Città
Ma non vale la pena di prendersela con gli anti-immigrati. Adesso è questo, domani è qualcos’altro: materia su cui i partiti di opinione costruiscono le poltrone per i propri cari. Se anche ormai finalmente si possono distribuire in Europa alcuni di quelli sbarcati da noi, su questo non parlano: non gli serve, ora, anzi potrebbe lasciarli senza saliva. Se anche il Pil cresce – di poco ma cresce – loro non informano i loro addetti: e se poi ci credono che si sta guarendo a poco a poco? Che il sindaco di Roma abbia fatto qualche pirlata di troppo, ma che in una somma algebrica gli si dovrebbe riconoscere d’aver scoperchiato un sistema incrostato su interessi delle varie corporazioni (si chiamavano così al tempo del duce) - dei vigili, dei tassisti e dei netturbini (si può dire netturbini?) – no, no, no, silenzio: c’è una poltrona da scalare, tirando assieme il caravanserraglio tra nordisti e capitolini, tra chi si è solo da poco diviso: pur di sconfiggere non un sistema perverso ma la parte avversa, in una partita molto meno seria di una calcistica. Insomma c’è materia per piangere. Persino l’organo vaticano strilla di una città in macerie. Che non si capisce se si riferisce a quelle di duemila anni fa, o quelle lasciate dalle immediate precedenti amministrazioni: non certo restaurabili in un anno e mezzo. Non che io sia per chirurghi che si improvvisano amministratori: sono per competenze dirigenziali, se si vuole che l’acqua sgorghi, e che le fogne siano spurgate. Sono per cittadini competenti che si rifacciano all’ideale del bene comune, cioè del bene di tutti, in una solidarietà che finalmente si accorga di chi bussa e di chi sta dentro una città. Di cristiani, perché no? Non sono loro, secondo la Didaché, i cittadini che vivono nel mondo, assumendone tutte le vestigia, e tuttavia non “prendendo” dal mondo? non s’intascano, non amano la propria tribù più delle altre undici? È tempo che non si lasci più spazio a chi, direttamente e indirettamente, non prende strada dal vangelo: e non certo per imporre shar??ah cattoliche, ma per testimoniare che la gratuità fa parte della bellezza del vivere; e che si può finalmente testimoniare che l’amore è prendersi cura del bene di chiunque, dunque anche mettendo fuori gioco i prepotenti. È il vivere secondo lo spirito, che sant’Agostino potrebbe oggi ancora ricordare con quel suo De Civitate Dei, e proprio avvertendo del paganesimo di ritorno: “L'amore di sé portato fino al disprezzo di Dio genera la città terrena; l'amore di Dio portato fino al disprezzo di sé genera la città celeste”. E non è forse paganesimo di ritorno di barbari cresciuti tra noi (si dicono cristiani: quanta compassione per i loro preti!) chi inneggia all’ostracismo dello straniero, chi pensa di accaparrarsi la terra come Caino, e non viverla di passaggio come Abele? Cristiani in politica, credenti forti e gagliardi; perché le nostre città finalmente vedono dall’alto di chi li serve la possibilità di vivere la verità della cittadinanza: la sovranità di ciascuno che riconosce quella altrui. E questo è vangelo di Gesù, la dignità portata a tutti: uomo o donna, giudei o greci, schiavi o emancipati. Dunque noi e loro: chi avrà accolto, e gli avrà data vita piena, entrerà già da ora nella sovranità di Dio. 10 ottobre 2015
Brutti
Commenti affettuosi, se volete, ma molto generici: se poi pensate che il titolo più grosso è ancora sulla pedofilia, capite che più che una condanna di quei delitti, è un prurito. Così la missione del papa nelle Americhe viene una volta di più messa in archivio, come se il suo passare dall’una all’altra America, da quella “comunista” a quella capitalista, non abbia segnato definitivamente un punto di non ritorno per le coscienze cristiane. Per loro: e non forse ancora per gli equilibri mondiali. È vero che a Cuba, seppur comunista, ha ricevuto un’accoglienza inimmaginabile; ma non hanno scherzato neppure negli States capitalisti - seppur connotati da un protestantesimo battagliero e da un cattolicesimo conservatore.
È vero: è andato all’Onu ad insegnar loro a far l’Onu, come hanno scritto; è vero, ha detto ai vescovi di là di piantarla di fare slogan a senso unico, ma di vedere la vita nella sua interezza: dai non nati ai bambini sfregiati ai giovani senza lavoro agli adulti senza speranza ai vecchi messi al margine. È vero, ha parlato della povertà dei poveri, ma non tralasciando di denunciare la povertà dei ricchi. È tutto vero. Ma che cosa resta di questo lungo viaggio missionario? Alle nostre coscienze? E alla coscienza del mondo che pure l’ha applaudito? O forse perché l’ha applaudito molto ci si è lavati una volta di più la coscienza, e il tran tran tra ricchi e poveri della terra continuerà come prima. Sì, l’elemosina ai siriani perché abbiano un inverno fornito di carburante. Ma elemosina. Senza un governo della ricchezza, non serve a nulla la lotta alla povertà; perché il problema non sono i poveri, e non sono i ricchi: ma il rapporto tra poveri e ricchi, per uscire fuori dalle scandalose statistiche di forbici sempre più vergognose. Che hanno condotto, e condurranno alle guerre.
Se vi capita di entrare in un negozio che vende vini a Brembate di Sopra e vedete lì uno di quei ragazzini dalla faccia evidentemente extracomunitaria, e sentite la signora che gli dice con rabbia di togliersi di torno “ché se no ti mando giù dal Papa” – quando vi capita una cosa così potete sorridere amaramente, sapendo che quella venditrice di vini (cui naturalmente non avete dato la soddisfazione di guadagnare da voi) rappresenta migliaia di altri che la pensano come lei: e cioè, ci pensi il papa che parla così tanto di loro. Infastiditi al punto che qualche giornalista si fa voce per sapere se davvero Francesco è comunista, costringendolo, in battuta, a dirsi pronto a recitare il credo. Perché chi parla di poveri è un cattocomunista? E il Vangelo? dove l’han messo? che cosa hanno predicato i preti? Hanno predicato contro l’ateismo di stato sovietico, identificandolo con la voglia di uguaglianza che è un diritto delle persone e dei popoli: è come quando gli altri identificano la chiesa con le crociate, o il papato con i papi del Rinascimento. Non esiste il dilemma comunismo o Vangelo: i primi cristiani hanno vissuto mettendo in comune i loro beni. È la volta buona di voltar pagina, di uscir fuori dalle sagrestie, da candelabri e merletti, per finalmente predicarlo il Vangelo: non certo per continuare a chiamare alla rassegnazione dei miti e umili di cuore, ché avranno il Paradiso (e dunque tocca sempre ai poveri). Ci saranno inevitabilmente dei martiri: beati quando vi perseguiteranno... Li sta già fabbricando in tanti paesi del mondo, il Vangelo che fa schierare dalla parte dei deboli. E chi non ci sta, prete, vescovo o laico, a predicare evangelicamente con la vita, si faccia da parte. (Certo, ammetterete con me che sono brutti, come quella signora e tutte le signore come quella: misericordiosamenteincorrect, è vero, ma come diceva quel mio zio delle Americhe, quando ci vuole ci vuole). 28 settembre 2015
mostro
S’aggira per l’Europa da un secolo. Come un fiume carsico si spande, si rintana, e spesso minaccioso riemerge. Si camuffa, come un attore che impersona di volta in volta il dr. Jekyll o mr. Hyde. Ha in uso da sempre una camicia: può cambiare il colore da bruno a verde, ma l’anima, quella, non la cambia. Quella ha il colore nero della piccineria: un’anima rinsecchita, dalla pelle sgualcita. Il corpo, quel che si vede, no: fuori può ingannare con segni di filantropia. Persino di Robespierre si dice che avesse a cuore la felicità degli umili, una condizione degna per tutti: purché non “meritassero” la ghigliottina. Purché fossero dei “nostri”. Purché (è l’ultima versione dei camuffati) siano veri profughi, perché quelli li prenderebbero anche in casa propria – se avessero spazio, dato che vivono in qualcosa di poco più di un monolocale, dicono. S’aggira il mostro del razzismo (lo si chiami come si vuole, ma tale è). E le recenti aperture, e finalmente! certo, degli altri paesi europei agli immigrati non deve distrarre quanti vivono sulla sponda opposta ai camuffati, quanti si battono contro l’ipocrisia delle ragioni affidate alle piazze televisive. Scrutate le facce di quelli radunati all’ora di cena davanti allo schermo casalingo, o di chi sta sotto un palco, seduti a tavolate birrose. Sono operai smarriti per il loro mille euro al mese, impiegati frustrati, avvocaticchi senza cultura, compulsivi frequentatori del calcetto a cinque, o pensionati frequentatori di panchine annoiate: lì a recitare un ruolo, anche muto, per assumere la rilevanza che non credono di poter avere altrimenti. Fomentati, fomentano. Non tutti sono depressi, alcuni hanno la timidezza che costeggia la patologia: per questo urlano. Alcuni, seppure ingannati, affrontano di nuovo la vita, attraverso una realtà sfalsata. E si immettono ormai protagonisti del voto che danno: fan parte di una legione. Sono qualcuno. Ci sono. Io ci sono. E gli altri assaggino il nostro potere: i nostri muri. E si credeva che quel di Berlino sarebbe stato l’ultimo, immersi nell’euforia del violino di Rostropovic, e nella armonia di picconi che lo demolivano! E invece ne sono venuti altri, in questo pugno di terra che dal Mediterraneo sale al Baltico: fino a quella rete, che, mentre impedisce, sfida a scrutare l’altrove negato. E fa specie che siano ora i paesi dell’est, raccolti a cucchiaino dalle macerie sovietiche, ad opporsi a queste carovane migranti, neppure nascondendo la loro inclinazione fascistoide. Sono molte le possibili provocazioni di questi giorni: a un cristiano che voglia essere un responsabile cittadino è chiesta la vigilanza: la stessa che fu di qualche vescovo tedesco contro il nazismo (qualcuno, non tutti, non subito: il piccolo gregge che segue il Cristo può veder fuori anche i vescovi, e non solo i preti, e non tanto i battezzati, dal coraggio di denunciare ad alta voce, e senza bizantinismi): vescovi che usarono del pulpito per ammonire, richiamare con forza, subendo persecuzioni. Oggi, è la parola del papa che guida: per questo molti si sottraggono, distinguono, si oppongono? Uno straccio di camicia colorata di quel colore, del privilegio della razza del potere, può forse essere anche in noi, i credenti? La paura del nuovo, e dunque dell’altro, è la negazione dell’Incarnazione. Ce lo ricordassimo, nelle piccole e grandi svolte della storia. A piedi scalzi, se serve per accomunarsi seppure a distanza, perché no?
L' angolo
Poesie brevi
tutti i vicini pensano
che noi siamo
strani.
e noi pensiamo
lo stesso di loro.
e facciamo
tutti
centro.
(Charles Bukowski)
Non provo invidia
per nessuno
quando mi fermo a guardare
il vento
sul pioppo.
(Abbas Kiarostami)
Che follia!
Il mio cuore ogni volta che sente bussare
apre la porta
(Maram al-Masri)
Da qui
daQui
Spirito Santo – Conclavi da cinema? Preferisco quello di Nanni Moretti a quello che sta girando adesso nelle sale. Perché? quello mostra una fragilità, questo una voglia di potere. E poiché di questi eventi si ritiene che non sia solo opera umana, poter esentare lo Spirito santo da figure trumpiane mi pare il minimo. Anche se la fragilità, se c’è, e c’è, e in qualcuno di sete di primeggiare soffre. D’altronde, un poco di ironia si è sempre fatta: “Lo Spirito Santo ha eletto costui vescovo! Ma ci pensate quante brutte figure facciamo fare allo Spirito di Dio davanti al mondo?”. Non so tuttavia se si possa lasciar perdere lo Spirito paraclito nell’elezione di un papa senza incorrere in qualche scomunica latæ sententiæ. Persino Ratzinger, nel 19997 quindi prima che toccasse a lui, distingueva: “Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione ma piuttosto, da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di Papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto”.
Detto da lui … però resta che la faccenda non sia semplice: per chi crede che le cose di Chiesa non stanno nelle mani solo umane quando si parla di conclave o di elezioni di vescovi, le … interferenze con Lui lasciano perplessi. Che è poi quello che stanno ripetendo senza dirlo apertamente i critici del pontificato di Francesco. Uno pensa: a papa sepolto, lascia perdere, e non sta a ritritare quello che si è tentato di spiegarti in dodici anni: il suo vento è stato una grazia. Ma forse occorre rassegnarsi: non c’è peggior sordo di chi non vuol ascoltare. E quindi sopportando ancora per un po’ (ma quanto?) la tiritera di chi distingue tra luci e ombre, ridisegnando soprattutto le ombre. E sono anche quelli che entreranno nella Sistina, purtroppo. “Non eleggiamo il successore di Francesco, ma il successore di Pietro”. E detto con sussiego porporizio, come se gli altri fossero imbecilli; o lui poco edotto a sapere della continuità che, nata da Pietro, ultimamente è stata nelle mani di Francesco. E chi addirittura se la prende con chi si è assembrato nella piazza e per le vie di Oltretevere, notando, e sempre con sussiego, che il popolo ha gridato grazie e non santo, sottintendendo che non ha capito niente. Ma chi non ha capito niente? Il popolo o il cardinale? Il popolo, che pure santo ha gridato ma unendolo a un grazie che dice tutta la gratitudine per il dono di Dio che è stato questo papa? Un uomo per gli uomini, dentro e fuori la Chiesa, se è lecito ancora dire, dopo di lui, che c‘è un fuori la Chiesa. Quanto Spirito santo in più o in meno nelle penne degli elettori ci sia, trovino non un secondo Francesco, ma un nome che come chi ci ha lasciato sappia che cos’è la tenerezza, che cosa la profezia. E le dia a tutti noi. 1 maggio 2025
Quest’aprile - Il lungo fermo-sosta dovuto al maneggio difficile per un braccio infortunato, sosta per altro ben riempita dalla riproduzione di quello che dodici anni fa s’è scritto su daQui; e dal ricordare questi ultimi anni con l’immagine iconica della piazza san Pietro vuota in una notte piovosa con la figura in bianco del papa che racchiude la solitudine spaventata del mondo; e poi quel riprendere sulla malattia di Francesco che esalta ancor più il suo servizio da vescovo di Rome e dell’orbe.
Dunque una parentesi e non dimentico le righe di tre mesi fa: deporre o deporsi in riferimento al giubileo. Eh sì. Perché temevo che si scivolasse nel celebrare e non nello sveltire, e nell’alleggerire. Che è quello che sta succedendo, mi pare: si fanno camminate penitenziali da x a y, talvolta sino alla zeta di Roma. Pellegrinaggi turistici? E nelle parrocchie sempre come prima. Tuttavia, e per grazia, si tiene in questi giorni la seconda assemblea generale del Sinodo italiano: e lì alcuni interrogativi si stanno ponendo, alcune tracce proposte per sveltire questa Chiesa, per snellirla a favore di Vangelo.
Per “rifare” i cattolici, oserei dire: quelli che si ritrovano, dopo la messa, in quella ghenga retequattrista (come è stata sarcasticamente definita) che disprezza la verità delle cose e delle persone. Clima, diseguaglianze, povertà? esagerazioni e problemi da radical chic, da chi si sogna una società hippy, figli dei fiori fuori tempo. Quella ghenga e i loro seguaci – molti a intendere lo share - sanno fare bene una cosa: aggredire, con i toni del comizio, la sinistra italiana e i suoi simboli. Con la tecnica del colpisce e scappa, usando astuzia e trappole.
Si capisce bene la doppiezza di questi giorni, sul dibattito storico-ideologico su quale Europa volevano nel 1941 Ernesto Rossi, Altiero Spinelli e Eugenio Colorni invece di chiarire su quanto credono quelli all’Europa del 2025: certamente diversa ma non succube dei metodi alla trump. “Estrapolare frasi da un discorso, addirittura una sola parola, per accrescere il proprio consenso. Lo fanno filosofi improvvisati di Internet, opinionisti acclamati, femministe accese, maschilisti retrogradi. È una tecnica semplicissima che conta sull’ignoranza di chi ascolta e sulla fiducia che i seguaci ripongono in chi pensa per loro. Non è una prerogativa fascista di chi taglia e cuce parole dette o scritte da altri col proposito di ridicolizzarli, inchiodarli a una colpa, denigrarli, col proposito di ridicolizzarli, inchiodarli a una colpa, denigrarli. Lo ha fatto la presidente del consiglio ieri”.
