto è grazia, un dono di grazia. E questo dono di grazia lo riceviamo attraverso la semplicità e l’umanità del Natale, e può rimuovere dai nostri cuori e dalle nostre menti il pessimismo, che oggi si è diffuso ancor più a causa della pandemia. Possiamo superare quel senso di smarrimento inquietante, non lasciarci sopraffare dalle sconfitte e dai fallimenti, nella ritrovata consapevolezza che quel Bambino umile e povero, nascosto e inerme, è Dio stesso, fattosi uomo per noi. Questa realtà ci dona tanta gioia e tanto coraggio. Dio non ci ha guardato dall’alto, da lontano, non ci è passato accanto, non ha avuto ribrezzo della nostra miseria, non si è rivestito di un corpo apparente, ma ha assunto pienamente la nostra natura e la nostra condizione umana. Queste riflessioni ci aiutino a celebrare il Natale con maggiore consapevolezza. Ma c’è un altro modo di prepararsi, che voglio ricordare a voi e me, e che è alla portata di tutti: meditare un po’ in silenzio davanti al presepe. Chiediamo la grazia dello stupore: davanti a questo mistero, a questa realtà così tenera, così bella, così vicina ai nostri cuori, il Signore ci dia la grazia dello stupore, per incontrarlo, per avvicinarci a Lui, per avvicinarci a tutti noi. Questo farà rinascere in noi la tenerezza. L’altro giorno, parlando con alcuni scienziati, si parlava dell’intelligenza artificiale e dei robot… ci sono robot programmati per tutti e per tutto, e questo va avanti. E io dissi loro: “Ma qual è quella cosa che i robot mai potranno fare?”. Loro hanno pensato, hanno fatto delle proposte, ma alla fine sono rimasti d’accordo in una cosa: la tenerezza. Questo i robot non potranno farlo. E questo è quello che ci porta Dio, oggi: un modo meraviglioso in cui Dio ha voluto venire al mondo, e questo fa rinascere in noi la tenerezza, la tenerezza umana che è vicina a quella di Dio. E oggi abbiamo tanto bisogno di tenerezza, tanto bisogno di carezze umane, davanti a tante miserie! Se la pandemia ci ha costretto a stare più distanti, Gesù, nel presepe, ci mostra la via della tenerezza per essere vicini, per essere umani. Seguiamo questa strada.
106. Chi prega non lascia mai il mondo alle sue spalle. Se la preghiera non raccoglie le gioie e i dolori, le speranze e le angosce dell’umanità, diventa un’attività “decorativa”, un atteggiamento superficiale, da teatro, un atteggiamento intimistico. Tutti abbiamo bisogno di interiorità: di ritirarci in uno spazio e in un tempo dedicato al nostro rapporto con Dio. Ma questo non vuol dire evadere dalla realtà. Nella preghiera, Dio “ci prende, ci benedice, e poi ci spezza e ci dà”, per la fame di tutti. Ogni cristiano è chiamato a diventare, nelle mani di Dio, pane spezzato e condiviso.
105. Dio dona amore, Dio chiede amore. È questa la radice mistica di tutta la vita credente. I primi cristiani in preghiera, ma anche noi che veniamo parecchi secoli dopo, viviamo tutti la medesima esperienza. Lo Spirito anima ogni cosa. E ogni cristiano che non ha paura di dedicare tempo alla preghiera può fare proprie le parole dell’apostolo Paolo: «Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). La preghiera ti fa conscio di questo. Solo nel silenzio dell’adorazione si sperimenta tutta la verità di queste parole. Dobbiamo riprendere il senso dell’adorazione. Adorare, adorare Dio, adorare Gesù, adorare lo Spirito. Il Padre, il Figlio e lo Spirito: adorare. In silenzio. La preghiera dell’adorazione è la preghiera che ci fa riconoscere Dio come inizio e fine di tutta la storia. E questa preghiera è il fuoco vivo dello Spirito che dà forza alla testimonianza e alla missione.
