saccheggiatori

Qualche lettore si meraviglia che da qui non sia in un anno comparso il nome di David Maria Turoldo. La “sfida”, come è stata chiamata dai media che hanno corveggiato, nel giugno dell’anno passato, sul cambio di guardia in questa Rettoria vescovile, qualcuno non la vede. Non la vedrà. Quel frate, quel poeta, quel politico è stato unico. Lui, e nessun altro come lui: magari meglio, ma non come lui. Morto ormai da più di vent’anni, è tenuto vivo dalla memoria non sempre vera; ma soprattutto dal saccheggiare diffuso dei suoi scritti: piegati a sé, senza talvolta l’esegesi di testi che sono nati in giorni di gioia o di angoscia su questa collina che emana effluvi di fascino, e di solitudine. Applicati a sé, senza alcun filtro da anima ad anima, la sua e la nostra. Non è il solo…

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permettete…

 … che vi parli di lei: due mesi fa, come oggi, moriva la mia mamma. Non sono solito parlare del mio privato. Anzi, mi disturba non poco chi mescola parabole evangeliche a storie proprie. Ma lo sto capendo in questi sessanta giorni: tornare là dove abitava chiede il gravarsi di una amarezza; chiede di accettare un vuoto, e così pregnante. E chiede di non stare soli dentro quel vuoto, chiede di condividerlo, per una volta almeno. Sia chiaro, nessuna forma depressiva, nessun rammarico irrazionale: novantaquattro anni di vita sono un bene che non si può pretendere sia travalicato. C’è un limite a tutto, e il tempo è lì ad ammonire: prendi e ringrazia. Ma la mutilazione c’è: e non di una memoria, ma di un presente. Di parole che non passano più, di un sorriso che non si accende più,…

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2 novembre

 Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare – san Francesco. La morte non si improvvisa. Si merita con tutta la vita – padre Kolbe. Devo ancora imparare a meritare la mia morte – R. Garaudy. Dio ha fatto bene a mettere la morte alla fine della vita, anziché al principio; così gli uomini hanno tempo per prepararvisi – J. Le Gentil. Morire è tremendo. Ma l’idea di morire senza aver vissuto è insopportabile. E. Fromm.  Signore, dona a ciascuno la propria morte, nata dalla propria vita – R.Rilke. Signore, fa’ che la morte mi trovi vivo – un credente.  E’ la sera dei morti. Si può dire morti? O come ha scritto J. Sullivan, citato da…

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leggende

Chi le architetta le leggende? Buontemponi afflitti da voglia di contare inventando? O pataccari che vendono paccottiglie per il gusto di confondere? o confusionari che non distinguono tra realtà e fantasia? Mistero. Però le leggende prendono piede, si diffondono, e più si diffondono più ricamano o stravolgono, mettendoci ciascuno un che di suo. La verità nelle leggende non ha spazio, soprattutto perché nascono da non-verità. Potreste trovare, questo aneddoto, in un qualche romanzo etnico. C’è Gioele e Gespi, cattolici, e Akram, musulmano: tredicenni del nostro mondo multietnico e multireligioso. Il fianco a fianco esiste per i giochi, per la scuola. Non esiste per la fede. I primi due si stanno preparando per la Confermazione, e naturalmente si sentono dire dal catechista che i cristiani…

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politically incorrect

Scriverlo non sarà alla moda (ma alla moda di chi?): il buon senso non abita sul territorio di Roma. Di Roma in primis (ma altri non si tirino fuori). E di tutta Roma, fatta di sindaci e di prelati. Muore un barbaro nazista, e subito tutti a dire no, meno uno (che salta all’onore delle cronache, neppure essendo familiare o erede) annunciando all’orbe terracqueo i funerali solenni per quegli, e fa in modo che tutti sappiano dove e quando si terranno. L’unica intelligenza del buon senso sarebbe del sindaco di Albano, dicono i cronisti, che però pure lui dice no, ottenendo a sua volta un no dal prefetto di lì. Che il barbaro nazista non meriti nulla, è fuori discussione: fino all’ultimo rivendica una obbedienza senza coscienza. Ma il cadavere, che passi in chiesa oppure no, non si può…