No, non è bello. Se poi fatto nella Chiesa da chi estrapola per denigrare il papa? Per fortuna le portæ inferi non prævalebunt, come già disse Gesù a Pietro. Ma le può aver dette anche a vantaggio dei responsabili delle società civili? Inch'allah. 2 aprile 2025
Quel marzo - Da qualche mese qui, un papa che non muore ma abdica, e uno che gli succede con un nome non papale. Ma fantastico. Laudato si’ da lode francescana a enciclica. Per preparare i todos todos todos della Fratelli tutti. In altre parti del piccolo mondo del mio lungo ministero presbiterale tante cose belle. Ma qui, in quest’oasi di Fontanella, in dodici anni da quel marzo antivigilia del covid, tante cose singolari, perché belle, perché nuove, perché con il profumo delle periferie alla Zagarolo che avevo invocato. Non dico che ci stava bene il covid in questi dodici anni: ma certo ha potuto essere vissuto con la speranza ossimora di una gran piazza vuota, e con pioggia battente, e Lui che spicca di bianco a invocare una tregua. La stessa che non ipocritamente, rispetto a tanti altri, avrebbe esigito per la pace. Un papa giusto per questi anni. Un papa di cui sentire l’eventuale mancanza in un prossimo futuro: chi con carattere e personalità, chi con quel suo sorriso – un poco spentosi, è vero, con l’andare dei giorni e l’affastellarsi delle scorie di umanità per guerre, fame e pestilenze – e con l’operosità nella fede, chi a prenderne il testimone? La vicinanza, la prossimità che non dimentica il giorno dopo quella cura che ha promesso. E tanti nemici, perciò. Quelli a cui il Vangelo non sa dire l’essenziale; quelli a cui infastidisce la nudità regale di gesti e di parole. Quelli che gli rimproverano una impulsività: la stessa di chi si spoglia da sacerdote e levita e si ferma da samaritano su chi non può aspettare. O quelli che gli rinfacciano di chiedere sinodalità e intanto di decidere da solo: è il papa, e la solitudine di alcune decisioni che toccano anche la pelle di cristiani sta nel dna che gli è stato innestato quel marzo di dodici anni fa. Francesco è un Papa che ha promosso una parabola di riforma, ha inferto bacchettate alla Curia e a circondari più vasti, ha dovuto fronteggiare opposizioni a cominciare da quelli più vicini, concentrando su di sé le iniziative più importanti. Preghiamo per il nostro Papa Francesco. Il Signore Lo conservi, Gli doni vita e salute, Lo renda felice sulla terra e Lo preservi da ogni male. Così si è rispolverata l’antica preghiera nel rosario per la sua salute, tra le colonne del Bernini che sperano di riaccoglierlo. Per rispondere alla sua sete di preghiere. Ma per chiedere un di più. Che si prepari, nello Spirito, chi dovesse succedergli a governare senza dividere, se non dal maligno. Per rinfocolare la speranza nella tempesta che agita anche la Chiesa, in questo momento della storia. 13 marzo 2025
che scrivere?
Intanto che mi si aggiusta al meglio il tocco delle dita sulla tastiera, qualcosa da suggerire sulle scivolate pericolose degli Stati uniti d'America, sui nazionalismi insorgenti in Europa, ma soprattutto su questo tempo sospeso per il Papa che non si riprende con la velocità che desideriamo? e dunque sull'Oceano che per quanto vasto quello e quelli con lui ci prederanno; e questi qui avranno sempre meno vergogna ad slanciare braccia; e soprattutto lasceremmo spazi ai corvi che si stanno infilando nelle scommesse su chi dei conservatori uscirà papa presto dal Conclave? aspetto_ (il 4 marzo, giorno di carnevale) _
Dodici anni fa, un gesto che avrebbe smosso acque limpide ma anche acque torbide. Eppure fu un gesto da Giubileo: che in primis chiede di deporre. E deporsi. Se finalmente come credo potrò ricominciare a scrivere a lungo, dalla volta prossima coniugheremo quei due verbi per il tempo presente della Chiesa. Ma intanto godetevi questo ricordo.
papa Benedetto, grazie, Febbraio 10, 2013
In auto, un flash che interrompe una trasmissione su temi medici, e la notizia che il papa si dimette. E si dimette in una data precisa. È carnevale, e uno pensa subito a uno scherzo che qualche apprendista di agenzia trasmette cercando di darsi in uno scoop. E invece, dalle vetrine della città rimbalza ormai accertata. Pensieri che si accavallano, ma uno primariamente: il coraggio di un papa coerente.
Ho avuto in passato da difendere il suo pensiero con amici convinti di un conservatorismo indisponente del Pastore tedesco. Da sempre ho seguito la sua bibliografia, e il mio convincimento è maturato in altra direzione: né conservatore né progressista, un uomo leale, sincero e umile. Con i suoi limiti culturali, dovuti a quella formazione da cui ciascuno di noi è condizionato. E così, nel rispetto dovuto, ho pure preso posizione su alcuni atti di non magistero vincolante; su alcune debolezze, umanamente comprensibili, a cui neppure un papa riesce a sottrarsi – ed un esempio lo trovate qui accanto, in quel cinguettio del 31 gennaio, ma soprattutto in quel cedimento agli integralisti che sono, occorre prenderne atto seppur a malincuore, inconvertibili.
Ma l’atto che ha compiuto cambia la storia: perché, anche, ridimensiona quell’esasperazione sul martirio del suo predecessore che di fatto ha consegnato, per un lungo periodo, in mani non papali la sede di Pietro. “Ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”. Non certo in polemica con il prima del papato, dice che si può servire dunque, e certo, la chiesa anche nella fragilità; ma prendere coscienza che quel ministero è del tutto suo e non di altri che pure possono sorreggere le sue braccia, ma non sostituirsi, è un atto di coraggio di cui non possiamo essere che grati.
Ci saranno letture intelligenti, e letture indecenti: non ci si può aspettare altro. Ma si convincano anche questi ultimi di questo atto di coraggio, e di bellezza. Il gran rifiuto di papa Celestino, non poi così dantescamente vituperabile, è ora il gran gesto di libertà di un uomo la cui grandezza offerta a ciascuno sta nel riconoscimento di un limite. Per il bene della Chiesa del Signore. A me pare che questo possa far dire, con umile orgoglio, che la Chiesa una santa apostolica e romana esce al meglio. Verso quali lidi, sappiamo che saranno sempre di speranza: sulla sua parola, infatti, possiamo buttare le reti, e vederle straripanti di un pescato di grazia. 11 febbraio 2025
Solo ritoccando tre/quattro parole, e tutta l’evidenza di una riflessione di dieci anni fa – nel giubileo straordinario della misericordia - si rende attuale anche per la celebrazione di questo giubileo 2025.
Giubileo - Perché? Perché sì. Perché no. L’altra sera, freschi dell’annuncio, si ritrovano alcuni preti. E dicono la loro, come è giusto, dato che si sentono (e sono) la piattaforma della chiesa: costruiteci quel che volete, ma senza la loro Eucarestia diffusa, che Chiesa sarebbe? Dunque, ed inevitabile, i pareri sono discordi: sia in termini ecclesiologici, sia pratici. Con qualche pregiudiziale ideologica, inutile nascondersi, che in due o tre di loro ha la valenza di una carica improvvisa di alti cumuli in una giornata di sole, bianchissimi, a bucare l’azzurro! Da lì l’animazione, comunque allegra per via di quel vino selezionato sceso giù dalla collina.
E dunque c’è chi racconta di una occasione proficua, sperimentata all’inizio del millennio: la parrocchia chiamata a rovesciare ritmi e tempi di prassi pastorali stabilizzate fino all’ingessatura; di chiamate a una solidarietà che si traduce in 25 milioni delle vecchie lire per un villaggio che raccoglie ragazzi buddisti del Bangladesh; di sospensione delle catechesi calendarizzate sia dei piccoli sia degli adulti, per chiamate occasionali di stampo errante, con la sola Parola a guidare; e qualche segno che non costa ma indica bene: come rivoltare il prato attorno al plesso parrocchiale, e lasciarlo lì, incolto per tutto il tempo giubilare, a ricordare che la terra è di tutti, e questo e non altro è il giubileo, eccetera eccetera. E dunque, sì a questa indizione nuova, soprattutto per il tema della speranza di cui mai come ora investire il mondo.
Certo, se fosse che lo si celebrasse così, decentrato e intelligentemente interpretato, dicono quelli del no. Ma le avete sentite le prime dichiarazioni? Roma aumenterà il suo pil di un venti per cento! un’altra occasione per l’Italia di rifarsi l’economia! e i tour operator, che già stanno allestendo pacchetti tutto compreso, medagliette accluse? Ancora si imparenterà il vaticano al campidoglio, come nel Duemila, per raduni oceanici, con costi stellari, a favore di commerci dell’effimero religioso? E quanto tutto questo disturberà la trasparenza spirituale? Sicuramente le intenzioni di Francesco papa porranno una barriera: sobrietà è la sua cifra. Ma argineranno?
Quando mammona – che è denaro ma è anche apparenza a nascondere l’essenziale – quando mammona organizza, sconfigge i migliori propositi, a rendere vero che il lastricato dell’inferno è pavimentato dalle buone intenzioni. Ecco perché no. A meno che… e qui si ritrovano i sì e i no, sul far della notte: a meno che sia un giubileo delle periferie. Ogni parrocchia sia sede di giubileo, con nessun bisogno di andare altrove, neppure nei santuari diocesani: già il pellegrinare sui marciapiedi dei propri abitati fa scoprire le occasioni di speranza. E se proprio (ma perché?), se proprio qualcuno ritiene necessario centrare su Pietro e insieme dare concretamente il segnale delle periferie – il fascino di un papa a Zagarolo, nel provocatorio romanzo di Morselli, ricordate? – lo si faccia con sedi continentali reali e non virtuali, dove Pietro stabilisce la sua residenza e si rende presente per un mese, così che i viaggi di quanti vogliono esprimere unità con chi è stato fatto pietra di costruzione, siano facilitati per tutti, soprattutto ai poveri.
Che sia dunque l’anno della speranza, si dicono uscendo dalla stanza con caminetto, quei preti. Riconciliati come sempre: diversi ma uniti.
25 gennaio 2025
Dall’incidente della notte di Natale, alla sinistra, intesa come mano, sto chiedendo molto, e vi assicuro che sa rispondere bene. Ma non fino al punto di poter scrivere un testo, pur premendo in mente. E dunque ripropongo un articolo del 13 gennaio del 2013. Lontano sì, ma traducibile nell’oggi, chiamati sempre ad uscire da e da, ma …
Egredere, sed non omnis
Uscire, ma non del tutto. Quando ho pensato di trascrivere questo antico ammonimento sul portale del Tempio appena riqualificato (a S. Lucia, la chiesa prepositurale in Bergamo), avevo voluto dare il segno di un rinnovamento di strutture che non racchiudono, e non possono racchiudere del tutto il senso della vita. Anche dalla presenza del Signore, che si rende visibile nei sacramenti, si esce fuori. Per reincontrarlo sui marciapiedi o sui pianerottoli, certo; ma le facce diverse costringono a misurarsi con un Dio diverso: il Dio della collera, della tristezza, della seduzione, il Dio che s’affaccia in poveri cristi sperduti. Ma anche un Dio della gioia che ti sorride, della generosità che ti presta il sale, della bellezza che inonda la giornata. Occorre uscire.
E se occorra uscire da qui: da queste pietre antiche che trasudano un silenzio di preghiera, da questi vigneti che dicono, scheletrici in questa stagione, la promessa del vino nuovo. Uscir fuori da queste colline, come dal Tabor: è bello, ma occorre scendere. Dove c’è la vita, dove c’è il Signore da incontrare nelle diversità della sua incarnazione. Raccolgo da qualche mese le storie di chi passa, e il desiderio di tutti di pensarsi qui per sempre: raccolgo quella sotterranea voglia di fuga che ci prende anche nelle stagioni migliori della vita. Certamente è desiderio di un attimo: ma è segno del qualcos’altro che ci spetta, e nella speranza della fede, ci aspetta. Ci spetta per il riflesso di sé che il Creatore ha messo in ciascuno, e ci aspetta per grazia del Figlio nostro salvatore.
Uscire, occorre, e sempre nella vita. Non attaccarsi. Vivere la povertà come un distacco continuo. Non arroccarsi sulle proprie ragioni, e neppure su bandiere sbrecciate. Occorre uscire. Ma non del tutto: una parte di Lui, e della Sua bellezza, sempre ad accompagnarci. Il corposo della sua parola sempre ad orientare. Per non uscir fuori, e non sapere chi e che cosa ci è chiesto nei giorni.
15 gennaio 2025
Questo in questo Natale – Al dire della Treccani, ci si è arrivati con la parola dell’anno -rispetto: che non si sa se rispettata o da rispettare. Certo la nostra presidente del Consiglio ripetendo quattro o cinque volte “userò il garbo delle istituzioni”, e dicendole con crescente sarcasmo, ha salutato l’anno in Parlamento con l’usuale sgarbo di chi abita alla Sgarbatella. Per dirla alla romana.
Che non è la bella vigilia di natale, se si sta alla vuota convenzione che “almeno a natale fate i buoni”. Buono non è certamente il killer arabo-tedesco: la logica di questo killer, uno psichiatra saudita anti-islam, ormai ateo – e misogino e omofobo - è molto diversa da quello che ci si sarebbe aspettati. Sempre insensata, ma una violenza particolarmente incomprensibile: critica la sua patria d’origine, ma poi si vendica contro un intero Paese che gli ha dato ospitalità e lavoro.
Il gran suggeritore del presidente Usa, e gran patrocinatore dell’Italia albanese e dei suoi inventori, Musk si è allargato sulla Germania, dicendo che il progetto del partito dell’estrema destra è la salvezza. Sempre sul tema di immigrati da buttare altrove. Qualcuno si chiede e chiede se non è grave che si ascolti uno come lui, e che gli si dia tanto potere di parola, con i soldi che scuce per gli amichetti. E per stare nel recinto, quel Jeff Bezos che è l’uomo più ricco del mondo dopo Musk, sapete che fa a natale, l’avete letto: si sposa per la seconda volta, e fra cerimonia, pranzo, festa e alloggio per circa 200 invitati, ci metterà intorno ai 600 milioni di dollari. Invidia sociale, come avrebbe detto il ricchissimo B. della nostra storia recente e come continuano a ripetere a pappagallo i suoi nostalgici, se appena tocchi il problema (questo sì grave) della disparità tra chi ha tanto a scapito di chi non ha il minimo dignitoso? O non è invece l’insipienza di chi non sa che questa crisi migratoria epocale può diventare prodromo di una rivoluzione giustizialista? In Francia, dalla loro rivoluzione in poi, si inneggia alla fraternità: un valore dimenticato della politica, che sa regolare la ricchezza che si produce, e la sa smistare in modo equo. Oltre che difendere i propri cittadini con l’integrazione di migranti che possono, e lo potranno loro solamente molto presto, salvarci.
E in questa vigilia di natale comincerà l’anno del Giubileo. Con il rischio di confondere un po’ le cose (un po’tanto!) a Roma si sono rovesciate strade e piazze. E si è fatta manutenzione della fontana di Trevi. Le immancabili polemiche che cucinano municipalità e Vaticano, con l’irrisorietà sul rito delle monetine, forse l’unica cosa buona visto che servono poi per i poveracci della capitale, o almeno quelle che sopravvivono ai “pescatori" della notte.
E comincia il Giubileo con il grido continuo del Papa sulla crudeltà dei bambini mitragliati a Gaza, suscitando le polemiche diplomatiche di Israele che si difende (si difende?) obiettando che anche Hamas ... e con le non tanto sotterranee critiche a Francesco papa di chi "al suo posto, oh come potrei far meglio!").
Nei Demoni di Dostoevskij, tra tante dispute sull’ateismo, nel sottofondo c’è Cristo, sempre, e la sua salvezza. Quello che a Natale – e qui con la N maiuscola – dovrebbe essere la differenza di cristiani che non si sono lasciati placidamente scristianizzare dall’abitudine alla violenza, o alla ricchezza ingiusta, o alla insofferenza per quanto di bello e di buono l’uomo pure sa ricreare del mondo che gli è stato consegnato. Il Natale per celebrare la ripartenza verso l’innocenza: se abbiamo peccato possiamo guarirne e forgiare una umanità migliore. 23 dicembre 2024
Diritto e rovescio - Allora bersagli primi furono gli ebrei, ma Kristallnacht è sempre quando la violenza invade le piazze, tritura le vetrine, appicca il fuoco a ritratti. La notte dei cristalli è sempre, oggi come allora, quando sono vittime quanti sono giudicati come “anormali”: immigrati, gay, rom, stranieri e persino i disabili. Non ci si indigna a sufficienza per queste vittime dell’odio e della razza. Ci si sta abituando a un mondo dove il nazismo sta prendendo corpo, qui e là, in questo mondo che si è privato una volta di più della propria verità umana. Aiutati dalla tecnologia, purtroppo, da quel polliciume che ci fa giudici degli altri nel nascondimento delle pieghe di un divano.
Figli di un narcisismo devastante. E ignorante. Si sovrastima il proprio sapere, si intasa dei propri curriculum chi ti sceglie se con un quoziente di intelligenza alto, pur dicendoti che per fare di te il futuro condottiero del mondo non prenderai una lira e lavorerai undici ore ogni giorno. Lui, il tycoon di moda in quell’America che a dimenticarla in questi giorni ne guadagna il colesterolo; lui il progettista del viaggio su Marte, che neppure sa interfacciarsi con un figlio trangender. Lui, che con il presidente eletto dalla pancia della gente, disdegna il sapere altrui, condannandosi a clamorosi abbagli. Lo vedremo, Cassandra docet. Se l’umiltà non sta in governanti, il bene non arriva a chi ne ha diritto.
