Qual è, in termini di fede, la strada che il cristiano oggi percorre? Siamo in un tempo di attesa, dopo che Benedetto è stato chiamato al compito di vescovo di Roma, e dunque a presiedere nella carità le chiese sparse sulla terra. E come in ogni tempo di attesa si delineano aspettative diverse, e frette più o meno giustificate. Non che la chiesa di Cristo deceleri se stessa nei momenti di passaggio: ma certo essa cresce quanto più si imprime una profonda intelligenza della fede, e della spiritualità che ne consegue. Nessun cristiano è esente dal fare passi decisi,

e nessuno può rimandare ad altri un vissuto di vangelo che sia una vera testimonianza. Se è vero che anche la Chiesa soffre di momenti di passaggio – è fatta da uomini – e se è vero che non si può sottrarre a momenti di declino: ebbene, ci si chiede se questo sia quel momento. Se lo chiedono quelli che si sentono orfani di un papa, e ancora non figli del suo successore. Se lo chiedono quelli che vorrebbero una svolta decisiva verso quella sobrietà della predicazione del vangelo, che tocca il celebrare e il discernimento morale in questo mondo che Cristo comanda di amare, pure con le sue pecche e dentro la sua ricerca di senso che talvolta pecca. Ma se lo chiedono soprattutto quelli che vorrebbero una Chiesa che non si preoccupa di piacere ai poteri del mondo, o all’apparenza che sconfina troppo spesso in forme di vangelo senza più sale. È la vita quotidiana vissuta con fedeltà al Vangelo la fede che ora si chiede come testimonianza al mondo.

Abbiamo vissuto un’ondata emotiva nel mese d’aprile, che nel suo inevitabile scemare sembra lasciar posto a una quotidianità senza ispirazione. Ma l’errore sta nell’aver permesso per troppo tempo che l’emozione abbia un posto privilegiato nella fede dei credenti: la devozione popolare, verso chiunque e nei molteplici modi che talvolta rasentano il culto della personalità, si nutre di emozioni che annacquano la testimonianza richiesta ai discepoli del Risorto. Nella geografia della chiesa universale, c’è da tener conto della geografia di questa chiesa italiana – la più vicina al papa – a riguardo delle devozioni popolari: sicuramente lo spartiacque tra nord e sud è molto più netto di quanto non si sia finora riusciti a descrivere. Piccole frange eucaristiche sono immerse da una parte nella massa di chi si ritrova attorno ad un’urna di santo, e dall’altra nella congerie dell’indifferenza più disadorna. Non si deve demonizzare nulla: ma non si può non sciacquare. E dunque un discorso generale ha bisogno di continui distinguo, che si lasciano ovviamente a chi vive in modalità diverse le sue appartenenze. Ma certo ci si deve chiedere, e proprio in frangenti come questi, se l’abitudinarietà del porsi ecclesiale stia rispondendo alle domande degli uomini di adesso. Rompere clichè è più di una necessità: è un dovere. Se un papa, a fedeli accorsi per confermare la propria fede nella fede degli Apostoli, facesse un pur breve catechismo che incominciasse con “abbiamo visto precedentemente…” potrebbe lasciare interdetto chi è lì quella sola volta, ed è lì per sentirsi chiamare per nome con la spontaneità che nasce dal vissuto di quel mercoledì del papa.

Ma non “cambiare per non cambiare”. La strada che il cristiano oggi percorre è di “quelli che vanno a messa”, o di “quelli che dalla messa vengono”? Riconosciuti, questi ultimi, come portatori di una novità che si declina come misericordia per il mondo? Bach che sostituisse i canti contemporanei – che qualcuno definisce sfibrati, ed è vero per una grande quantità – non rimetterebbe più fede nella liturgia eucaristica. Che resta per molti un obbligo, e per altri un informe modo di riconoscersi in non si sa chi. Quando si va volentieri (non tutti, certo) si va per essere cullati dalle parole di un prete che piace. Avere spiritualizzato molte cose le ha solo negate. Pensate ai monaci cui avevano spiritualizzato persino il sonno! Nova sint omnia, dice già san Tommaso quando fa la memoria di Cristo eucaristia. Tutte le cose siano nuove: i cuori, le voci e le opere. “Novità dinamica, mai statica, ma da inventare continuamente” come confida con grande passione il monaco Benedetto Calati sul finire della sua vita. E aggiunge: “Sento che i laici devono oggi diventare protagonisti: questo è il loro tempo, devono far esplodere il mondo!”. A messa non si va forse per essere mandati in missione, come Giona in una indesiderabile Ninive? Quanti cristiani oggi si occupano della città, e degli uomini che chiedono di abitarla rispettosi delle loro differenze?

“Noi dobbiamo accettare il peso di questo tempo triste. Dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire” – e cala il sipario sul re Lear di Shakespeare. Fragilità, saggezza e follia di un uomo. Ma assunzione di responsabilità per un cristiano.