104. Per l’umanità la fame non è solo una tragedia ma anche una vergogna. È provocata, in gran parte, da una distribuzione diseguale dei frutti della terra, a cui si aggiungono la mancanza di investimenti nel settore agricolo, le conseguenze del cambiamento climatico e l’aumento dei conflitti in diverse zone del pianeta. D’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Dinanzi a questa realtà, non possiamo restare insensibili o rimanere paralizzati. Siamo tutti responsabili.
101.Quest’ansia di mondanità,quest’ansia di essere più importante degli altri e dire: “No! Io merito questo, non lo merita quell’altro”. Questo è mondanità, questo è lo spirito del mondo e chi respira questo spirito, respira l’inimicizia di Dio. Gesù, in un altro passo, dice ai discepoli: “O siete con me o siete contro di me”. Non ci sono compromessi nel Vangelo. E quando uno vuole vivere il Vangelo facendo dei compromessi, alla fine si trova con lo spirito mondano, che sempre cerca di fare compromessi per arrampicarsi di più, per dominare, per essere più grande.
102. Anche se il demonio avanza nel mondo e semina zizzania non spetta di certo ai cristiani “sopprimere i malvagi”. Il loro compito semmai è quello di salvarli. Il male, certo, va rigettato, ma i malvagi sono persone con cui bisogna usare pazienza. Non si tratta di quella tolleranza ipocrita che nasconde ambiguità, ma della giustizia mitigata dalla misericordia. Se Gesù è venuto a cercare i peccatori più che i giusti, a curare i malati prima ancora che i sani anche l’azione di noi suoi discepoli dev’essere rivolta non a sopprimere i malvagi, ma a salvarli.
100. La rigidità non è di uno spirito buono, perché mette in questione la gratuità della Redenzione, la gratuità della Risurrezione di Cristo: E durante la storia della Chiesa, questo si è ripetuto. E anche nei nostri tempi abbiamo visto alcune organizzazioni apostoliche che sembravano proprio bene organizzate, che lavoravano bene … ma tutti rigidi, tutti uguali uno all’altro. Dov’è rigidità non c’è lo Spirito di Dio, perché lo Spirito di Dio è libertà. La morte e la Risurrezione di Cristo è gratuita. Non si paga, non si compra: è un dono.
99. Gesù ci fa capire un altro modo di cercare la giustificazione, proponendoci l’immagine di quelli che si credono giusti per le apparenze: quelli che sanno fare la “faccia di immaginetta”. Questi truccano l’anima, vivono del trucco, la santità è un trucco per loro. Gesù sempre ci chiede di essere veritieri, ma veritieri dentro al cuore e che se qualcosa appare che appaia questa verità, quello che è dentro al cuore.
98 – Lo spirito del mondo è contrario allo Spirito Santo. Gesù, nell’Ultima Cena non chiede al Padre di togliere i discepoli dal mondo, perché la vita cristiana è nel mondo, ma di proteggerli dallo spirito del mondo Ed è anche peggio di fare un peccato. È un’atmosfera che ti rende incosciente, ti porta ad un punto che tu non sai riconoscere il bene dal male. Uno può essere nelle città più peccaminose, nelle società più atee, ma se il cuore rimane in Dio, quest’uomo e questa donna portano la salvezza. Lo Spirito Santo è colui che ti fa rimanere nel Signore, è la garanzia, la forza per rimanere nel Signore.
97 – Essere cristiano non è soltanto compiere i Comandamenti: si devono fare, questo è vero; ma se tu ti fermi lì, non sei un buon cristiano. Essere cristiano è lasciare che lo Spirito entri dentro di te e ti porti, ti porti dove lui vuole. Nella nostra vita cristiana tante volte ci fermiamo come Nicodemo, davanti al “dunque”, non sappiamo il passo da fare, non sappiamo come farlo o non abbiamo la fiducia in Dio per fare questo passo e lasciare entrare lo Spirito. Nascere di nuovo è lasciare che lo Spirito entri in noi e che sia lo Spirito a guidarmi e non io e qui: libero, con questa libertà dello Spirito che tu non saprai mai dove finirai.