Distratti da altro: da discorsi sui massimi sistemi, mentre sono i marciapiedi dell’umanità che chiedono manutenzione: l’attenzione di mani amiche, umili perché generose. Dove sono i cristiani? In assemblee sinodali: e certo che c’è bisogno. Ma ... ma il mondo sta su altri sentieri, il mondo dei credenti, quelli di cui ci vogliamo occupare, e son quelli che non credono nella speranza. E dunque che fede hanno? che celebrazione del mondo che verrà nelle loro attese, e – nel mentre - quale servizio del prossimo, come l’evangelo chiede? Fino a dare la vita? Quante parole al vento, povero papa! le ultime: il lavoro artigianale "abbellisce il mondo”, non quello di chi fabbrica armi. E invece, e ancora Gaza e ancora Ucraina, e ancora governanti che stanno bene se fanno la guerra.
C´era un tempo in cui la nostra Chiesa, che è in Italia, abbondava di preti. Eppure, un tempo, se volevi entrare in Seminario, dovevi portare il materasso; e pur di assecondare la vocazione dei figli, molti dettero un calcio alla povertà: che poi voleva dire tanti sacrifici in più. Ora la messa è sfinita, con la esse davanti. Per far eco a un testo uscito da poco. Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e senza pastore. Per i credenti c’è un luogo troppo snobbato: nell’assemblea domenicale rivitalizzare è connettere il dolore del mondo con la gioia della resurrezione, che è possibile già qui e ora. Connettere l’ignoranza del tutto e subito che inventa le guerre piccole, con la speranza che conduce in sentieri di pietas, di pace vera. “regate dunque il padrone della messe, che mandi operai nel suo campo. Gesù docet. 16 novembre 2024
Però - Neanche stavolta. La seconda volta che in cui sono ignorato. E se questa è cosa che può, con un certo rammarico, mormorare uno di quelli che per carriera ecclesiastica ci è già vicino (metti i vescovi di Milano, Napoli e Palermo), non si dovrebbe sospettare di un semplice prete, quale io sono. Eppure dall'8 dicembre prossimo il Collegio cardinalizio sarà composto da 256 membri, dei quali 141 elettori e 115 non elettori: possibile che non ci potessi stare anch’io, seppur ormai non elettore? L’eterno dilemma che tormenta anime pur pie: si isti et istae, cur non ego? Lo scrivo con una vena di autoironia, neh? Però ...
Però la virtù della semplicità la si va a comprare dove c’è. Per esempio, il dodicenne Giorgio d’Inghilterra, interrogato sul suo futuro, dice che da grande vorrebbe fare il cuoco e non il re. Che se possono sembrare quei desideri giovanili che poi prendono una strada diversa, però c’è da rallegrarsi per un po’: la saggezza abita il cuore dei giovani, a scorno di cronache che fanno di uno sciagurato il modello di tutti.
Epperò non è che qualcuno tra i grandi della terra - grandi non certo per misure fisiche, ma nemmeno talvolta per misure morali, solo per i posti che occupano malgrado noi – sappia discerne il loglio dal grano. Quel presidente ucraino, che pure ha finito per copiare quel guerrafondaio del suo dirimpettaio, si è irritato per alcune scelte e affermazioni di Francesco papa - le donne russa e ucraina insieme alla Via Crucis al Colosseo, il rispetto per la storia della grande Russia, la bandiera bianca da sventolare per arrivare alla pace, l’abbaiare della NATO alla porta della Russia. Però ha chiesto di essere ricevuto in Vaticano: vuole il Papa dalla sua parte? Non capendo così che Lui se si schiera, parteggia per gli afflitti dalla guerra, che siano di Kiev o di Mosca.
Non c’è però che tenga: gli ultimi vent’anni hanno visto guerre in Bosnia, Kosovo, Somalia, Mozambico, Algeria, Albania, Etiopia, Eritrea, Ruanda, prima e seconda guerra del Golfo, Afghanistan, Timor Est, Medio Oriente e America Latina. Non ci basta? Non riconoscere l’alterità di Francesco papa in una guerra che sta durando da troppo sia lì che nelle infamità di Gaza in Palestina, non è saggezza da governanti. Scegli di non scegliere? La scelta di non scegliere è comunque una scelta, la più pericolosa che possa fare un uomo ci ha ricordato Kierkegaard: e il Papa sceglie.
Però, dicono alcuni preti – adesso anche bergamaschi, sulla scia di presuli non meglio decifrabili in lealtà al vangelo - a volte sceglie da solo, lui che pure chiama a camminare insieme, in Sinodo appunto. Ma insomma: può o non può? deve o non deve? è il Papa o no? Lo si può rimproverare di schiaffetti (per non parlare del pugno che è pronto a dare a chi parla male della mamma, intendendola come Chiesa) di schiaffetti sul carrierismo, il chiacchiericcio, la mondanità di religiosi e preti, ma scagli la prima pietra chi può dire che non se ne ha bisogno. Non si tratta di essere papisti a tutti i costi, solo di amare la verità. Per esempio, adesso qualcuno storce il naso per l’annunciata autobiografia “che doveva uscire dopo la mia morte”, e invece sarà presto nelle edicole. Un papa? non si fa. È successo anche di Benedetto di nostalgica memoria proprio a quegli stortanaso: ma non dissero non si fa. Però! 17 ottobre 2024 (una data preziosa nel ricordo di chi è altrove)
Libano - Ne sentii parlare che ero un bambino, 8-9 anni. Ed era un canto, un incanto nella voce della prozia. Suora comboniana, di quelle filettate di rosso come i prelati, tornata per una breve vacanza dalla terra di latte e miele (Esodo 3,78). Lei, che mio papà aveva incontrato a Mentone, nella trasferta militare a piedi avvolti da stracci, la divisa di quella italietta fascista. La zia ritornata spesso nei suoi ricordi condivisi, per le lenzuola bianche di una notte, ospite nell’ospedale fronte mare, pausa di paradiso nello sprofondo miserrimo di quel camminare. Ancora lei che avrebbe accompagnato i riti liturgici dei miei giochi a fare il prete, con un bicchiere e un piattino di metallo dorato che conservo tutt’ora.
Nazione, il Libano, che inviti turistici dell’altroieri descrivevano così: unica nel Medio Oriente, ricca di acqua e terreno fertile, dove il mattino puoi sciare ed il pomeriggio nuotare in uno splendido mare. Terra che accanto ad imponenti testimonianze archeologiche di civiltà del passato, e luoghi religiosi legati alla venerazione della Madonna, offre l’occasione di incontri con persone di grande ospitalità. Questo è il Libano in luoghi di una bellezza sconvolgente. Un paese crocevia tra il Cristianesimo e l’Islam. Prima.
Oggi leggi e senti della terra violata, della tragedia che a distanza non si avverte nel fetore dei cadaveri schiacciati dai bulldozer, e non ci scompone nelle grida di bambini torturati e di donne gravide squartate. I corrispondenti da Gaza scrivono dei droni che passano sopra le loro teste, droni che sono annunciati da un ‘gemito’ che gli arabi chiamano ‘Zananna’ il ‘bambino che piange’. I bambini che piangono, ma non solo loro.
Quando non si era arabi o israeliani, ma un solo popolo trafitto, ecco l’antica memoria: Una voce si ode a Rama, un lamento e un pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata, perché non sono più (Geremia 31,15). Lontani dai rumori di guerra, da pianti e stridore di denti, nella quiete dell’abbazia, l’altra sera ci si è messi lì a dissertare di religioni che porterebbero, loro, o guerra o pace. E ci è stato ricordato che ogni mattina gli ebrei pregano Dio di ‘concederci una generosa gentilezza’. Gli ebrei. Ma quando sono israeliti? E gli arabi sentono nell’ Allahu akbar che scende dalle loro torri nella prima salat del giorno, l’eco di quella tenerezza invocata?
Per una rara coincidenza, ho letto in questi giorni un romanzo (*) che scritto nel 2010 è la cronaca di questi giorni: un libro che avvicina la distanza dal sangue di laggiù, che fa scendere dalla serata queta di questa collina dando corpo alle parole e alle immagini dell’oggi del Libano. Vi si parla tra l’altro di due gemelli, l’uno ucciso l’altro sopravvissuto con la voglia di vendetta nel cuore. Vi si parla della dell’amore materno, avvolto nella durezza che vuole salvare i figli. E vi si parla di come Dio è continuamente benedetto, negli uliveti in fiore e nella tempesta che li devasta. E i cedri gemelli, sotto cui due ragazzine imparano la vita difficile degli oppressi.
I cedri del Libano, usati per la costruzione di navi, e usati per costruire il tempio di Salomone. I cedri gemelli del Tempio votivo in Bergamo, candelabri d’ingresso maestosi e invitanti: l’uno caduto e l’altro ormai solo. "Sii come il cedro che profuma anche l'ascia che lo abbatte!". Per dire come la vita, a saperla leggere, porta qui il lontano. 25 settembre 2024
(*) S. Abulhawa, Ogni mattina a Jedin, ed. Feltrinelli
Chiesa, dove vai? - Sì, non è che il papa abbia bisogno di essere difeso. Ma per certi rondò della vita, difendere lui è affermare sé, dato che da buon parroco (e gesuita) racconta quanto ogni buon parroco dovrebbe predicare, opportune e importune. Adesso ce l’hanno con lui perché continua a far paragoni improponibili, dicono, quando denuncia che si preferiscono cani e gatti al fare bambini (il baby-boom è di qualche km sotto la sopravvivenza dei panda: che si sappia o non lo si voglia sapere). E “il come si permette?” è lagnoso, e ancor più irritante in quanto ci si dice credenti.
Così il fatto che si sia un buon padre di famiglia che ama moglie e figli, e vada a messa tutte le domeniche, con qualche salto a Medjugorje, dovrebbe bastare a giustificare che si sia antisemiti, e un bel po’ razzisti? (o si sia stati: bisogna riconoscere che può far bene andare a messa la domenica, essendo razzisti e antisemiti, se il prete sa predicare il giusto che ti inquieta sulle appartenenze non compatibili con l’essere cristiano). Lui lo dice: nella Chiesa si sta anche con sfumature diverse. E va bene, se si distinguesse: non fosse che si confondono i colori primari con quelli pastello, tra l’essenziale e l’accidentale! Che è poi quello che in insanità mentale un certo arcivescovo di alto concetto di sé s’è messo in uno scisma che neppure riesce a riconoscere, prima che i tardi giorni lo conducano al giudizio di Dio. Ma di scismatici, di gente che non si può riconoscere nella confessione cristiana, ce n’è.
Ancora, e sui migranti. Non respingere? Se li tenga in Vaticano lui, come non fossero state - e su suo forte impulso - le ospitalità delle caritas ad arginare il bussare dei poveracci di terra e di mare nell’ultimo decennio, per non vantarsi del prima. Lui scandisce: “Immaginiamo una città in cui nessun essere umano è considerato un estraneo”. È puro vangelo, e raccontiamolo dunque da terrazza a terrazza quel Matteo 25.
Chiesa dove vai?: è domanda accorata che rimbalza da navate a chiostri da almeno un trentennio. Nonostante il Concilio, nonostante l’indirizzo di Francesco papa, non si riesce a condividere fin nella carne tutte le sofferenze umane. Si accetta il mediocre e si tiene al margine il fragile. Quando l’insipienza diventa una valanga, che speranze restano?
I populisti affascinano con facili slogan, e terribili, i cinquecentomila di un generale prestatosi alla politica, e i milioni di aere politiche che non si vergognano di atmosfere naziste: se restano a lungo al potere, gli effetti possono diventare permanenti, si è scritto. Lo si è visto con il peggioramento dei programmi televisivi provocato in Italia dall’arrivo della tv commerciale. Una chiesa come quella di oggi, finirà in patatine e cocacola se non si frenerà un andazzo che alimenta l’indifferenza su atti religiosi che non alimentano la fede.
Si deve difendere il papa, “facendo chiasso” purché il vangelo arrivi nella sua interezza. Il suo fare chiasso da papa, diverso dal debole sussurrare prelatizio cui gli inquilini dei palazzi vaticani erano usi, lo ha fatto descrivere in questi anni come un delirante, un narcisista, un falso profeta, un esaltato, un demone a capo di altri demoni, un impostore. Cose già d’accusa a Gesù. E come al Signore, lanciate come pietre dai ‘circondanti’, scribi e farisei di ieri e di oggi, di lunghe vesti addobbati, che non sanno cosa significhi spendere la propria vita nell’amore, non sanno cosa significa desiderare e amare la vita. E la chiesa di Cristo. 6 settembre 2024
Ipocrisie - Finalmente, un’altra questione di stile, oltre quella di una scrittura non cervellotica. Si è detto subito che quella tavolata non c’entrava nulla con Leonardo da Vinci e la sua pittura alle Grazie di Milano. E dunque si è pensato di non cavalcare quelle mire anti-occidente che sembrano imparentare una certa governance russa con la voglia di governance di una certa parte americana: putiniani e trumpisti per non far nomi. Con il patriarca Cirillo, e perfino l’Erdogan turco: quello che se stesse in silenzio su “la solidarietà dei musulmani per le manifestazioni immorali di Parigi” ci farebbe un favore, dopo che ha rubato la fruibilità di Santa Sòfia che pure era nata cristiana. Bastava quel sobrio e intelligente comunicato dei vescovi francesi, ad avvertire che neppure una sublimazione potesse confondere Nostro Signore con gli dei dell’Olimpo. Macché. Obbligati da quella indiscutibile parte destrorsa che abita il Vaticano ad allinearsi, con un comunicato che più formale di così, oltretutto, risulta poco credibile, se si valutano i tempi – un po’ in ritardo, no? – e il tono da catechismo da prima elementare. (A proposito dell’indiscutibile destra: sapete già quanto gira su Francesco papa: “Se do da mangiare a un povero mi dicono che sono un santo. Se chiedo perché i poveri non hanno da mangiare mi chiamano comunista”. E questa è tutta roba di quel gruppo di vescovi e cardinali ultraconservatori, per lo più statunitensi, da sempre ostili a Francesco. Difficile immaginare qualcosa di più degradante e blasfemo, ha dichiarato il cardinale Raymond Leo Burke, trumpiano di ferro, quello che per affermare la sua fede in Gesù Cristo si riveste di quella lunga coda cardinalizia che inebetisce i suoi seguaci. O l’arcivescovo scismatico Carlo Maria Viganò, che ha tuonato contro i vili attacchi a Dio, alla Religione Cattolica e alla Morale naturale da parte dell’élite anticristiana che tiene in ostaggio i Paesi occidentali: e tutte le maiuscole sono sue.
Nel mirino c’è Lui: il papa che tanto vorrebbero passasse a miglior vita per lasciar spazio a un loro prodotto. E non accorgersi che gli scandali sono altri: il commercio delle armi, e le guerre che moltiplicano gli odi in un futuro senza scampo. Tempo di pace le Olimpiadi? Un tempo forse. Ora non più. Politicizzate su qualsiasi fronte si presti: e di possibili fronti ce ne sono sempre, aldilà delle buone volontà. una questione di stili: di vita, di relazioni. Che nella Chiesa faticano ad essere vissuti secondo la torsione evangelica: che ci vuole intenti all’essenziale, quello che i cent’anni del Piccolo principe stanno celebrando. Mi interessi tu. Non il mio io al centro. Questione di stile. Che se non inventa una punteggiatura per sé (perché no? il terribile perché no? che affligge uomini e donne oggi) neppure si lascia fuorviare dalle quisquilie dell’apparire e della arroganza. A quando la verità di Gesù per il mondo intero, a sconfiggere le verità che ciascuno si inventa per sé, e dunque inevitabilmente contro gli altri?
... editor.») > ovvero, quando lo stile è tanto
Si dice editor chi controlla e rivede il testo dell’autore, curandone la correttezza, la chiarezza e la coerenza stilistica e formale, prima che passi alla stampa. L’ho imparato per quelle occasioni in cui ho collaborato con una casa editrice. Che consiste, pur nel rispetto autorale, di correggere inesattezze, o eliminando ripetizioni o sveltendo il ritmo; qualche volta si chiede pure di valutare il senso dell’opera ai fini di una possibile pubblicazione. A volte bocciata, con un “non si stampi”. E così molti testi sono passati da un editore a un altro, finché, è capitato, stampato si rivela un capolavoro. A dire che un editor può canare, se gli vien chiesto il parere su un gusto letterario lontano da sé.
(A proposito: il pronome sé accentato se da solo, senza accento se accompagnato da stesso; questo pure, non rispettata, è licenziosità. Io mi sono fatto sulla grammatica del Palazzi, e il corrispondente dizionario con le sue tabelle esemplificative: un indirizzo che si è marcato in me, anche per la guida del professore di liceo. (Merita almeno una parentesi: don Giuseppe Bravi, ferito nel 1944 da un’incursione di tedeschi e partigiani nel Seminario di Clusone, sfregio in testa - capelli stirati da un lato - e lievemente zoppicante: poeta di suo, fermo in una scrittura lieve e consistente: «Non vi sia scrittura che non si traduca in segni condivisi»).
