Uscire, ma non del tutto.Quando ho pensato di trascrivere questo antico ammonimento sul portale del Tempio appena riqualificato (a S. Lucia, la chiesa prepositurale in Bergamo), avevo voluto dare il segno di un rinnovamento di strutture che non racchiudono, e non possono racchiudere del tutto il senso della vita. Anche dalla presenza del Signore, che si rende visibile nei sacramenti, si esce fuori. Per reincontrarlo sui marciapiedi o sui pianerottoli, certo; ma le facce diverse costringono a misurarsi con un Dio diverso: il Dio della collera, della tristezza, della seduzione, il Dio che s’affaccia in poveri cristi sperduti. Ma anche un Dio della gioia che ti sorride, della generosità che ti presta il sale, della bellezza che inonda la giornata. Occorre uscire.
E se occorra uscire da qui: da queste pietre antiche che trasudano un silenzio di preghiera, da questi vigneti che dicono, scheletrici in questa stagione, la promessa del vino nuovo. Uscir fuori da queste colline, come dal Tabor: è bello, ma occorre scendere. Dove c’è la vita, dove c’è il Signore da incontrare nelle diversità della sua incarnazione. Raccolgo da qualche mese le storie di chi passa, e il desiderio di tutti di pensarsi qui per sempre: raccolgo quella sotterranea voglia di fuga che ci prende anche nelle stagioni migliori della vita. Certamente è desiderio di un attimo: ma è segno del qualcos’altro che ci spetta, e nella speranza della fede, ci aspetta. Ci spetta per il riflesso di sé che il Creatore ha messo in ciascuno, e ci aspetta per grazia del Figlio nostro salvatore.
Uscire, occorre, e sempre nella vita. Non attaccarsi. Vivere la povertà come un distacco continuo. Non arroccarsi sulle proprie ragioni, e neppure su bandiere sbrecciate. Occorre uscire. Ma non del tutto: una parte di Lui, e della Sua bellezza, sempre ad accompagnarci. Il corposo della sua parola sempre ad orientare. Per non uscir fuori, e non sapere chi e che cosa ci è chiesto nei giorni.