Sulle fettine, c’è un mercato che non s’aggiusta: colpa dell’euro o colpa delle avide filiere commerciali, il fatto è che ai cenoni di fine anno molti arrivano da giorni di insopportabile privazione degli italici gusti. (Che non è poi un male se ascoltate chi, in nome del salutismo o in nome dell’animalismo, bandisce la carne dal menu dell’alimentazione umana). Indigestione piena, invece, per i mangiatori di altre fettine: le fettine di bontà, ormai ingredienti immancabili di tutti i grandi contenitori televisivi,
soprattutto domenicali. Tra una coscia desnuda e ombelichi incuranti del freddo, (rigorosamente femminili) compare un prelato, di su o di giù della scala mobile dei noti, che ci mette la sua fetta della bontà; o meglio, un parere morale cattolico sul fatto del giorno, per altro contraddetto – se non deriso – da tutto il resto della trasmissione. Quand’anche dicesse qualcosa che contrasta la gente, in quegli spazi va sempre bene: è scelto chi o s’adegua o pronuncia un dissenso arginato. Se poi va bene, se collima cioè quanto dice con le attese buoniste del pubblico e del conduttore, tutto si liquefa in un abbondante applauso. Codificato. Dunque insignificante.
Insignificante come è ormai il natale di Gesù. Dall’avvenimento per eccellenza della storia – lo stupore del Figlio di Dio venuto a mettere carnalmente tenda tra gli uomini – al festeggiamento per antonomasia della bontà senza piedi. Tutt’altra cosa. A cui si è tentato di opporsi nei mille modi che conoscono i miei amici delle valli disastrate dai fiumi: una trepidante attenzione, e migliaia di sacchetti di sabbia. Carota e bastone, ad anni alterni. Per svuotare le accuse di malmostosismo cattolico, si sono tenute predicazioni allettanti, centrate sul mistero del Dio misericordioso che si mette dentro la compagnia umana; e predicazioni veementi a rimandare altrove chi si trova lì per folclore, soprattutto nella notte santa: ma quale altra occasione per raggiungere chi neppure conosce l’avvento liturgico? Con risultati pressoché nulli, se si sta all’evidenza: sempre più si anticipano i tempi dell’avvento consumistico, delle tredicesime sbancate in un giorno, della sobrietà rinnegata dalla futilità. Badate a quando hanno acceso quelle luminarie da parco dei divertimenti, e provate a ricordare se l’han scampata almeno i morti d’inizio novembre; e degli spot in tivù, senz’altro deficienti e non potrebbe essere diversamente, ma rozzi alcuni fino al punto della dissacrazione? (Nelle raccolte delle pubblicità spazzatura sta quel “Il natale quando arriva, arriva” interpretato da un attore mangia-panettone che pure è stato intelligente). Il problema dell’uomo occidentale è quello di utilizzare tutto senza capirne il senso. In un lancio del solito film della pluriennale serie natalizia, in ritardo di produzione, si è scritto: Se non si fa in tempo a finirlo, il nostro produttore (sotteso: con il suo potere) sposta il natale. È una battuta ridanciana, o un lapsus freudiano?
Insignificante. Insignificante è il Cristo di questi natali, tanto da farci chiedere se invece di compassionevoli potature, non sia il tempo del taglio alla radice di cui avvertono i sacri testi. Chi ha comandato di fare il natale lì? Perché non lo spostiamo in altra data, senza dir nulla a nessuno, noi che crediamo nell’avvenimento: lui che sconvolge il vuoto di chi vuole appassire, lui che rimette nella battaglia chi si chiama fuori. Lui, l’ospite mite, che ha lasciato l’onnipotenza nel più alto dei cieli, e tuttavia insegna la forza perché nessuno si perda di coloro che gli sono stati affidati. Lui, il sollievo che stacca dalla croce le braccia perché nessuno sia abbandonato al male. Lui, profeta di giustizia, alleato dei poveri, fustigatore dei furbi. Se non si possono dire queste cose, e tutte – perché il contesto di paillettes e lustrini non l’ammette e mal lo sopporta la corte di nani e ballerine – non lo si dica a bocconi, non si dica nulla. Banalizzare il mistero del Dio fatto uomo in una formuletta stretta dai tempi dello spettacolo, vale una apparizione tivù? Lui, il Signore della vita, che ha scelto una terra lontana dai riflettori del tempo, sottoposto agli occhi di bue di chi vuole levarsi il pensiero con qualche citazione? per salvarsi l’anima con qualche prete come amico, a natale e in qualche altra domenica? Perché non celebrarlo altrove, nella liturgia di una notte senza data, nella catacomba che è ogni mondo estraneo a un vestire patinato, a biglietti d’auguri prestampati, a tavole apparecchiate in tradizioni senza più gioia?
È vero: solo da pochi anni il Natale è stato riammesso a Cuba. Voi dite che sarebbe malvagio portarglielo via subito? Ma là è una notte senza data, e una catacomba veritieramente echeggiante il “maranatha”.