E dunque la punteggiatura: vedete quest’ultima e quella nel titolo? Su molti volumi ormai è invalsa – non so da chi avallata – una punteggiatura cervellotica, dove il punto chiude una parte e non il tutto. Appunto, quanti Palazzi si leverebbero dalle tombe? “Ma per un punto messo male?” - sentite dire? Credo si possa giocare con le virgole, e con le minuscole dopo un interrogativo per sottolineare la continuità di una interrogazione, ma sul punto non si può transigere direbbe don Bravi (che tra l’altro fu scopritore di un testo leopardiano per il quale ebbe menzione nazionale – e non dunque un pretino qualsiasi...). Sì, l’andazzo è “tutto lì? ci vuol altro”.
Tempi in cui si declina la libertà come a ciascuno pare, sembra una cosa di nessun conto. Ma volete tener conto del mio fastidio di lettore, e senza la penna rossa a segnare l’errore? Dove sono e chi sono gli editor di editrici come ... e qui faccio puntini-puntini, per non dir male di edizioni che pure per altro hanno dei meriti. Dove è la Crusca, che più volte ha pur detto che «la funzione delle istituzioni linguistiche non è quella di inventare e poi imporre regole grammaticali, bensì quello di attestarne e regolarne l'uso». Il fastidio è grande.
Come chi in tv e fuori spalanca piedi scalzi in scarpe di cuoio? o chi veste bianche scarpe da tennis sotto un vestito da sposo? o come il regalo della protesi al seno che alle diciottenni stanno facendo alcuni genitori impazziti? “Tutto lì? ci vuol altro”. È una questione di stile nelle scelte, nella scrittura come nella vita. C’è chi c’è e chi non c’è. E forse non ci sarà mai. E se nel piccolo le regole non valgono, come volete che la terza guerra mondiale non si alimenti di giorno in giorno? 24 giugno 2024
Ma perché? – Che cosa ha voluto dire? a chi? Non si vola dal sesto piano essendo il Rettore della Cattolica senza un perché. E all’obiezione che non c’è mai un perché al suicidio – a parte quelli venuti di moda, gli ‘assistiti’ – rispondo: eh, no! Andarsene così, purtroppo, sta capitando molto spesso anche da noi, dopo che non si abbia voluto lasciarci avvertire da quello che da decenni sta avvenendo nel nord Europa, nei paesi cosiddetti più civili. Cosiddetti. Non so, non capisco, ma cosa c’è o c’è stato, da addirittura? Ché tutti sappiano e titolino? Bastava un giro sulla Grande-cornische che va da Nizza a Mentone, vi si è uccisa la bellissima ex-attrice ormai principessa di Montecarlo. Sfondare un guardrail, ecco, un malore, ieri notte, ed è morto sul colpo. Nessuno scandalo dei piccoli. Altri contraccolpi. Ma così? qualche destinatario da avvertire angosciosamente, oltre a sé, ma chi? Era malato? Un po’, dicono, ma roba passata. Era serio, responsabile, intelligente anche un po’ ironico. Dunque aveva di che essere contento della sua vita. E invece, ha voluto dire qualcosa a qualcuno di irrimandabile e assoluto? come è una morte violenta? Peana di cordoglio, come è giusto: da destra a sinistra (a sinistra non tanto, almeno finora). Dagli ex-rettori agli amministratori, da vescovi e persino dal papa. Da sbigottiti universitari, studenti e docenti. Perché era un uomo coerente: coerente a che? Alcune note tra le righe sembrano difformi da una coerenza; a parte, già, quella morte per suicidio. Ma si sa, il suicidio è di per sé essenzialmente incoerente (checché proclamino gli assistenti di quelli ‘assistiti’). A meno che si voglia dire qualcosa a qualcuno. (Un figlio che ti si impicca su una terrazza, di domenica, in pieno sole, e proprio di rimpetto alla chiesa, e proprio mentre i tuoi sono lì per la messa domenicale, loro molto devoti, lui, da molto tempo troppo silenzioso – dice qualcosa? o niente, solo fortuite coincidenze?). Si può pensare che fosse un cristiano, quale capo di una istituzione cattolica, con un’etica che contiene anche la croce. E dunque anche una malattia la si guarda con uno sguardo diverso. E persino un fallimento per quanto penoso. E una delusione, che sia o no amorosa. Responsabile eppure fragile? Lo siamo tutti, fragili. Ma lui su un punto di rottura? E nessuno che se ne accorge? Illusi dalla sua vena di ironia, l’ironia che sa nascondere gli abissi, le notti oscure? Per me ha voluto dire qualcosa. È stato un educatore. Non si va via facendo il contrario. Con la irrimediabile incoerenza della fine. Con tutto il rispetto, che dobbiamo, che debbo. Ma con la gran voglia di capire. Per me, e per quelli che mi chiederanno. Si è scritto che non lo si potrà sapere mai. Già. Cosa? se mi dispiace? Certo che mi dispiace. Ma insisto, e non mi riesce adesso di farne a meno: perché?! Lo sa Dio. Che comunque era lì con lui. La magra consolazione come direbbero gli agnostici, e gli scettici. No, non è poco. Anche se. 26 maggio 2024
2/spiluccando con domande
= Sul premierato forte: lo stravolgimento» della democrazia nata dopo la seconda guerra mondiale sui valori dell’antifascismo, ovvero la separazione dei poteri e il sistema di contrappesi necessario ad «arginare» l’eccessiva concentrazione di potere in capo a chi governa, per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate. E c’è anche l’allarme sul Premierato del Times che scrive: il piano di riforma di Giorgia Meloni fa eco a Mussolini. Una lezione di diritto costituzionale quella di Liliana Segre con il suo “non posso e non voglio tacere” contro la proposta del premierato sponsorizzato dalla presidente del Consiglio. E l’episcopato italiano, e il cardinal Zuppi dove sono? Nulla da dire al loro popolo?
= Il papa scherza. “Pregate per me, a favore e non contro. Una volta stavo finendo un’udienza e a venti metri, dove c’era la rete, c’era una vecchietta, piccolina, occhi bellissimi. Dice ‘vieni, vieni…’, simpatica. Mi sono avvicinato: ‘Lei signora come si chiama?’. Mi ha detto il nome. ‘E quanti, quanti anni ha?’. ‘Ottantasette’. ‘Ma cosa fa, cosa mangia per essere così forte?’. ‘Io mangio i ravioli, li faccio io’ e mi ha dato la ricetta dei ravioli. E poi ho detto: ‘Ma signora, per favore, preghi per me’. ‘Lo faccio tutti i giorni’. E io per scherzare dissi ‘ma preghi a favore, non contro…’. E la vecchietta sorridendo mi disse: ‘Stia attento Padre, contro gli pregano lì dentro…’. Furba eh! Un po’ anticlericale…”, ha concluso il Papa. Scherza il papa. Scherza?
= Casa a Montecarlo e vari sghei per la quale e i quali sono condannati Gianfranco Fini a due anni e otto mesi e la compagna Elisabetta Tulliani a cinque anni e sei anni per il fratello Giancarlo Tulliani. Sperano nell’appello, perché l’ex presidente della Camere lo definisce “un processo politico con una sentenza illogica”. L’appartamento di Boulevard Princesse Charlotte 14 a Montecarlo era stato lasciato in eredità ad Alleanza Nazionale -per continuare la buona battaglia — dalla ‘contessa’ Annamaria Colleoni, bergamasca devota al partito e all’idea. Visto cos’è successo, si è rivoltata nella tomba? e sta pensando che sarebbe stato meglio stare nella tradizione bergamasca di lasciare alla parrocchia, che pure come idea è serve molto meno male da sempre?
= Se lo dice lui, c’è da credergli: «Più a destra non si può». Lo dice Matteo Salvini in un siparietto a favore di fotografi al termine della presentazione del suo libro Controvento. Così va in scena la prima uscita spalla a spalla tra il segretario leghista e il generale che lui ha candidato per il suo partito; sì quel generale delle fradice “esternazioni” e ne taccio il nome. Anche se Giancarlo Giorgetti avrebbe detto di lui che «ben venga la candidatura di un indipendente che porta più voti, l’importante è che non si confondano le sue posizioni di con quelle della Lega, soprattutto quando si tratta di posizioni non condivisibili». Purché porti più voti alla barba della decenza civile e morale? E Giorgetti che va a messa: che cosa gli predica il prete?
= Lei, Cacciari, ha detto che la richiesta della sinistra alla destra di abiura del fascismo è una foglia di fico... «Sì, ma prima ho detto che l’antifascismo è il fondamento della Costituzione. Quindi essere antifascisti oggi significa marciare sulla via che la Costituzione indica». Ma ha contestato chi continua a chiedere a quelli di dirsi antifascista. «Questa richiesta di pentimenti, di conversione è odiosa. Ma cosa siamo, confessori?”. Odiosa? Che ne sa del confessionale, dottor Cacciari? 20 maggio 2024
Spiluccando - per non dimenticare, ma anche per poter immaginare, e per poter cambiare (De Giovanni)
Vescovi - Voi conoscete la celebre espressione che indica un criterio fondamentale nella scelta di chi deve governare: si sanctus est oret pro nobis, si doctus est doceat nos, si prudens est regat nos - se è Santo preghi per noi, se è dotto ci insegni, se è prudente ci governi. È un gran teologo, una grande testa? che vada all’Università, dove farà tanto bene! Pastori! Ne abbiamo bisogno! Nel delicato compito di realizzare l’indagine per le nomine episcopali siate attenti che i candidati siano Pastori vicini alla gente: questo è il primo criterio. Il secondo? Che non abbiano una psicologia da “principi”.
Eutanasia - Occorrerebbe, come in altri Paesi, che la Chiesa accettasse di accompagnare verso la morte anche quelli che la scelgono ma chiedono, nella loro fede, di avere i conforti religiosi fino alla fine. Se anche fosse peccato, il peccatore va accompagnato e benedetto perché abbisogna di misericordia, tenerezza, fiducia, rinnovamento della fede e della speranza. Se la Chiesa non fa misericordia e non ha una buona notizia da dare in ogni situazione a che cosa serve?
Aborto - Io avrei dei vecchi consigli da dare: prima di tutto smetterla di parlarne, ma stando zitti senza farlo tornare alla moda, non farci troppo casino perché solo parlandone tutti si svegliano anche in televisione. Smetterla di parlare di aborto come se fosse una disgrazia o un normale intervento. Come se davvero non lasciasse dolore, forse rimorso.
Papa - Questo papa che fa troppe interviste, rischiando di contraddirsi? Succede anche nella vita della Chiesa: prima che si formi la leggenda devota e pia di un cristiano si osservano il carattere, il temperamento e si formula un giudizio di approvazione, diffidenza o rifiuto. Questo si ripete anche per ogni Papa: troppo buono anzi bonaccione Giovanni XXIII, troppo aristocratico Paolo VI, troppo intellettuale Benedetto XVI; e umano, troppo umano, papa Francesco. Certi cristiani sono innamorati di Papi ieratici come bassorilievi assiri, che fanno “epifanie” quando si fanno vedere, stanno in cattedra quando parlano e nascondono la loro umanità ai mortali.
Fallimenti - “Gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli: per esempio la torre di Pisa”. (Gianni Rodari). La paura del fallimento è sopravvalutata, perché è solo dai propri errori che si matura quella consapevolezza di sé utile a ingenerare un cambiamento positivo. Ecco, allora, che il fallimento va raccolto come una meravigliosa opportunità di crescita e di miglioramento personale.
Opportunità - Il Sinodo dovrebbe aiutare la Chiesa a superare due tentazioni. Quella del pelagianesimo, il riporre la propria fiducia e sicurezza nelle strutture, nell’organizzazione, nella pianificazione perfetta elaborata a tavolino, finendo con legalizzare e burocratizzare la pastorale e col mortificarne ogni creatività. E quella dello gnosticismo, il rifugiarsi nello spiritualismo intimistico e disincarnato che porta la Chiesa all’autoreferenzialità, a ripiegarsi su se stessa, a preoccuparsi soprattutto dei suoi problemi interni, a chiudersi tra le mura del tempio, ossessionata dall’osservanza delle norme canoniche.
Imbecillità - Su X, @Iperbole riporta un virgolettato del famigerato generale: «L’omosessualità dipende da un condizionamento sociale: se frequenti posti dove in maggioranza sono gay, puoi esserne influenzato e diventare gay». Un ragionamento da cui @JayperryP trae una logica deduzione: “Mi sento defraudata. Una vita in mezzo agli italiani e sono ancora nera”. Gioco, partita, incontro. 20 aprile 2024
Settimana santa - Settimana della resa dei conti. Per Cristo allora – ed è quello che commemoriamo, e cioè rendiamo presente; e oggi per la chiesa che forse si è sbiadita, come la sua migliore presenza, la messa: così dice un libretto di recente uscita. Sbiadita perché? ma perché a fronte di un papa che sta in silenzio dopo la lettura della passione, gli uni per un verso e altri per un altro imbastiscono speculazioni trite e ritrite. Eh, sì: perché di un papa così molti non sanno che farsene (e diritto loro se non credono); altri non vorrebbero che ci fosse, e non è un buon diritto loro se si dicono credenti (ma di che?). Dunque. È vero che l’omelia è d’obbligo, ma il silenzio talvolta è la migliore omelia. Soprattutto se le tue parole di papa passano ormai sopra la testa di tutti, e non solo perciò dei due primi belligeranti (notato la bandiera bianca? di fatto solo il papa dice "adesso smettetela ché i vostri popoli soffrono", e quell’alzare di lai: l’ha detto a me, l’ha detto a te, e avanti come prima).
Non solo: è notizia falsa dire che ha scelto di non leggere; buona scrittura giornalistica sarebbe direbbe: non ha tenuto l’omelia. Perché non c’è testo, solo silenzio, che è un testo che grida forte quando è fatto di chi può: avete presente la notte di piazza san Pietro deserta con solo Lui che cammina verso la croce, a implorare consolazione e forza per una terra colpita dall’insieme delle piaghe d’Egitto che il covid significava? E poi: che senso ha dire che, dati gli ordinamenti liturgici, il papa deve aver ottenuto una deroga. Una deroga? Lui? e da chi? dai cardinali suoi critici? Capite perché sbiadita? Una chiesa che non sa più comunicare l’essenziale - e cioè che la passione del Signore richiama tutte le passioni degli uomini che si stanno vivendo oggi sulla terra - non ha senso per nessuno. Frequentatori abituali o occasionali di messe incipriate ma svigorite danno una chiesa non più briosa e vivace ma stinta e moscia. Ci è dato di poter dire Vangelo annunciando l’insipienza di chi crede nella guerra, di chi non sa vederne il limite oltre il quale non c’è ragione che tenga, e noi diciamo - lasciamo dire – che Francesco è un ingenuo?
Settimana santa. Chi celebriamo ricordando? E per che cosa? Per chi? Riandare alle radici, svestirsi di un bel po’ di religiosità per lasciar emergere più nitida la fede. Meno Medjugorje, e più Vangelo, meno ecclesialese e più Vangelo che sa accogliere il non detto della fragilità che emerge dall’umanità. E meno arroganza nel dirsi la verità rispetto ai fratelli separati: ché la loro verità svestirebbe certe nostre pretese di conoscere noi soli la volontà di Dio sull’uomo (tra manipoli -- ancora, e mozzette rosse e viola). Una settimana, alla luce di quel che Cristo ha significato nella Gerusalemme che uccide i profeti: per esigere che dai cammini sinodali in atto escano cristiani più convinti del proprio credo, in un mondo che non lo è più (semmai lo sia mai stato). La Chiesa non è una realtà eterna, al di sopra e al di là della storia: la Chiesa “cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta insieme al mondo la medesima sorte terrena”. È fragile la Chiesa, come il corpo di Cristo affisso alla croce, come il corpo e l’anima di uomini e donne che sanno della propria fragilità il bisogno di salvezza.
Una settimana per dirsi che cosa si vuole essere: senza infingimenti e senza quelle sovrastrutture che annebbiano il Cristo, lo sbiadiscono appunto. E questo sì sarebbe diabolico nel perseverare. 26 marzo 2024
Bene, tutto bene... 2 – Non è che mi hanno letto, non ne ho la presunzione. E, tanto meno, non è che mi hanno riconosciuto la consulenza in quei seimila euro che mi sarebbero occorsi per il ripristino del saliscendi per disabili. Ma è un po’ che non ne vedo più la pubblicità: forse perché finalmente ne hanno colto l’insipienza. E infatti come si può dire che tutto va bene quando senti il dittatore russo dire a una infatuata studentessa italiana che da noi, sul suolo patrio, lui si è sempre sentito di casa? Solo perché con il nostro dittatorello della tv, nonché presedente del governo, si scambiavano il lettone e la trapunta? O come ripetere che uno scisma – sia esso quello tedesco o quello americano, l’un contro l’altro armati nel difendere la propria idea cristiana, con il Cristo relegato in una croce di sacrestia – che uno scisma non è proprio l’estremo male se toglie ipocrisia a questa nostra santa Chiesa afflitta da progressisti o conservatori, e non più sufficientemente testimone di un vangelo quotidiano, fatto di fiducia nel Signore, e indifferente alle virgole dei dogmi? Andrebbe tutto bene se trovassimo la quadra tra gli uni e gli altri? Ma quando mai?
