In auto, un flash che interrompe una trasmissione su temi medici, e la notizia che il papa si dimette. E si dimette in una data precisa. E’ carnevale, e uno pensa subito a uno scherzo che qualche apprendista di agenzia trasmette cercando di dare lo scoop. E invece, dalle vetrine della città rimbalza ormai accertata. Pensieri che si accavallano, ma uno primariamente: il coraggio di un papa coerente. Ho avuto in passato da difendere il suo pensiero con amici convinti di un conservatorismo del Pastore tedesco. Da sempre ho seguito la sua bibliografia, e il mio convincimento era maturato in altra direzione: né conservatore né progressista, un uomo leale, sincero e umile. Con i suoi limiti culturali, dovuti a quella formazione da cui ciascuno di noi è condizionato. E così, nel rispetto dovuto, ho pure preso posizione su alcuni atti di non magistero vincolante; su alcune debolezze, umanamente comprensibili, a cui neppure un papa riesce a sottrarsi – ed un esempio lo trovate qui accanto, in quel cinguettio del 31 gennaio, ma soprattutto in quel cedimento agli integralisti che sono, occorre prenderne atto seppur a malincuore, inconvertibili. Ma l’atto che ha compiuto cambia la storia: perché, anche, ridimensiona quell’esasperazione sul martirio del suo predecessore che di fatto ha consegnato, per un lungo periodo, in mani non papali la sede di Pietro. “Ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”. Non certo in polemica con il prima del papato, dice che si può servire dunque, e certo, la chiesa anche nella fragilità; ma prendere coscienza che quel ministero è del tutto suo e non di altri che pure possono sorreggere le sue braccia, ma non sostituirsi, è un atto di coraggio di cui non possiamo essere che grati. Ci saranno letture intelligenti, e letture indecenti: non ci si può aspettare altro. Ma si convincano anche questi ultimi di questo atto di coraggio, e di bellezza. Il gran rifiuto di papa Celestino, non poi così dantescamente vituperabile, è ora il gran gesto di libertà di un uomo la cui grandezza offerta a ciascuno sta nel riconoscimento di un limite. Per il bene della Chiesa del Signore. A me pare che questo possa far dire, con umile orgoglio, che la Chiesa una santa apostolica e romana esce al meglio. Verso quali lidi, sappiamo che saranno sempre di speranza: sulla sua parola, infatti, possiamo buttare le reti, e vederle straripanti di un pescato di grazia.