96 – Gesù ha cambiato la storia facendosi vicino a noi e l’ha resa, per quanto ancora segnata dal male, storia di salvezza. Offrendo la sua vita sulla croce, Gesù ha vinto anche la morte. Dal cuore aperto del Crocifisso, l’amore di Dio raggiunge ognuno di noi. Noi possiamo cambiare le nostre storie avvicinandoci a Lui, accogliendo la salvezza che ci offre. Fratelli e sorelle, apriamogli tutto il cuore nella preghiera, questa settimana, questi giorni: con il Crocifisso e con il Vangelo. La liturgia domestica, sarà questa. Apriamogli tut-to il cuore nella preghiera, lasciamo che il suo sguardo si posi su di noi e capiremo che non siamo soli, ma amati, perché il Signore non ci abbandona e non si dimentica di noi, mai.
95. Quaresima è riconoscere il peccato. Quando noi abbiamo non solo il ricordo, la memoria dei peccati che abbiamo fatto, ma anche il sentimento della vergogna, questo tocca il cuore di Dio e risponde con misericordia. Ecco che il cammino per andare incontro alla misericordia di Dio è vergognarsi delle cose brutte, delle cose cattive che abbiamo fatto. E così, quando io andrò a confessarmi, dirò non solo l’elenco dei peccati, ma i sentimenti di confusione, di vergogna per aver fatto questo a un Dio tanto buono, tanto misericordioso, tanto giusto. A lui, attraversando con il peccato la vita dei fratelli.
94. Confessare Gesù è accettare la strada dell’umiltà e dell’umiliazione. E quando la Chiesa non va per questa strada, sbaglia, diventa mondana. E quando noi vediamo tanti cristiani buoni, con buona volontà, ma che confondono la religione con un concetto sociale di bontà, di amicizia, quando noi vediamo tanti chierici che dicono di seguire Gesù, ma cercano gli onori, le vie fastose, le vie della mondanità, non cercano Gesù: cercano se stessi. Non sono cristiani; dicono di essere cristiani, ma di nome, perché non accettano la via di Gesù, dell’umiliazione. E quando leggiamo nella storia della Chiesa di tanti vescovi che hanno vissuto così e anche di tanti Papi mondani che non hanno conosciuto la strada dell’umiliazione, non l’hanno accettata, dobbiamo imparare che quella non è la strada. La grazia di seguire Gesù è il non usare il cristianesimo per “arrampicarsi”.
93. Stiamo attenti perché questo è un tarlo che entra nel cuore di tutti noi, è il seme di una guerra l’invidia e la gelosia e ci porta a giudicare male la gente ci porta a scartare la gente, a una guerra domestica, una guerra di quartiere, una guerra di posti di lavoro, di cittadinanza. Ci dia il Signore la grazia di ringraziare per il dono che siamo, non mettendoci in concorrenza fatua con i doni altrui.
92. Dove c’è il Signore c’è la pace. È Lui che fa la pace, è lo Spirito Santo che Lui invia a fare la pace dentro di noi. Se noi rimaniamo nel Signore il nostro cuore sarà in pace; e se noi rimaniamo abitualmente nel Signore quando noi scivoliamo su un peccato o un difetto sarà lo Spirito a farci conoscere questo errore, questa scivolata. Rimanere nel Signore. E come rimaniamo nel Signore? Dice l’Apostolo: “Se ci amiamo gli uni gli altri”. È questa la domanda, questo è il segreto della pace.
90. E’ proprio il Cristo che è stato inviato dal Padre a salvarci e lo ha fatto con amore, ha dato la vita per me: non c’è amore più grande di dare la vita per un altro. Pensiamo a una mamma, l’amore di una mamma, per esempio, che dà la vita per il figlio, lo accompagna sempre nella vita, nei momenti difficili ma questo ancora è poco… È un amore vicino a noi, non è un amore astratto l’amore di Gesù, è un amore io-tu, io-tu, ognuno di noi, con nome e cognome,
89. Oggi vi sono cristiani che hanno paura delle sfide della vita, delle sfide del Signore, delle sfide della Storia. Sono i cristiani che preferiscono l’ideologia alla fede e si allontanano dalla comunità; hanno paura di mettersi nelle mani di Dio e preferiscono giudicare tutto, ma dalla piccolezza del proprio cuore. Due le figure della Chiesa oggi: la Chiesa di coloro che si accovacciano nelle proprie ideologie, e la Chiesa che fa vedere il Signore che si avvicina a tutte le realtà, che non ha schifo: le cose non fanno schifo al Signore, Lui è venuto per guarire, Lui è venuto per salvare, non per condannare.