Basta, sennò mi tocca infierire contro quelli che il sole sì, la pioggia pure, e poi se viene la neve quando mai, dato che poi la si dovrebbe pestare... E cioè: un mondo che non sa raccontarsi il bene: e poi andrebbe tutto bene? Persino un giovane cantante, che di nome onora san Giovanni, se ne esce con un “non riesco più a fingere che tutto vada bene”. E certo parla della sua vita, e di questo conto che la vita ti presenta: e non aspetta sempre che tu abbia ottant’anni per chiamarti fuori da illusioni di successo, o di immortalità.
Però. Però, perché no. Perché non anche.
Un bel titolo oggi su un quotidiano Noi siamo l’amore che ci hanno dato. E lì ti si apre uno sguardo dell’infinito oltre la siepe. E dunque il bene, e spesso tutto il bene lo devi riconoscere, senza la leggerezza irresponsabile di chi non fugge la tempesta, ma insieme non pretende di attraversare i giorni senza subire bufere. Sì, io sono l’amore che ho ricevuto. Da tante parti, da tante persone. Nelle situazioni più ovvie, e in quelle al limite. Amore dalle arrischiate sfumature, e con la dolcezza di carezze che non ho percepito come schiaffi, pur essendolo. Ma c’era amore. Peccatore e santo, appunto come sa confortare l’apostolo Paolo.
Ma noi siamo l’amore che abbiamo dato: se si tratta di vantarsi, ha detto Paolo, io lo faccio. Non alla sua maniera, fin tanto che l’apice dei cieli ai più viventi sulla terra è interdetto; ma l’amore che, dato da peccatore santo, ha fatto di me, fa di ciascuno, quello che è. Tanto o poco, sulle rive di un fiume in piena o sullo scosceso delle montagne o nel placido scorrere della pianura, l’amore che si è dato è la nostra bellezza presente. Che vince rughe o scricchiolii di ginocchia. Che dà sapore e gioia. Con qualche venatura malinconica? Perché no? Perché è bene, tutto è bene quanto cogli dalle mani della vita: del tuo papà e della tua mamma, e di Dio.
Se ti lasci aiutare, e se aiuti nell’amore, tutto è bene. 24 febbraio 2024
Bene, tutto bene? – Se fossero disposti a riconoscermi la consulenza per soli 6mila euro (tanto ci costa ripristinare l’elevatore per disabili in disuso da anni) suggerirei a quell’assicurazione di cambiare lo slogan: balordo quanto mai. Tempesta o qualsiasi altra calamità e tu metti lì un tonto che ripete sorridendo bene, tutto bene? Sarà perché di tonti così, che ripetono così, ne incontro fuori dallo schermo televisivo. E mi provocano la piloerezione propria della pelle di un’oca spennata.
Bene, tutto bene? Sì, c’è del buono e molto e non vorrei peggiorare la mia immagine di pessimista per taluni sguardi che mi tocca dare all’intorno. Si sta festeggiando l’orgoglio italico per quel pischello che dalla Val Fiscalina è giunto all’apice del tennis mondiale: e restando un ragazzo che parla da uomo, zero tatuaggi, pieno di garbo e di riconoscenza. E in lui gli altri bonus che la vita sociale sa darci in tempi che vorrebbero farci scivolare altrove. Dove? Basta dire Ucraina? e i giovani di lì che muoiono dirimpetto ai giovani russi che muoiono? O citare i tagliagole di Hamas e i morti innocenti di Gaza? spartendo il mondo in chi odia una parte e chi odia l’altra? E, per raccogliere la notazione di un viaggiatore in Turchia, cristiani che guardano preoccupati alla porta della loro chiesa per vedere chi entra? In alcune parti del mondo, andare a messa la domenica è un rischio, come lo è stato a Instanbul ieri.
Bene, tutto bene? Dare il primato alla carità e alla misericordia non ha servito e continua a non servire bene Francesco papa. Essersi proposto una Chiesa che sappia essere vicina alla gente nella concretezza e nelle sfumature e nelle asperità della vita quotidiana: ha fatto dire di lui che è un istintivo, poco attento al mormorio delle onde che plana nei secoli. E volere che la Chiesa, in obbedienza alla parola di Dio contenuta nelle sacre Scritture, la rilegga continuamente, per fare del Vangelo il Vangelo di oggi, la parola di Cristo per l’oggi dell’uomo; e dunque il rileggerla è un dovere tenendo conto del tempo in cui viviamo. E l’alzata di scudi: degli africani a buone ragioni, di alcuni cardinali anche no. Gli stessi, sì: e diranno alcuni miei lettori che mi sono fissato su di loro. Ma son loro che sono fissi su stessi, inamovibili all’ascolto di quanto si vive, e di quanto si soffre.
Insieme a quell’emerito nunzio (un rosicone invidioso ché non sia stato chiamato alla porpora?) trumpiano entusiasta, simpatizzante putiniano, convinto no-vax (non so se anche terrapiattista – ma questa è una mia divertita cattiveria). “I servi di Satana ad iniziare dall’usurpatore che siede sul soglio di Pietro”: Vi pare un linguaggio di cristiano, non dico di vescovo? È suo. Bene: ha istituito una casa in quel di Viterbo dove raccogliere i preti che sfidano il papa, sedevacantisti e criptolefebvriani. Uno scisma alle porte? Lui, il papa, dice che no, e comunque non lo teme. Però non dice Bene, tutto bene. La tempesta c’è. Ma Francesco sa, e noi, che il Cristo è sulla barca: dorme? C’è. 29 gennaio 2024.
... e il Natale continui – Un cattolico vero, l’uomo con la pistola, molto allegro forse per non dire avvinazzato. Di destra estrema, parole secche e ironiche contro le donne, e benevole con Mussolini, “uno dei migliori statisti che l’Europa abbia avuto”. Guerra a parte, certo, con i soldati avvolti i piedi in scarpe di pezze. Così scrivono di lui i giornalisti. Naturalmente spavaldamente no-vax. Insomma, un deputato. Uno di quelli pescati all’ultimo, sull’onda di un successo inaspettato in tali proporzioni: evidente che ci scappa il morto, prima o poi, nel caso un qualche inadatto – inesperto, giovane, uno che deve imparare – con buona pace delle sorti alte del partito alla Marinetti. Uno dei “balenghi” come dicono i piemontesi, e balenghi non solo di quel partito ma di molti altri che ci governano o ci hanno governato.
E poi: nella sonnacchiosa pasciuta città del Veneto, come la definisce un lettore, succede che un parroco ospiti dei senzatetto al riparo nella sua chiesa. E succede che alcuni parrocchiani raccolgano firme per allontanarlo, reo com’è di insulto evangelico: ha ospitato stranieri, ha vestito i nudi, ha sfamato gente non nostra. E infatti anche lì sarà risuonata nelle giornate di Natale la buona notizia di Chi si è fatto carne, perché nessuna carne restasse ormai sola; ma inascoltata come ovunque in questa sonnacchiosa Italia che si muove qua e là, non seguendo la Luce, che pure è data, ma lucette senza olio, perdendo forse per sempre lo Sposo che dà festa.
Ma certo: anche il presepe dei laici, cosiddetti; ma chi sa chi, laico, si sente offeso d’essere loro accomunato. “I laici, che non sono orfani di assoluto, di assolutezze e di assolutismi, dovrebbero irridere e smontare questo sbracato politicamente corretto, queste arlecchinate, le due Madonne col bambino, i due Giuseppe col bambino, una Madonna single con due Gesù e poi i pastorelli con la kefiah, la recita di Cappuccetto Rosso a Betlemme, la Madonna con il chador” e passi pure quest’ultima, ma il resto?
Sì, scegliendo di sottolineare quanto sopra – quel deputato, quei cristiani, quei laici – potrei essere imputato di quello di cui avvertivo gli studenti quando discutevamo di verità: dove sta? chi la porta? Se Epimenide dice che tutti cretesi sono bugiardi, lui stesso cretese; e se Socrate dice Platone afferma il falso, mentre Platone attesta che Socrate dice il vero, dove sta la verità? che è dire: quando un cattolico è vero? Quando un laico è puro? E quando una comunità merita di definirsi tale? Perché denunciando mi avvalgo di una convinzione di verità. Ma senza giudizio c’è verità?
Di solito, è ciò che porta gioia il Natale. Non a Betlemme, quest’anno: deserta di pellegrini, di che possono gioire i cristiani – ormai pochi – resilienti in una terra, la stessa di Gesù, che non li vuole? E non porta gioia a questa umanità che si abitua alle guerre, purché distanti da sé; che non riconosce le proprie colpe che stanno all’origine del male sulla terra: e tra le altre l’indifferenza per ogni altro diverso da sé. Eppure non possiamo vivere senza speranza. E dunque che il Natale continui, a importunarci. Ci disturbi. Ci infastidisca. Ci secchi. Ma continui. 4 gennaio 2024
al volger dell’anno
Filastrocca in assenza di neve
(e in presenza di guerra)
Manca qualcosa
Qualcosa manca
Ieri era lì
Oggi è mancanza.
C’era una madre
C’era l’infanzia
C’era la neve
Bianca bianca.
La neve cadeva
Cadeva la neve
Non torni più?
Col tuo candido viso?
Non c’è più il cielo?
Il paradiso?
Cada la neve
La neve cada
Camminerà l’infanzia
Sulla sua strada.
Giocheranno bambini
Sul suo bianco viso
Sia bianco l’inverno
Ci sia il paradiso.
Qualcuno spazzi
Questi venti di guerra
Che solo neve cada per terra
Che il rosso sangue
sia biancospino
Sia bucaneve
sia gelsomino.
Neve su neve domani mattina?
Da tanto ti aspetto
Dietro i vetri in cucina
Ti aspetta un cuore
Con la sua spina.
Cada la neve
La neve cada
Camminerà l’infanzia
Sulla sua strada.
24 dicembre 2023
Name:Filastrocca in assenza di neve
Publication:Corriere della Sera
Author:Di Vivian Lamarque
Novissimi - Si può odiare? Brutto verbo da cancellare dal dizionario umano. E tuttavia, fatto salvo che ciascuno estirpi l’odio verso le persone, lo si può usare: ripudio a quello che scombina la propria vita, non sempre a buona ragione, ma insomma di fragilità si nutre il quotidiano di ciascuno. E dunque io odio il sono sereno che alcuni ti sibilano addosso quando sai che è solo una trapunta buttata sopra la realtà che vivono; e lo dicono rifiutando la tua sincera preoccupazione per l’innegabile difficoltà che stanno vivendo. Che è come se qualcuno vi dicesse d’essere sereno con tutto quello che ci circonda - i giovani medici sono ansiosi di mettersi a scuola di qualcuno per lasciarsi formare? i giovani preti no: si sanno “imparati”; il Censis dice che siamo un popolo di sonnambuli? e trovate quelli, e son tanti, che gli sta bene così; gli fai notare che confondere il rifiuto dei musulmani come un sostegno agli ebrei non è il massimo dell’intelligenza politica? per il sottile razzismo che praticano, ti ridono in faccia. Alla barba dei cattolici devoti (?!) che ripetono il ritornello di preti che non predicano più i novissimi, ricorderei loro che non sono solo le cose ultime, i novissimi (e li metto qua – morte, giudizio, inferno paradiso tanto per rassicurare che i preti le sanno!), ma secondo il latino Lucrezio novissima sono anche le cose inaudite. Ora: c’è qualcosa di più inaudito di quanto avviene? Suggerite di rimettere la chiesa al centro del villaggio? vi risponderanno che il centro ormai è un orio moltiplicato. Lamentate che una Chiesa polarizzata come quella attuale – papisti e antipapisti, per usare una dicitura luterana ma applicandola ahimè ai cattolici - non fa bene al Vangelo? illusorio tentativo, il vostro. Al margine della recente polemica su un possibile riassetto delle regole del Conclave, non sforzatevi di ricordare, agli oppositori a prescindere di papa Francesco, che ben tre suoi recenti predecessori hanno modificato le regole, predecessori di cui quelli pure sono fans sfegatati. (Certo: fosse vero, ma non lo sarà – per ora almeno – che oltre ai venerandi porporati entreranno nella Cappella Sistina anche preti e laici ...). Tanto tempo fa mi hanno descritto come un parroco laico: che cosa volesse essere, se un complimento o il contrario, fate voi per come mi conoscete. Ma se laico vuol dire attento a non lasciar fuori nulla, pur non diventando plagiato di tutto, beh, non mi dispiace perché ho cercato d’essere così: pur non riuscendo al meglio. E dunque non mi lascio plagiare di chi inventa sempre nuovi santi, creando santini: com’è quella degli eroi che sarebbe bene riuscire a farne senza? Tante le cose inaudite. Tante anche belle, e ciascuno si faccia il suo elenco. Stretto oggi tra la festa dell’Immacolata e la seconda domenica d’avvento, molte cose il profeta Isaia dice inaudite sì. Ma possibili: che le spade si traducano in aratri. Basta mettersi all’incudine, e dare di martello (senza falce, sennò quel mio concittadino che mi chiedeva se fossi un catto-comunista si allarmerebbe pur nella tomba). I più tanti possibili, nella bottega del Fabbro delle anime: perché la cosa inconsueta che è l’anima torni di moda. 9 dicembre 2023
Commedie – Ho accumulato almeno sedici possibili argomenti con cui tediarvi. O divertirvi. O con cui semplicemente intrattenere un po’ di tempo ad arrabbiarci. Se non che se ne aggiungono sempre di nuovi: come quelli di ieri (Israeliani e Palestinesi), che vanno dal Papa, e poi gli fanno dire cose loro, o lo rimproverano per non aver detto cose loro. Ricordate quel neo-dittatore che Putin ha forgiato su, in Ucraina? Quello Zelensky che non voleva in una via crucis accomunate le bandiere dei due popoli in guerra: della serie, decido io quel che il Papa deve fare. Non solo la Bibbia, ma anche la testa di alcuni deve essere sezionata, alla ricerca di una ermeneutica che ci spinga fuori da queste pazzie che irrorano di sangue i giorni: e non solo dei guerrafondai ma degli autori dei femminicidi (povere le loro mamme, se naturalmente non li scusano i figli, come si denuncia essere una delle “inique” qualità materne: ed è l’accusa forte di questi giorni sull’onda della tragedia di Giulia; per tacere della già giudice ora parlamentare per la quale lo scompenso dei figli maschi è il risultato di mamme scompensate: ed è tutto dire, se non fosse che così le donne anche qui se la sono cercata!, solo che è una donna che pontifica e non il solito giudice maschio – patriarcale – che insiste a chiedere alle vittime come eran vestite).
E quella tragica commedia. Quella violenta ipocrisia, di voler portare in Italia la piccola Indi, affetta da una malattia gravissima e da feroci sofferenze, senza alcuna speranza di miglioramento? Medici inglesi non certo inferiori ai nostri che non si prestano a un atto di vero accanimento terapeutico; e politici italiani che danno cittadinanza per sfruttare sa il diavolo cosa: certo, propaganda elettorale basandosi sulla pietas, che non è quella cristiana: lasciar andare a Dio è l’undicesimo comandamento, che proibisce di sentirsi onnipotenti.
Quello su cui dovremmo ragionare, come società civile, è il tema del limite, che in occidente spesso dimentichiamo. È un tema spinoso, di cui nessuno vuole parlare. Spesso esorcizziamo questa parola ed evitiamo di farci domande o parlare di “fine vita” o di “morte”, immaginando che la medicina sia miracolosa. Non lo è. Ma ditelo a quelli che assaltano il pronto soccorso e i medici, ditegli che lo trovino in sé il limite della vita, così da non pretenderlo per nessuno. E lo dica finalmente la Chiesa a se stessa e ai propri addetti: che una legge sul testamento biologico non è un tradimento del Vangelo, ma una squisita opera di carità.
Un po’ meno seriosi? Quel cortile pettegolo che sono i social rimandano invece, della Chiesa, cose più banali: perché i preti non parlano più della morte? Perché non vestono più la talare. A parte che i preti ne parlano, ma mettere insieme le due cose è un po’ da cinepanettone, no? e detto dal pur bravo Pupi Avati fa un po’ tenerezza, ma a ciascuno le sue debolezze: il bel tempo che fu non costruisce il presente di chiese sì un poco svuotate, ma protese a ritrovare la giusta intonazione della buona notizia portata dal Nazzareno.
Con un mondo di frastornati come quello di adesso, una pandemia di tipo psichiatrico non ha la minima possibilità di poter essere affrontata. Purtroppo. 23 novembre 2023
Numeri – Questo sembra ormai il vicolo cieco di una guerra a spicchi, ma mondiale. Leggi di più di duemila bambini uccisi in quindici giorni a Gaza, palestinesi; dei trenta israeliani uccisi, e poi non si sa quanti sono in ostaggio: bambini, il domani di due popoli. Non conta la sproporzione, o conta? Uno solo dovrebbe bastare a gridare l’orrore. E lamentano i cattolici di Gaza i 18 loro morti, che non sono pochi rispetto allo zero virgola qualcosa della loro presenza nella Striscia, laggiù, che è terra devastata: dalle bombe, ma più dall’odio che permea persone e cose con fetore peggiore dei cadaveri insepolti. Numeri come uno sfregio, per dirsi l’enormità di questo intreccio di dolori e di speranza. Finirà? quando? e quanti morti ancora?
