… che non lascia queti i benpensanti cristiani. Quelli che hanno deciso che l’uomo viene dopo il sabato. Delle cose toccate dall’intelligenza di cuore di Francesco papa si può arricciare il naso? E uso un verbo soft, per indicare quelli – anche preti bergamaschi, ma si sa di quale coltivazione prepolitica siano stati forgiati – che, per questo inconsueto uso di dire cose senza lanciare encicliche in ecclesialese, si smarriscono. Ma facessero silenzio! invece straparlano, partendo dalla dottrina che a volte smarrisce il Vangelo: fardelli posati sulle spalle dei credenti, e no. Il papa delle periferie, invece, non teme: sceglie un giornale che si è distinto sempre per anticlericalismo, per raccontare il fatto cristiano; e sceglie la rivista che più papale non c’è per tracciare il programma della sua ultima vocazione di costruttore di ponti. E gettare ponti dentro la comunità dei battezzati è impresa che scardina: si è accorto pure lui dei rimproveri che gli sono stati fatti per non aver rimesso il disco sulle tre cose che i suoi predecessori han fatto diventare quasi la radice, mentre sono le foglie secche di ben altra radice: la disconoscenza di quel dogma di cui lui è certo, e altri con lui, che Dio abita in ogni uomo indipendentemente dalle loro storie. Storie fatte di carne e di sangue. Rendiamo grazie al Signore per questo tempo di grazia: nelle periferie di tante canoniche sono cose che nella misericordia già si praticano, alla faccia di tanti farisei che resistono nello scafandro della loro fede senza vangelo. Rendiamo grazie, e preghiamo che sia stagione di semina. Cari vescovi che vi lasciate ricamare addosso ancora uno stemma, non avvertendo che il papa non l’ha messo sulla sua fascia; e che vi dovete sentir dire, da lui, di stare con la vostra prima sposa, non cercando di ripudiarla per un’altra, più grossa o più vecchia (perché questa è la nemesi delle diocesi più appetite). Detto già da papa Benedetto: ma ora lo si imputa solo a Francesco. E’ la differenza con il successore: il grande Emerito si è lasciato imbrigliare dalla rigidità dei piviali e dalla pesantezza di mitrie imperlate; o dal linguaggio teologico che offuscava la pur presente preoccupazione pastorale. Francesco parla papale, papale, ma da gesuita: non lo dimentichino i suoi critici, preti e laici. A dire che il modo a volte diventa sostanza. Che Dio mandi dal cielo un raggio della sua luce, perchè quella che Boff, il francescano “all’indice”, chiama primavera della Chiesa, non abbia l’esito delle primavere celebrate per i paesi africani che s’affacciano sul Mediterraneo. Un aborto.
in appendice: Nuovo catechismo?
«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione».
«Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus…».
«La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia».
«L’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale e religiosa. Oggi a volte sembra che prevalga l’ordine inverso».