88. La profezia di Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni». Tra gli uni e gli altri c’è uno scambio reciproco, cosa che non succede quando, al contrario, a prevalere nella nostra civiltà è la cultura dello scarto, una rovina che ci fa rimandare al mittente i bambini che arrivano o ci fa adottare come criterio quello di chiudere nelle case di riposo gli anziani perché non producono, perché impediscono la vita normale. Quale dunque il cuore del messaggio di Dio? È la cultura della speranza è rappresentata dall’incontro tra vecchi e giovani.
87. Essere in cammino vuol dire anche correre dei rischi, pensiamo a quelli che hanno rotto il tetto della casa per calare il paralitico, correndo il rischio che il padrone di casa facesse loro causa. Mettersi in cammino e correre dei rischi per incontrare Gesù è l’atteggiamento del discepolo, comportamento che non è quello degli scribi, un gruppo fermo al balcone, a guardare e giudicare
86. La vita cristiana è fare strada, sempre. Non rimanere fermi. E in questo andare, cosa raccomanda il Signore ai suoi? Una vita di servizio. La vita cristiana è per servire. Ed è molto triste vedere cristiani che all’inizio della loro conversione o della loro consapevolezza di essere cristiani, servono, sono aperti per servire, servono il popolo di Dio, e poi, invece, finiscono per servirsi del popolo di Dio. Questo fa tanto male, tanto male al popolo di Dio. La vocazione del cristiano quindi è “servire” e mai “servirsi di”. La vita cristiana è una vita di gratuità.
85. Non può scegliere Gesù, il buon cristiano, per ‘fare carriera’. Diventarne discepolo è una scelta libera e consapevole, fatta per amore, per ricambiare la grazia in estimabile di Dio, e non un modo per promuovere sé stessi, per sentirsi importanti o per acquisire un posto di prestigio. Gesù ci vuole appassionati di Lui e del Vangelo.Una passione del cuore che si traduce in gesti concreti di prossimità, di vicinanza ai fratelli più bisognosi di accoglienza e di cura. Proprio come Lui stesso ha vissuto.
84. Solo da benedetti possiamo benedire gli altri con la stessa unzione d’amore. È triste vedere con quanta facilità oggi si maledice, si disprezza, si insulta. Presi da troppa frenesia, non ci si contiene e si sfoga rabbia su tutto e tutti. Spesso purtroppo chi grida di più e più forte, chi è più arrabbiato sembra avere ragione e raccogliere consenso. Non lasciamoci contagiare dall’arroganza, non lasciamoci invadere dall’amarezza, noi che mangiamo il Pane che porta in sé ogni dolcezza.
83. La vita cristiana è per servire. Ed è molto triste vedere cristiani che all’inizio della loro conversione o della loro consapevolezza di essere cristiani, servono, sono aperti per servire, servono il popolo di Dio, e poi, invece, finiscono per servirsi del popolo di Dio. Questo fa tanto male, tanto male al popolo di Dio.
82. La vita cristiana è fare strada, sempre. Non rimanere fermo. E in questo andare, cosa raccomanda il Signore ai suoi? “Guarite gli infermi, predicate dicendo che il regno dei cieli è vicino, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni”. Cioè: una vita di servizio. La vita cristiana è andare. Predicate, servite, non “servitevi di”. Servite e date gratis quello che gratis avete ricevuto.
78. Qual è un profeta? Un vero profeta è quello che è capace di piangere per il suo popolo e anche di dire le cose forti quando deve dirle. Non è tiepido, sempre è così: diretto. Ma il vero profeta non è un ‘profeta di sventure’. Il vero profeta è un profeta di speranza: aprire porte, risanare le radici, risanare l’appartenenza al popolo di Dio per andare avanti. La Chiesa ha bisogno dei profeti: ha bisogno che tutti noi siamo dei profeti.