Sto rileggendo l’avvincente romanzo dello spagnolo J.Marìas, che è una riflessione severa sui limiti di ciò che è lecito, sulle macchie che sporcano la volontà di bene su chi tende ad evitare il peggio del male; l’autore scrive righe: “Viene un momento in cui la coscienza non è più in grado di farsi carico di grandi numeri, la sua capacità non è illimitata, e si disperde e si confonde e si disinteressa. Chi abbatte la gente come bestiame non ha il tempo di distinguere una persona dall’altra e così quelle morti sfumano, acquistano un che di irreale, diventano numero e carne, e quanto più alto è il loro numero e più pesante la carne, più si intorpidisce ed è sopraffatto il senso di colpa, che unisce per dileguarsi perché non basta più. Aggiungere e aggiungere, è forse l’unica soluzione che rimane agli assassini di massa, siano essi dittatori, terroristi, ministri che dichiarano guerre superflue o generali che li consigliano e li pungolano. Per questo bisogna eliminarli, perché sommano delitto a delitto e non si fermano mai”.
Non si riesce a sopportare, e dunque il sudario dell’indifferenza, che poco a poco si stende: chi parla o scrive oggi della guerra dell’est Europa? O l’una o l’altra, ci si dice senza pronunciare parola: l’una che scansa l’altra, in attesa di scansare presto questa. E tra Ebrei e Islamici ci sono i Cristiani: pochi, i residenti, molti in pellegrinaggi che danno senso a una città divisa. Ma succede che, poco prima che la guerra svuotasse Gerusalemme dai suoi pellegrini, si è raccontato di un fondamentalista ebreo che al passaggio della Via Crucis sputasse i cristiani. C’è anche un nome, Elisha Yered, un colono sospettato di essere coinvolto nell’uccisione di un adolescente palestinese, che sostiene “sputare ai cristiani è un antico costume ebraico”. Sostenere che sputare ai cristiani sia un costume antico e anche accettabile è orribile. Queste azioni sono di un pugno di estremisti: fanno odiare l’ebraismo, danneggiano l’immagine di Israele, e permettono ad alcuni di giustificare le azioni orribili dei terroristi di Hamas. Eppure raccontarlo è doveroso, quando le pieghe dell’animo umano coltivano queste pulsioni di malvagità: sapere è già cambiare. 26 ottobre 2023
… e per non lasciarci mancare nulla – essere eletti senatore con un numero da assemblea condominiale, e chiamarla vittoria? e non la sconfitta della democrazia?
Il Sinodo – “Il rischio è che la comunità diventi un guscio difensivo: la sfida è abbandonare una comunità difensiva forte della propria identità” diceva La Pira, uno cui veniva bene di esser universale. A questo occorrerebbe richiamare i cinque cardinali che si sono rimessi a fare domande provocatorie al Papa. Che non si è offeso. Anzi; avete dubbi su un Sinodo troppo democratico? Ma già facendo queste domande diventate voi stessi “sinodici” (invento un termine diverso da sinodali, e lo uso per quei cinque porporati che prendono la forma del Sinodo pur mantenendosi nel cuore distanti). Incomincia questa settimana, con l’augurio di quel profeta dei nostri tempi, già maestro generale dei domenicani, fra’ Timothy Radcliffe: “Nel Sinodo si ha il compito creativo di fare improbabili amicizie specialmente con coloro con cui non si concorda”. Che immagine veramente rinnovata di Chiesa ne uscirebbe! E invece già si sta giocando sui dubia, alimentando dubbi di altra natura dentro il popolo dei semplici; e questo in una comunità cristiana che dovrebbe continuamente cercare e trovare certezze nuove leggendo e rileggendo la parola del Signore. Il perché di questo fronte del rifiuto, daQui lo si è già più volte segnalato: è una propensione narcisista non curata, è una voglia di libertà che poi quelli teologicamente negano ad altri. Secondo la loro teologia: che è quella “dell’indietro”, come ha sottolineato il papa recentemente. La testa voltata “all’indietro”, i sentimenti evangelici capovolti. E infatti – il quinto dei dubia – per Cristo il pentimento ha la gradazione di ciascun individuo, come insegna nella parabola del figlio che torna da suo padre perché ha fame, più che convinto d’aver sbagliato. E dunque, nelle prassi religiose, il sacramento della penitenza resta chiaramente a sanare, ma anche davanti alla propria coscienza malata può già avvenire riconciliazione. Un diverso modo di concepire la misericordia: non nella rigidità di regole fissate e invalicabili, non con la declamazione di principi inderogabili (che di fatto diventano chiusure insopportabili) ma con l’attenzione dovuta ai cambiamenti culturali che la storia dell’uomo pone come sfide di conoscenza. A questi ex-teologi fatti cardinali, e fattisi su studi datati, il papa risponde dicendo che la teologia anch’essa ha delle correnti, delle sensibilità diverse: ma nell’evidenza dei rischi occorre non perdere le opportunità che sanno evocare. Diaconato alle donne? Vediamo. Preti sposati, accanto a celibi? E finalmente! Benedizione a coppie omosessuali? Se credenti, e se chiarendo che è altro rispetto al matrimonio, perché no? Creati a immagine e somiglianza del Creatore, tutti uguali e ciascuno diverso, non è forse l’amore che esprime il mistero difficile e bellissimo della Trinità di Dio? Insomma, un Sinodo per dirsi e ricominciare meglio, da dove nei secoli si è perso della nitidezza del Vangelo. E che i cinque dei dubia si mettano ad ascoltare. Cosa che sembra proprio non stiano facendo. E non da adesso. 3 ottobre 2023
E per non lasciarci mancare nulla – Meridionali e africani definiti fannulloni? Un deputato si è sentito diffamato perché qualcuno gli ha chiesto conto scrivendo in un post che piuttosto di votare uno così avrebbe votato Paperino. Nel caso i giudici non gli hanno dato ragione, e dunque posiamo votare Paperino.
Lo stesso deputato imputato per diffamazione aggravata (insulti scagliati sui social contro Carola Rackete – “zecca tedesca”, “criminale”, “complice di scafisti e trafficanti”), è stato sottratto al suo giudice col diniego dell’autorizzazione a procedere da tutta la destra, compresi i renziani. Un abuso di potere incostituzionale, poiché l’insindacabilità copre solo “le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle funzioni”, non gli insulti sparati fuori delle Camere contro cittadini indifesi. Che possono essere querelati dal deputato, ma non querelarlo. Chi è? quello del Ponte.
considerando - Cala ormai il sipario sull’estate. La più calda? Sicuramente calda, ma alla fine sopportabile, almeno qui da noi pedemontani. E questo basterebbe a dire che le fragilità sono sempre a misura d’uomo: a meno che caschino le dighe libiche cui non si è messo mano come avrebbero richiesto, spazzando via migliaia di morti da far impallidire la nostra tragedia del Vajont. Siamo nelle mani del destino; e accettiamo la parola, dato che sulle disgrazie è difficile dirsi nelle mani della Provvidenza. A meno che si voglia “difendere” Dio: da che cosa è esso stesso una primaria bestemmia. Se è palese l’impudicizia di chi maneggia, s’appropria, costringe a un’idea di dio che non è, che è morto da sempre. Quello loro. Ed è questa la differenza che fa delle persone di destra dei pericolosi senza Dio: perché ne pronunciano il nome invano. Di antico testamento come cultura, e tuttavia bestemmiatori del loro stesso ambito. Che rende difficili anche quelli di Chiesa, che più o meno velatamente fanno l’occhiolino a “quelli sì che stanno dalla nostra parte”. La nostra e la loro: una inscindibilità che il Vangelo esige, ma che non è nelle storie umane. Finisce l’estate: ma resterà, ambigua, quell’omelia su un potente del nostro tempo: a legittimare una simpatia amorale? e la concezione della rapina del corpo femminile ammantato di amore per la bellezza? Certamente no, nelle intuizioni, ma sicuramente scivoloso nel darsi come inno in una celebrazione che non voleva scontentare i presenti. Finisce l’estate con la buona notizia che ci sarà un seguito alla Laudato si’: ci ha indicato come prenderci cura della casa comune, ma non è mai abbastanza, deve aver pensato il papa, che pure, con l’altra enciclica, la Fratelli tutti, già ci ha avvertito: della terra ce ne prendiamo davvero cura, se la cura primaria va a chi questa terra l’abita. Che non sembra essere quel che avviene: esce di scena l’estate e purtroppo continua nelle nebbie dell’autunno l’incongruenza del mondo: sempre più guerra. e una delle cose peggiori, oltre le morti e le distruzioni, avere trasformato in guerrafondaio quello Zelensky che s’era presentato come un cavaliere di pace. Sempre più armi, prima carri armati, poi aerei, poi missili; e no a trattative se la Russia non si libera del suo dittatore, e così via in una escalation sicuramente guerrafondaia. (Persino il papa filorusso: e dire che il ricordo dell’Ucraina nelle sue quotidiane parole è di una insistenza che rasenta per qualcuno ormai il pleonastico!). Il Gott mit uns di tutte le epoche, il dio che è mio, che è di quei vescovi ucraini e russi che non sanno più essere con il loro popolo senza piegare il Dio di Gesù Cristo ai loro popoli. “Li chiamavamo i nostri fratelli musulmani, sì, perché volevamo che tutti fossero fratelli”. Lo dice Jean Marie, l’ultimo testimone di Tibhirine, sopravvissuto alla carneficina di monaci portatori di pace, per mano di integralisti islamici. È lo spirito che pura a ventisette anni di distanza imploriamo che spiri sui giorni che si aprono.
* E per non lasciarci mancare nulla. Bimbi afflitti da malattie senza nome, o bambini affamati, o bambini da aiutare a crescere. Messaggi ripetuti anche decine di volte in un solo giorno in tv. Cause ottime, dona 9 euro. Ma se come credo quella pubblicità costa, su quei nove euro chi mangia? I bambini?
È estate. Qualche spuntatina come si fa a chi ha i capelli aggrovigliati, tanto per alleggerirsi da alcune pesantezze di questa prima parte della stagione.
*** Tante frecciatine al papa che ha avuto da dire sugli attaccamenti agli animali. Dare o no il nome dei bambini a cani e gatti? Ma il nome di cani e gatti ai bambini? Vedi falco lupo gallo. Natura e umanità ormai imbastite inscindibilmente? Il Luna e Sole di questi due gemelli dizigoti; o camomilla a questa bimba neppure bionda. E che Filippo – diacono e/o apostolo – stia per amico dei cavalli e Melissa, santa monaca greca, un’ape che produce miele: e dunque può non esserci una sacralità congenita, ma il cagnolino dentro il passeggino di signora ancora non in età l’ho rilevato io prima ancora del papa. E facciamoci su tutto dell’ironia, con una lacrima.
*** Di queste ore: la strage di Bologna e quelli sono innocenti, dice un fascista che si proclama tale per negare la matrice fascista che sembra conclamata. E lo dice aggiungendo io non ho visto le carte dei processi (in eco a non ho letto i libri ma ho votato per lo Strega: dev’essere uno stile per quei camerati!) ma so che sono innocenti. Perché quel giorno F e M erano al bar con te? e allora dillo ai giudici. O impara la regola del silenzio. Quando il potere dà alla testa si perde la dignità. Tanto da acclararsi al martirio di Giordano Bruno; ma solo per un giorno. Poi le scuse: già, anch’egli tiene famiglia.
*** Oroscopi: c’è gente che ci vive. E anche riviste di tono ci cascano, e sennò vuoi contare quanti abbonamenti in meno? e intortano l’estate tra pesci e capricorno con richiami di questa portata: Dopo anni, vi riprenderete tutto quello che era vostro – Il destino ha una missione: ricompensarvi di tutto – Cercate di essere saggi e lasciate stare le vendette – Dite addio alle delusioni e seguite l’intuito – La fortuna premia chi pensa a se stesso. Affermazioni generiche in cui facilmente riconoscersi. E perdersi.
*** Una GMG accettabile persino da me che non credo a muscolari esibizioni della fede, forse perché intonate a Francesco e meno all’esuberanza teatrale di Giovanni Paolo o baroccamente all’eterodiretto Benedetto. E tra tante parole sentite spesso, una un po’ meno ma che potrebbe esserne il marchio: obrigado. In portoghese grazie si dice obrigado, termine che esprime non solo gratitudine per ciò che si è ricevuto, ma anche il desiderio di ricambiare il bene. È la parola per eccellenza di un cristiano: fosse dei giovani cristiani, il mondo finalmente prenderebbe un’altra piega.
*** Questo mi fa scrivere del cambio necessario a che Cristo possa rivivere nella Chiesa. Restituire quanto si è ricevuto chiede di uscire dalle strettoie dentro cui si è confinata la fede. È tempo di rivedere i dogmi, per proporre la verità del vangelo. In barba a prelati che si difendono con le cappe di piccole verità fabbricate lungo i secoli a sostenere privilegi, clericalismi appunto. Quanto potrebbe Francesco? e quanto gli si permetterebbe? Ritornato ringiovanito dalle giornate a Lisbona, si rinfocolano le speranze degli inizi: Zagarolo continui a insegnare; e pace all’inquietudine di Morselli che ha ispirato, lui comunista e dunque eretico cristiano, la possibile svolta che conduce dall’immobilità della città alla generatività delle periferie.
9 agosto 2023
per non lasciarci mancare nulla - a quelli che hanno trovato troppo criptico l'articolo precedente "non me tra i migliori": molta autoironia, a cominciare dal titolo, e un po' di rabbia per prelati che non sanno vivere il dono che hanno ricevuto; e certo con qualche loro nome sottointeso per lasciar loro qualche spiraglio di ravvedimento prima di chiamarli apertamente (Mt 18, 15-17).
non me tra i “migliori” – A sorpresa un concistoro per la creazione di nuovi cardinali, con diritto di voto in un futuro conclave. Tre dei ventuno no: messi lì per riconoscer loro non il massimo diritto nella cappella sistina a dare il là a un nuovo costruttore di ponti, ma a mostrare in loro una presenza benefica nel mondo variegato e difficile del clero cattolico. La loro provenienza, ha detto Francesco, esprime l’universalità della Chiesa, che continua ad annunciare l’amore misericordioso di Dio a tutti gli uomini della Terra. E l’inserimento dei nuovi cardinali nella Diocesi di Roma, inoltre, manifesta l’inscindibile legame tra la Sede di Pietro e le Chiese particolari diffuse nel mondo. E su questa inscindibilità è il grande avvertimento del papa gesuita: rivolto a quei cardinali non ancora esclusi dagli ottant’anni, e lì ad aspettare di sostituirlo con un altro che sia meno gesuita. Perché su questo sta la grande battaglia: le “stranezze di questo papa”, e non ricordare appunto che è un gesuita, della scuola di sant’Ignazio che costruì una compagnia di mercenari della chiesa, spregiudicati, adusi a tutte le battaglie difficili che gli addomesticati (mi prude un po’ sentirmi tra questi, ma insomma …) non sono chiamati per costituzione ad affrontare viso a viso. Il gesuitismo tanto vituperato dentro e fuori la Chiesa, sta dando i suoi colpi: che, poiché vanno a segno, scompongono eminenti eminenze che han colto l’insediamento cardinalizio come investitura a un possesso della verità, naturalmente la propria. La porpora mi dà diritto di mettermi di fronte al papa? o è il battesimo? e dunque anch’io che anche stavolta non sono nell’elenco dei “migliori”(!)? Ma sono i migliori per il purpureo delle vesti o per il rossore che coglierebbe una umiltà coltivata? E dunque la berretta andrà sulla testa di un bergamasco a Gerusalemme: perché frate? O perché in un servizio di attenzione in mezzo a intifade e reazioni spropositate che non raccontano la pace? Ma certo, se bergamasco doveva essere perché no un prete dei minori – non frati – di quegli addomesticati la cui unica traccia importante è il servizio quotidiano e più celato del Vangelo? Se state pensando che mi riferissi a qualcuno di comune conoscenza scrivendo bergamasco, vergognatevi: ma vi pare? O sì? tra luglio e agosto 2023
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per non farci mancare nulla – Però quella nomina a vescovo del cerimoniere pontificio, no. S’era detto, caro Francesco papa, che finisse l’era dei segretari papali fatti vescovi (e non solo perché poi finiscono male - e si fa per dire, neh). Ma perché, accanto a tanti altri ascolti sui suggerimenti che da battezzato mi sono sentito di farTi (il migliore? ricordi tra febbraio e marzo del 2013 la Zagarolo della residenza a Santa Marta?) ecco qua una ricaduta nelle prassi curiali. Caro papa ad ogni vescovo una chiesa vera: tutto il resto è fuffa, e lo Spirito santo ne avrebbe da dire … supponendo che quei vescovi siano frutto di Spirito santo.