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un ossimoro

Qui come altrove i giorni passano veloci, come per tutti quelli che hanno scollinato i quaranta. Alcuni giorni, troppo lentamente passano veloci. Ed è un ossimoro, una contraddizione di termini voluta. La lentezza non si impara neppure in un anno, mi accorgo. E lo stile di vita che alcuni dovrebbero saper contenere è per altri un richiamo a saperlo espandere. Perché tra noia e affanno c’è una comunanza che esprime il non senso della vita, o almeno di alcuni suoi tempi. Non senso che conduce a interrogarsi: è difficile capire chi si toglie la vita, ma molto comprensibile chi chiede che non gli venga inutilmente allungata in sofferenze. Quell’inutilmente sicuramente scandalizza gli spiritualisti del dolore, i cosiddetti doloristi: una categoria di asceti e di teologi che hanno fatto…

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l’indifferenza

 Sembra a volte diventare una virtù, tanto sa riparare dagli odori acidi che emanano certi nostri vicini. Più ci si allontana, meglio si sta, si pensa: e si agisce di conseguenza. Succede nei condomini, ma avviene quando si schiva qualcuno che non ci piace incontrare, svicolando dall'altra parte di una via. O della vita. Perché, che piaccia o no ai nostri sensi di colpa, dalla profondità di sé emerge a barlumi, e talvolta, il bisogno della vicinanza. C'è certo la grande indifferenza, quella mondiale: l'indifferenza dei paesi benestanti di fronte a quelli poveri, dice Francesco papa: "Abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna... La cultura del benessere rende insensibili alle grida degli altri, fa vivere in bolle di sapone. Una situazione che porta all'indifferenza…

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e questo papa…

... che non lascia queti i benpensanti cristiani. Quelli che hanno deciso che l'uomo viene dopo il sabato. Delle cose toccate dall'intelligenza di cuore di Francesco papa si può arricciare il naso? E uso un verbo soft, per indicare quelli - anche preti bergamaschi, ma si sa di quale coltivazione prepolitica siano stati forgiati - che, per questo inconsueto uso di dire cose senza lanciare encicliche in ecclesialese, si smarriscono. Ma facessero silenzio! invece straparlano, partendo dalla dottrina che a volte smarrisce il Vangelo: fardelli posati sulle spalle dei credenti, e no. Il papa delle periferie, invece, non teme: sceglie un giornale che si è distinto sempre per anticlericalismo, per raccontare il fatto cristiano; e sceglie la rivista che più papale non c'è per tracciare il…

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cieli piatti, e no

Finalmente, da qualche giorno, i cieli si sono mossi. Nuvole e temporali. Prima, a lungo, un piattume lattiginoso, con la foschia propria del luglio che non c’è stato, in un calore che saliva fin qui e un po’ si sfaceva nell’impatto con i boschi. Ora finalmente un azzurro trasparente, solcato da cumuli bianchissimi nella luce del mattino, e da nembi neri pieni di pioggia a intrecciarsi da non molto lontano: a dare profondità alla calotta che approda agli Appennini, finalmente ricomparsi. Da questo terrazzo che è sant’Egidio vedi il trascorrere del giorno nella ricchezza della diversità. Di cieli piatti - seppure assicurano il bel tempo (!) ad anime sprovviste del bene della differenza - non se ne può più. E non solo atmosferici, quei cieli piatti: a volte così si pensa anche la fede, o si…

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di che colore è la pelle di Dio?

 Nel giorno in cui si annuncia di voler abolire con referendum il ministero dell’integrazione da parte di frange nostrane, con lo scopo di  perseguire ormai l’ombra di sé – essendo privi da sempre di idee, a meno che si ritenga il recintare un’idea di nobiltà umana – ripropongo un mio scritto del 2010: parendomi attuale, seppure possano in questi giorni essere cambiati i bersagli, ma non l’idiozia che alligna sugli spalti degli stadi, e non solo. A metà degli anni sessanta spirava il vento kennediano delle nuove frontiere: e una folata incantevole di quel vento arrivò pure nella nostra città. Aveva la faccia pulita (così ci sembrò) di aitanti giovani americani, europeidi e afro, ipernutriti e palestrati al punto giusto, dotati di un dentrificio - per noi ristretti tra i Binaca e…

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