77. Nella preghiera si deve avere coraggio, avere quella parresia, quel coraggio di parlare a Dio faccia a faccia. Non è la preghiera del pappagallo recitando formule. La vera preghiera è questa: parlare al Signore, strappargli quanto si chiede. Nella preghiera di intercessione mettercela tutta. E se viene il dubbio: “Ma come so che il Signore mi ascolta?” noi abbiamo una sicurezza: Gesù. Lui è il grande intercessore.
76. “Perdonate e sarete perdonati”. Anche se è tanto difficile perdonare. Ma anche è un comandamento che ci ferma davanti all’altare, ci ferma davanti alla comunione. Perché Gesù ci dice: “Se tu hai qualcosa con il tuo fratello, prima di andare all’altare, riconciliati con il tuo fratello”. Anche nel Padre Nostro Gesù ci ha insegnato che questa è una condizione per avere il perdono di Dio. “Perdonaci come noi perdoniamo”. Noi stiamo dando la misura a Dio di come deve fare con noi. Perché il Signore sarà generoso: noi diamo uno e Lui ci darà cento di tutto quello che noi diamo.
75. I nostri tempi non sono migliori di quelli del diluvio universale e le prime vittime sono i bambini, tra guerre e ingiustizie, e i poveri che pagano il conto salato della festa dei ricchi. Per questo gli uomini e le donne oggi dovrebbero avere gli stessi sentimenti di Dio pentendosi e addolorandosi: fatto carne, aveva la capacità di sentire come noi, col corpo e l’anima, sentire nel cuore di Dio fatto carne, il cuore di Gesù: è il cuore del Padre, il cuore dello Spirito, è lì e ci accompagna con dei sentimenti e soffre.
74. Basta con le nostre risposte di compromesso alle domande scomode di Dio, il quale ci chiede dov’è il nostro fratello che ha fame o che è malato da solo in ospedale, o è in carcere, o non può andare a scuola, o è tossicodipendente. Non si deve scappare dalla domanda scomoda di Dio scaricandoci la coscienza e trovando mille scuse generiche: l’impegno in prima linea dei cristiani nel sociale è voluto dal Signore e non è certo l’attività di un partito comunista.
73. Il cristiano deve imparare la saggezza delle carezze di Dio: avere l’umiltà di aprire il cuore per essere guarito dal Signore e altrettanta umiltà e delicatezza per guarire il fratello che gli sta accanto, che ha bisogno del suo aiuto, di un consiglio, di una buona parola. Ed è proprio così che si costruisce una comunità cristiana. Tutti noi abbiamo bisogno di essere guariti, tutti; perché tutti abbiamo malattie spirituali, tutti; ma, allo stesso tempo, abbiamo la possibilità di guarire gli altri.
72. Dio ti cerca, anche se tu non lo cerchi. Dio ti ama, anche se tu ti sei dimenticato di Lui. Dio scorge in te una bellezza, anche se tu pensi di aver sperperato inutilmente tutti i tuoi talenti. Dio è non solo un padre, è come una madre che non smette mai di amare la sua creatura. Può darsi che anche a noi capiti di camminare su sentieri lontani da Dio, come è successo al figlio prodigo: in quei momenti difficili, possiamo trovare ancora la forza di pregare, ricominciando dalla parola “Padre”, ma detta con il senso tenero di un bambino: “Abbà”, “Papà”.
71 – I comandamenti di Dio sono concretezza, perché «il criterio del cristianesimo è la concretezza, non le idee e le belle parole. La carne di Cristo è la concretezza del primo comandamento. Il secondo comandamento è concreto: amare, amarci gli uni gli altri, amore concreto, non amore di fantasia. Sulla concretezza, dunque, è la sfida: se noi osserviamo questi comandamenti, rimaniamo in Dio, la nostra vita è vita in Dio e lui rimane in noi.
Preferire una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietare e preoccupare la coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo.
A Natale Dio bussa con le carezze alla porta di ciascuno e sta noi non fare resistenza al suo amore: spesso, infatti,abbiamo paura della sua consolazione e della sua tenerezza, una «parola che oggi è sparita dal dizionario della nostra vita. Ma la tenerezza è un linguaggio che non conoscono i profeti di sventura, è una parola cancellata da tutti i vizi che ci allontanano dal Signore: vizi clericali, vizi dei cristiani che non vogliono un po’ muoversi, tiepidi.