è morto – La notizia viene in mattinata, quando i giornali di carta sono già impediti di fare paginate. Ma domani? domani sarà un trionfo del paese che amo: la sua frase migliore, in mezzo a battutacce che nessuno ricorderà. Con le sue barzellette da bar, con i suoi amori vissuti e disconosciuti alla prova dei tribunali. Ma certo anche con il successo: sei miliardi, si racconterà, che forse accenderanno una nuova guerra tra i figli non dello stesso letto? Chi vivrà vedrà, ma speriamo di no. Così come vedrà, chi vivrà, i funerali di stato. E per lui, l’avevo già anticipato in un daQui, non vorrei essere nei panni del celebrante: che dovrà dire non dicendo, certo offrendo la misericordia del Signore, come è giusto per tutti. Anche se un popolo trafitto da televisioni che ne hanno abbassato il grado di criticità, è più di una vendetta al cospetto di Dio. Ma appunto non si dirà, sui giornali di domani: forse qualcosa a piè di pagina. Forse. Ma all’eccellenza manifatturiera che è stato il Silvio nazionale, poiché Dio perdona, forse che non si debba noi perdonare? È un gran dilemma. Anche se queste righe di getto vogliono essere condoglianze. Sincere. Scritte per non mancare al gran concerto che risuonerà per vie e contrade di quest’Italia berlusconiana. Righe ad esprimere partecipazione anche se con un po’ di distacco. Come è giusto, una specie di preghiera in suffragio, per ottenergli già da subito quella penitenza da purgatorio che lo renda fruibile per il cielo. h 12 del 12 giugno del ’23
C.V.D. – Già, come volevasi dimostrare. A volte, e spesso in certi campi, la realtà è come la geometria: basta poco per comporre un teorema del tipo se questo mi dà questo … visto il funerale? visti i commenti a quelle parole del vescovo Delpini? visto come la destra si è infuriata e la sinistra ha storto il naso? Chi lo voleva beatificato (nonostante – e qui un pietoso velo sulle sue, e pur nostre, malefatte) e chi maledetto. Perché non fare come Feltri (la parentela con Berlusconi è perché gli si è detto riconoscente per averlo fatto ricco: un gran giornalista per la prosa facile, ma poverino!), che dichiara di non credere in Dio e che solo due metri di terra metteranno fine; e così impedendo a chiunque di portarlo in chiesa, a mettere in difficoltà il malcapitato a presiedere? C.V.D., appunto: ma converrete con me sulla inevitabilità per un’epoca senza Dio. manche senza una verità delle nostre liturgie? è qui che casca l’asino. 24 giugno 2023, giusto dodici giorni dopo il “grand’evento” per digerirlo.
per non lasciarci mancare niente – Meno male che c’è Vecchioni: per lui Dio c’è. E io preferisco il poeta al giornalista. Non per la professione, ma per l’uomo che l’uno e l’altro è.
e ancora – C’è sempre da imparare. Ad esempio frequentando napoletani allarghi il dizionario dalla Toscana al Golfo. Così, “’a cazzimma”: chi non è napoletano come me lo sente per la prima volta e chiede spiegazioni. Ebbene, “’a cazzimma” è un neologismo dialettale molto in voga negli ultimi tempi, mi dice l’Esposito di turno. Designa la furbizia accentuata, la pratica costante di attingere acqua per il proprio mulino, in qualunque momento e situazione, magari anche sfruttando i propri amici più intimi, i propri parenti. Insomma. è l’attitudine a cercare e trovare, d’istinto, sempre e comunque, il proprio tornaconto, dai grandi affari o business fino alle schermaglie meschine per chi deve pagare il pranzo o il caffè. Una furbizia del privato e del pubblico. Si direbbe del politico, se non fosse che quanti stan saltando sul carro della destra meloniana prima o poi lo faranno rovesciare (e noi a sghignazzare? boh!). Ma si dica di ogni invenzione che non sia frutto di lealtà. Sempre ad esempio: bisogna mangiare solo italiano, parlare solo italiano, sposarsi solo tra italiani. È bene avviarsi alla democratura visto che di democrazia non si sa vivere. E se poi i conti degli avvocati vengono minimizzati in notule? È furbizia?
Ma c’è anche il lato apparentemente ottimista, apparentemente: se nella Chiesa, la nostra, ci si avvale di proiezioni, di ipotesi, così tanto per sfuggire al presente pessimista di battezzati che non sanno che farsene di sacramentalizzazioni. Qui da noi. E si guarda con uno sguardo lungo, per sottolineare la ricca spiritualità dell’Oriente, anche se poco ha a che fare con la carnalità dell’Incarnazione; si guarda alla fede cristiana maggioritaria in America latina, anche se dispersa in rivoli non proprio evangelici. Si indebolisce a ritmi accelerati in Europa e America del nord? è ridotta al lumicino in Medio Oriente, dove nacque il Signore e da dove la fede sè diffusa? Sì, ma guarda alla crescita in Africa e in Asia, che è anche Cina: vedi anche Corea del sud, anche Filippine, e a macchia di leopardo in Giappone e in India. Appunto: la furbizia, questo sfuggire dalla faccia della realtà per non pagare il prezzo di un fallimento della predicazione del vangelo qui. Perché non si racconta più il cristianesimo delle passioni, dell’uomo e per l’uomo. O perché non paga più l’essere un testimone cristiano. Una inchiesta del Times rileva che il cristianesimo sta diventando un impedimento all’ascesa di una persona ai livelli alti della società. “Chiunque tenti di sposare gli insegnamenti cristiani tradizionali nell’ambito di un moderno studio legale, banca o società di consulenza, si vedrebbe messo alla porta”. Non c’è coincidenza con il mondo di oggi, affaristico e spietato? Ebbene, si può vivere di patate, ma non di ‘a cazzimma spirituale. Di quell’arte di sfuggire al meglio, all’adattarsi al peggio coltivando ormai l’indifferenza a una lealtà verso se stessi. Anche per questo quanto più Francesco fa apparire il Vangelo nella sua nudità tanto più scatenerà le potenze avverse contro di lui e contro la chiesa della quale è al servizio. E come lui quanti affermano il Vangelo integro di Gesù. Come ogni uomo e donna, il cristiano ha difetti, un carattere che può non piacere, ma è l’uomo fragile e limitato che va giudicato solo per come annuncia il Vangelo senza “accomodarsi fuori”, senza fuggire, senza rifugiarsi in ‘a cazzimma. Mai, possibilmente, o uscendone, semmai. 3 giugno 2023
per non lasciarci mancare niente – narra un giornale tedesco che il già segretario del papa Benedetto sarebbe “esiliato” in Germania: una punizione? eppure lui dice di non avere mai mancato alla fedeltà del regnante pontefice, naturalmente se si eccettua il libro qualche ora dopo la morte dell’Emerito dal titolo “null’altro che la verità”, un attacco proditorio a pp Francesco. Ah, i segretari!
senza preti. Tanti temi, nel mondo che vive. E il difficile scegliere fa rimandare. Così da pensieri sui massimi sistemi, si va verso territori più “umani”. Che non è detto non sia meglio. Anzi. Perché umano è interrogarsi su questa nostra Chiesa che, in assenza di preti, sta sempre più restringendo se stessa, mentre pretende di arrivare ovunque, comunque. Scherzando un po’ ma intendendo seriamente, ricordo spesso che le chierichette hanno sgomitato tanto da non aver più maschi a servire l’altare. Quello che succede agli Anglicani, ma tra i “Chiericotti d’alto bordo, preti e vescovi, chiamati così ma con poca analogia con i nostri, a parte le vesti liturgiche ancor più suntuose delle nostre: come si è potuto vedere dallo sfarzo dell’ incoronazione del re. Con quei vescovi-donna che davano l’impressione un poco dell’anatra zoppa (ma questo a me di liturgia cattolica, e non per un senso macho, ma solo estetico, se concedete un linguaggio schietto, se pur scorretto secondo i canoni del bon ton femminista- mah!). Dunque, pretende comunque di arrivare ovunque. E allora cinque parrocchie a un solo parroco. Ma orari e appuntamenti come se l’accorpamento non esistesse. Stare conni propri parrocchiani? Ma se devi fare nella stessa mattinata di domenica tre messe a cinque dieci km l’una dall’altra, il sagrato come incontro te lo sogni. Per essere di tutti, si finisce per non essere di nessuno. Una soluzione introdurre finalmente le donne nel sacramento dell’Ordine? Anche qui con linguaggio scorretto: si pretendono mogli ai preti per “correggere” la pedofilia: come se l’aberrazione di tale inclinazione fosse correggibile, come se violenze di tal genere non avvenissero dentro le famiglie in percentuali ancora peggiori. Le donne- preti non sono un diritto (è scorretto? ditelo a una lettura teologica della vocazione cristiana così come il Vangelo suggerisce: Maria, il grembo di Dio, Maria l’evangelizzatrice della resurrezione). A meno che si situi la parità tra maschio e femmina in quel crinale – ed è quel crinale – che è il potere. I maschi, preti e no, hanno un potere e lo esercitano spesso male. Ma si può servire – il verbo evangelico per eccellenza – senza necessariamente essere “al potere”. Accettando le differenze, si promuove la ricchezza. Meno preti, e certo è grave. Ma la soluzione sta nel rivedere dogmi o prassi su cui abbiamo pensato di defisse l’essere cristiani. Un’Eucarestia che non sia un precetto, ma una bellissima opportunità, e dunque non eucarestia tutte le domeniche, ma tutte le domeniche un incontro per l’ascolto della Parola del signore e per comunicare in sua memoria. Laici preparati a presiedere, diaconi finalmente resi protagonisti in forza del sacramento che hanno ricevuto: comunità finalmente responsabilizzate, per raccogliere re accogliere in servizi di carità e di consolazione. Una chiesa che s’allarga non per ruoli, ma per domande cui dà risposte puntuali: diverse da ieri ma promettenti pe il domani. e nel segno di un Vangelo ancor meglio riletto. [Rileggo e vedo che sono scivolato nei massimi sistemi, pur volendosi per questa volta starne lontano. Succede. Forse perché tutte le stelle, grandi e piccole, sono intrecciate tra loro]. 12 maggio 2023
Per non lasciarsi mancare nulla - Se la prende con il me-too che cerca di far emergere soprusi sessuali di uomini di potere verso attrici di primo ciak; e lo fa dicendo che quelle parlano solo per farsi pubblicità. E poi, nella stessa intervista, dice dei propri soprusi, che preti di collegio avrebbero inflitto a lui. E, coerentemente, non si capisce se lo dice per farsi pubblicità, lui. Due pesi e due misure. O solo un trombone teatrale, il barbaro che calca la destra?
Compagne/i, e non sono comunisti - Non sono per l’orso morto o solo accantonato. Ma su qualcosa bisogna pur dichiararsi: ed è così ovvio, che mi viene da ridere di me stesso mentre scrivo. Anche se c’è poco da ridere. Stiamo (=stanno) sistemando la Chiesa. Non dico dove né come. E qui non mi dichiaro, perché sento che le ferite di alcuni richiedono tutto il tempo di cicatrizzarsi. [Però: convocato in udienza il 13 settembre 1927, lo si vide uscire dall'ufficio del Papa senza zucchetto né anello né croce pettorale: era entrato cardinale e ne era uscito prete (infatti non aveva mai ricevuto la consacrazione episcopale, non necessaria per i Principi della Chiesa finché questa disciplina fu riformata nel 1962, da quel santo di papa Giovanni che purtroppo ha così dato il là a una pletora di vescovi senza chiesa); e pensare che fu proprio lui il protodiacono che incoronò lo stesso Pio XI nel 1922. Il padre Louis Billot si ritirò a vita privata nel noviziato di Galloro, dove morì di polmonite. Naturalmente non c’è da aspettarsi che qualcosa del genere possa avvenire per qualche odierno cardinale. Anche se ...]. Di solito mi sforzo di seguire la regola di non oltraggiare il silenzio su ogni cosa. Ma su qualcosa non riesco più a tacere. Se ne va della credibilità dell’immagine che la Chiesa dà di se stessa. Secondo me. O esagero? come direbbero i soliti laudatori del tempo presente per il “mondo che ormai è cambiato, te ne devi rendere conto” (e dicendomelo non si riferiscono solo a cellulari o smartphone con relativi scambi di piatti in tempo reale seppure in modo virtuale). Che se la loro propensione a giustificare avesse la saggezza del papa che dice “non essere questa l’epoca dei cambiamenti, ma il cambio di un’epoca” io saprei ancor più convincermi che il mio disagio è giustificatissimo. Un cambio di epoca? Dunque un cambio di sguardo e di comportamenti da certificare. In breve: non mi sono mai augurato di essere, in quest’ultimo decennio, nei panni di parroci che debbono celebrare i funerali di chi ha un compagno, una compagna, al posto di un marito o di una moglie, nei banchi accanto alla bara. E non perché non possa darsi in pura coscienza. Ma perché occorre comporre nella verità di quel che si vive: poiché chi sta lì sa che nella “teoria” della chiesa questo non si dà. Ora. E dunque come può un prete dire senza dire, annunciando la Parola del Signore? che potrebbe sì collimare con il vissuto del defunto, ma non con quello che lì si rappresenta secondo i dettami ecclesiastici? Una Chiesa che si attorciglia su se stessa per permettere o no di accostarsi all’Eucarestia a chi si è dato a un secondo matrimonio; e poi celebra con monsignori romani funerali di chi si è fatto almeno tre “compagne” e a volte senza neppure il sigillo di un riconoscimento civile? Botteghe teologiche di morale da rifare? Certamente, e presto. Per non condannare all’ipocrisia tanti poveri preti di campagna e no, richiesti di celebrazioni che stridono, queste sì, con la dignità umana: e di chi viene funerato e di chi presiede quel funerale. Forse l’ho già scritto, ma qui può esemplificare. A me è successo di celebrare per un suicida ottantenne: l’accenno alla misericordia del Signore che accoglie l’imperscrutabile umano, e la rabbia di nipoti “che non si doveva dire”. A parte che la cosa era risaputa da tutti quelli che stavano lì, ma la mia dignità nel voler dire parole vere? e la dignità di quel defunto riconosciuto in una fragilità che rendeva ancor più pregevole una vita stimabile? Che Chiesa è quella che non sapesse finalmente dire una parola nuova sul nuovo modo di concepire l’esistenza di persone che pur vogliono vivere di fede cristiana? ed esserne comunque riconosciuti pienamente? 22 aprile 2023
dieci anni / Non sapendo più a quale santo appellarsi – santo del loro comparto, e cioè quegli anacoluti spariti persino dal calendario liturgico, e tuttavia tenuti in serbo nei loro messalini! – adesso invocano il silenzio. Ci hanno provato fin dall’inizio, avendo contato in piazza san Pietro ben ventidue persone in meno all’ascolto dell’Angelus rispetto al loro papa, che certo era il precedente; e hanno continuato con quella serie di invettive in tono accorato ma giudicante in maniera irrevocabile, aiutati da cardinali imporporati per nulla dalla vergogna; e non si rassegneranno, statene certi fino alla fine di questo pontificato. E dunque, ora sono arrivati a prendersela con chi racconta i dieci anni con gioia. Come vi permettete? Già fin dall’inizio, presentandosi vestito solo della talare, quel 13 del 3 del 2013 (tanti 3? Possibile che non si siano ancora afferrati alla numerologia per confortarsi della loro ripulsa per questo papa? Che tra l’altro si prende anche lo sfizio arrogante di darsi il nome di Francesco?). Che cosa stava rifiutando? Forse l’inutile, direste voi? Ma non diteglielo, per carità cristiana: stanno ancora oggi leccandosi le ferite, come non si vergognano di scrivere in questi giorni. Neanche un dubbio che potesse essere volontà del Signore quella scelta. E dicono di credere allo Spirito Santo: ma solo se lo Spirito fa quanto loro si aspettano. Così, più o meno apertamente, aderiscono a quel sede-vacantismo che per i credenti dovrebbe risultare del tutto improbabile per una comprensione autentica della chiesa cattolica. Ma tant’è: benedetto sia papa Benedetto nei secoli dei secoli; ma quello sgarbo del lasciare non ce lo doveva infilare, se l’eredità doveva essere di questo papa. Che chiama alla gioia del Vangelo? che bada alle persone più che alle rigidità morali? che s’imbarca in invettive contro il vissuto di tanti credenti maldisposti? Già: parole che sicuramente gli vengono anche dalla pancia, e sembrano non essere molto educate a quello stile sommesso, prelatizio appunto, proprio dei palazzi apostolici. Ma lo si capisca - è piemontese nelle radici: li vedete i simbolici baffi alla Vittorio Emanuele secondo?; trapiantato in Argentina, e i lazo nella rincorsa delle bistecche che saranno? - vive in un albergo di contenute stelle, abitato dai rumori dei troller di chi va e di chi viene, di chi vive la quotidianità in gioie e conflitti, domande e dolori. Ci è stato dato un papa autentico, un uomo con difetti e con tanto pelo sullo stomaco. Ma non può essere una buona definizione per i detrattori: un papa così? ma quando mai. Eppure sono dieci anni che vive nel servizio petrino: per noi e per nostra salvezza intercedendo al Padre: sia, solitario, nel buio piovoso di quella piazza piena di assenze in quella notte carica di tragedie, sia nelle stanze segrete del suo ministero orante. Francesco osa essere un servo del Signore, un cristiano obbediente al Vangelo, un esperto di fragilità umane, un uomo che non ha paura dei potenti. Ci è stato dato: prendetelo e ringraziate. 13 marzo 2023
per non parlare di … – Per non parlare della guerra, e di Zelenski che vuole sempre più diventare come Golia, non accontentandosi della fionda; e senza diventare io putiniano, Dio ce ne scampi e liberi. Per non parlare dunque dei trecentomila morti, sommati a tutt’oggi nelle due parti: che, al confronto dei cinquantamila del terremoto, gridano vendetta a un Dio che non è né ortodosso né comunque cristiano. Per non parlare della siccità, della mancanza dell’acqua dal cielo, che da meteopatico soffrivo già otto mesi fa; e dunque per non imprecare contro i sudditi acritici del sole che non mi hanno seguito nella mia voglia di nuove rogazioni ad petendam pluviam. Per non parlare di, scrivo del Nicaragua. E certo per raccontare di quel vescovo imprigionato per essersi rifiutato di andare in esilio con 222 connazionali imbarcati su un aereo, almeno non per essere precipitati nell’oceano, come già successo nelle dittature di quelle parti, ma per essere scaricati in altra America che nemmeno gli dà certezza di patria. Le cronache dicono, in rapida sintesi, di un processo contro cristiani, preti laici e quel vescovo, che da quattro anni denunciano; e la condanna per tutti, e l’espulsione dal paese; e i ventisei anni di carcere per il vescovo Rolando, a seguire il rifiuto di accettare la “grazia” dell’esilio. Un vescovo che preferisce rimanere a testimoniare la sua resistenza a quel dittatore che fin dagli anni settanta sta lì a “liberare” un popolo prima con derive sovietizzanti e poi con un populismo senza democrazia. Ma se l’occasione è la resistenza di quel vescovo, parlo del Nicaragua per altro. Che poi altro non è. E dico di un mio compagno di messa che finisce nella prima rivoluzione di là: volontario a prestare azione e sostegno ai Contras, guerriglieri contro l’oppressione di tal Somoza, satrapo sanguinario. Uno dei tanti preti, l’Ubaldo, partito da qui per unirsi alla Chiesa di là, partecipe delle magnifiche sorti e progressive dell’avvenire. Certo una delusione: qualche anno, e vedere passare da una dittatura a un’altra. Il ritorno degli esuli è triste. E lui, quel mio compagno di studi e di ordinazione, segaligno nel fisico a raccontarne l’animo, che ora guarda alla persecuzione di una Chiesa, la cattolica, impedita, ed è di questi giorni, di fare processioni nei venerdì di quaresima; e tanto più nel venerdì santo, quando da sempre per quei popoli il Cristo morto è icona della loro voglia di resurrezione fin da questa terra. L’amaro dei giorni: la prepotenza che ti illude, la violenza che uccide. Da oriente a occidente, da quest’Europa antica per fede all’America giovane ma già rinsecchita. Per non parlare di, si finisce per parlarne comunque. Abbiano il nome di Putin o di Ortega, dentro o fuori i propri confini – là dove non si accetta che “sì, i frutti della terra sono di tutti, ma la terra non è di nessuno” – si ripete lo stesso lugubre suono di armi o di catene. Una umanità che s’imprigiona. Ce n’è per pregare. 24 febbraio 2023
E per non farci mancare nulla. In gran Bretagna come qui da noi, l’appartenenza alla Chiesa conferiva uno status. Adesso si è derisi come bigotti scrive il Times, in una nazione post-religiosa, dove il numero dei non-credenti ha superato il numero dei credenti di tutte le fedi religiose messe insieme. Dio è morto. Per tanti.
divisivo o evangelico? – Qualche anno fa, in risposta a uno scritto di tal Socci (che nelle cronache future finirà a piè di pagina in una nota poco encomiastica) ,sapete, è quello che si è attaccato a una prima sconsiderata soffiata di un cardinale reduce dal Conclave, per dire che lui, l’eletto, non è Francesco, non è papa – che già scriverlo ti dovrebbe almeno farti chiedere ma chi ti sei? – solo per aver ripetuto, i conclavisti, una votazione a seguito di un conteggio errato; insomma volevo scrivere un pamphlet in risposta appunto intitolandolo È Francesco. Non ne feci nulla, preferendo, da qui, siglare note man mano che la marea, e si sentiva che sarebbe cresciuta, avesse portato a riva le proprie scelleratezze. Che è appunto quello cui stiamo assistendo: e non più con ciellini sfiancati o vaticanisti infastiditi (quel signore che il giorno dopo dei figli che si fanno responsabilmente, e lui che ne aveva otto o nove si è offeso: perché?!) ma con cardinali che parlano e scrivono in nome di una permalosità che non ti riesce facile permettergli. Anche se umani, come tenta di scusarli qualcuno dei buoni. Lettere post-morte, libri, interviste: il rosso della porpora messogli addosso per spronarli al martirio, e lo usano come il drappo in un’arena di tori. È vero: un papa così non è facile. Solo quattro anni dopo la sua elezione, esce un documento negli Usa e poi in Europa che lo accusa di eresia: tutti di estrazione lefebvriana, preti teologi giornalisti proclamano che ha dato scandalo al mondo in materia di fede e di morale con la Amoris laetitia e altri scritti. L’intento è chiaramente strumentale: si inchinano alla fine del documento al sacro bacio chiedendo benedizione, e lo intitolano Correzione fraterna. Ma il puzzo di ipocrisia è troppo forte: che esca giusto quattro giorni dopo che Francesco ha dato il benservito al cardinale prefetto della congregazione della fede che guarda caso comincia a tradurre i suoi sussurri in aperte scontente valutazioni, e che ora pubblica le sue riserve sul papato … Avete sentito quel che dice e scrive: grave dolorosa è la ferita inflitta agli amanti del latino, con le restrizioni imposte da Francesco a scorno dei suoi predecessori che l’avevano permesso. Naturalmente al cardinale non viene da chiedersi il perché l’hanno permesso, e a qual fine (anche se a Benedetto, lo si deve riconoscere, quelle messe in latino piacevano proprio); e neppure ha letto (o non ha letto? o non ha capito?) i motivi esposti in una lettera ad hoc: lì non era più questione di latino, ma di fedeltà alla Chiesa che si è pronunciata in Concilio. Non basta: ma se sono ammessi altri riti, perché non quello voluto dai tradizionalisti? dice. Che è come dire agli ambrosiani che sono eretici o scismatici o quel che sono come è indubbio ormai per i lefebvriani. Povero cardinale a cui qualche amico dovrebbe dire: adesso taci, per il tuo bene, per la maggior gloria di Dio e la miglior salute tua. Sì, Francesco non è un papa facile: anche lui umano. Per accelerare quell’Ecclesia semper reformanda non è stato sul passo prelatizio che ha scambiato la prudenza con gli standard di sempre. E neppure ha tenuto in gran conto la difficoltà di tanti preti nel tenere il suo passo pastorale, spirituale. Modificare abitudini? Persino il suo stare a Santa Marta invece che nel Palazzo apostolico, non è facilmente digeribile per i tanti che pensano la dignità come una altezza. Nonostante si sia creato un Consiglio di nove cardinali (e anche lì dentro un qualche Giuda che scrive lettere da pubblicare dopo la propria morte – ed è stata pubblicata, e definisce questo papato un disastro) l’impressione dei più è che stia governando da solo. Ma forse questa è la condanna di chi si vuol mettere davanti per indicare un cammino difficile. Non mi inchino al sacro anello – guarda che non si usa più! – ma chiedo benedizione a lui cui si è un poco spento quel sorriso degli inizi che, ho scritto m’era piaciuto tanto. 28 gennaio 2023
Cose tante in questo volger dell’anno. Tra luci nevrotiche, ma non solo per vero, la morte di un ex-papa: della cui grandezza ho scritto al tempo della sua rinuncia. Per cui, avverto, quel che seguirà non vorrà diminuire, ma semmai più sottolineare lo specifico che è stata la sua presenza nella Chiesa. Se fate notare a qualcuno il bellissimo tempo uggioso, in cui nebbia e pioviggine hanno segnato alcune poche giornate, vi vedrete guardati male: gli amanti del sole anche se pallido, loro lo preferiscono comunque; a scapito di quel gelo che ristorerebbe terreni e corpi, e che manca a quest’inverno caldo oltre ogni misura di benessere. Anche se – il rovescio della medaglia – ci si sta augurando che continui a beneficio delle bollette del gas: per ricordare che di ogni cosa le scuole di pensiero sono sempre almeno due, se non quattro. Tante cose: per esempio scoprire che Benedetto ha avuto una sua corrispondenza con quell’odi-freddi cui io debbo una antipatia viscerale, da quando l’ho scoperto ateo professo di basso bordo, oltre che anticlericale da quando ha visto difficoltosa la strada a diventar papa e si è dimesso da chierichetto. (Ricompongo suoi irridenti appunti: ma solo per rammentare a quelli che rinfacciavano a Bergoglio la sua corrispondenza con Scalfari, che le intese con i “nemici” non sono accettabili per qualcuno e non per altri: e almeno queste son fatte da eminenti ecclesiastici. A differenza, ma lo devo scrivere?, di altri ecclesiastici che le loro intese le hanno con chi commercia sugli scandali!). Cose tante: anche di segretari beneficiati dell’episcopato (manco fosse una medaglia e non la successione apostolica!) e poi mostrano chiaramente di non esserne all’altezza, nonostante si vestano ancora oggi con pizzi vari. Chi? l’uno che a funerali non avvenuti del suo ex-capo lancia una coltellata a papa Francesco per la risoluzione che finalmente richiama all’unità della lex orandi che segna la lex credendi: che altro può fare un papa che si accorge di chiare deviazioni, se non richiamare che si crede come si prega? E lo dice in linguaggio ecclesialese, ma sarebbe più chiaro anche per il tedesco se avesse scritto: non è questione di latino sì o di latino no, il fatto è che voi non accettate il Concilio e dunque il sentire della Chiesa di Cristo. L’uno oggi a richiamare quell’altro: che invece se l’è presa con Benedetto il giorno delle sue dimissioni: dicendo che il suo Woytila non sarebbe mai sceso dalla croce: con quale finezza, l’uno e l’altro, ti chiedi; non hanno imparato dalla vicinanza a due Grandi? E sono vescovi, anzi arcivescovo uno e cardinale l’altro: e poi non sbotti in un ma che Chiesa è? E tuttavia starci dentro perché la si ama nelle sue pochezze, sapendo comunque la ricchezza che ti dà: in libertà – molto più di quella che il mondo pensa; e in verità – sull’essenziale che tocca alla vita. Farsi domande inutili è fondamentale: ad esempio sulle teorie dei quanti e sull’esistenza di Dio. Ma anche sulle proprie capacità di sopportazione del difficile che gli altri si inventano? perché no? Basta solo alla fine avvertirne il limite e saperci sorridere sopra. 5 gennaio 2023
E per non farci mancare nulla: pubblicità televisiva, le foto accostate della suora canterina, prima e dopo, con la scritta: mi sono potuta truccare. Il mio gusto estetico dice: molto meglio prima, e non è deformazione professionale.
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gufare
Vive la maggior parte del tempo nel nido, ha cupi versi monosillabici, abita la notte. Dalla tradizione indiana a quella aborigena, dai miti classici di Grecia e di Roma alle teorie rinascimentali, il gufo è portatore di morte. Non proprio per tutti i popoli: in Siberia, forse perché già l’habitat è immagine di vuoto, lo si descrive come uno spirito benevolo. E per dirla tutta (ma non è tutto), i nativi d’America oscillano tra il vederlo come colui che custodisce la saggezza e lo scheletro della morte (forse la morte è vista come narratrice di salvezza?). Nella letteratura fiabesca il gufo è rappresentato come un animale saggio ed erudito: dotato di chiaroveggenza. Ma per tanti porta scalogna. E infatti gufare è tra i verbi più usati dalle tifoserie che si contrappongono. E fin lì uno dice affari loro, soprattutto se non ha l’animo del tifoso sfegatato. Ma quando gufare diventa il quotidiano? Anzi, quando è servito, come è servito, da quotidiani o da trasmissioni televisive, che vivono solamente di opposizione, comunque e a prescindere? Lì a dire che tutto andrà storto; e dirlo con il sussiego di chi crede di sapere di più e meglio. Sull’Expo chi non ricorda quelli che (stendetevi i nomi sulla lavagna mentale, e disertateli): non si sarebbe fatta, o solo a metà, e poi chi sa quanti intrighi di mafia dietro, io non ci andrò, e non toccheranno i numeri che prevedono. E invece, eccolo lo spazio elegante, ben servito, tanto bello da far sopportare ore di coda, festosamente, per entrare nei padiglioni: perché i numeri, ad oggi, sono addirittura al di là delle previsioni. Per non dire delle gufate sul nuovo ospedale di Bergamo, che è lì bello funzionale e ammirato internazionalmente. Chi sa se sentono lo smacco, se stanno rosicando, oppure come gufi che passano la vita rinserrati nel proprio nido, non riescono neppure ad accettare l’evidenza. Così in politica. Da chi non ha fatto nulla pur avendone il potere, le peggiori gufate: queste invasioni che ci sommergeranno! Dimenticando (ma per la verità si dimentica ciò che si sa ma abbiamo politici che non sanno, e si vantano pure di non sapere quel poco di storia patria) dunque dimenticando che il popolo italiano è forse quello più imbastardito di tutti, perché più di tutti invaso da orde del nord e del sud del mondo: e da lì, dall’essere stati imbarbariti, non è forse venuto l’essere un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori e trasmigratori? Possibile che non ci si veda mai nella parte migliore che siamo? Ma si gufa anche dentro la Chiesa. Si gufa contro il Sinodo prossimo, si gufa contro l’enciclica papale: si gufa da chi non accetta che altri possano condurre meglio, e innanzi, e fuori. Portare scalogna nella Chiesa è rifiutarsi alla grazia dell’oggi, alla vocazione dell’incarnazione. È vivere annidati, che è l’opposto del cammino che il discepolato richiede. Che non è qualità di chi gufa: essendo solo mosso da sé, da invidia, e dalla pochezza di chi non sostiene la diversità. Nel nostro quotidiano serpeggia il pessimismo: non possono essere i gufi gli angeli del nostro tempo. I nostri simboli. Di ben altre ali il mondo ha bisogno: e di ben altri occhi che sostengano il sole.
leggete qui
Leggete qui. Inutile che in clima ferragostano, nell’attesa di un buon temporale che si protragga per qualche giorno, mi sforzi di dire con altra prosa quanto ha pensato per me (e spero per voi) il direttore del giornale L’Avvenire. Un giornale di parte, dirà qualcuno. Bisognerebbe però stabilire una volta per tutte che i salvini stanno dall’altra parte. E trattarli come tali rispetto al Vangelo.
Il buon Salvini e il suo sosia-di Marco Tarquinio, 13 agosto 2015 - Qui registriamo due notizie, una bella e una brutta. E i lettori ci perdoneranno questa amara non-barzelletta. Prima la notizia bella. Al culmine di un agosto insonne per la preoccupazione circa la sorte degli italiani in difficoltà economiche e per gli anziani soli, il segretario della Lega Nord Matteo Salvini ha deciso di dedicarsi alle mense per i poveri e alla distribuzione di pacchi viveri e di vestiario attraverso le "reti" di persone costruite ogni giorno dalla Caritas e dal volontariato cattolico. Naturalmente Salvini sta agendo rigorosamente in incognito, come si addice a un politico che non cerca notorietà a buon mercato e rifugge dal battutismo. E questa umile discrezione fa sorvolare sul fatto che il gran capo leghista non voglia neanche avvicinarsi a persone povere che non abbiano almeno due nonni su quattro di origine celtica. E ora la notizia brutta. Un petulante e iroso sosidel segretario leghista, ha preso subito il posto di Salvini e, prontamente affiancato da altri esternatori politici, ha deciso di regolare definitivamente i conti coi poaréti foresti (come il vescovo di Vittorio Veneto, Corrado Pizziolo, chiama i richiedenti asilo d’Africa e d’Asia, accomunandoli nella stessa predilezione cristiana ai poaréti nostrani). Ha preso di mira loro e, ovviamente, i pastori di una Chiesa che si preoccupa di accogliere e sostenere chi è nella debolezza e nel bisogno, dando una mano, anzi due, allo Stato che in tanti suoi servitori e, grazie a Dio, anche in alcuni lucidi esponenti politici di diverso orientamento mette a sua volta in campo un po’ di saggia visione del futuro e una dedizione ammirevole. Una Chiesa che però – il sosia di Salvini ne ha trovato le prove in un paio di affreschi e una dispensa di storia a puntate – venne fondata da pericolosi migranti dal Vicino Oriente e che da duemila anni si ostina a predicare e a cercare di vivere il Vangelo e a proporre la via della fraternità e delle Beatitudini a tutti, ricchi o poveri che siano, qualunque storia, lignaggio e – ohibò – color di pelle abbiano. Ce l’ha in particolare, il sosia, con il segretario generale della Cei, il vescovo Galantino. E conduce, sempre il sosia, la sua polemica con la stessa volgarità che mesi fa, prima del generoso e segreto cambiamento agostano, valse su queste colonne al vero Salvini l’appellativo di «parolaio verde». Allora, l’originale capo leghista aveva preso a dare lezione ai vescovi e persino al Papa. E proprio sui poveri. Quelli di cui ora invece il buon Salvini si occupa durante le sue ferie di politico, in segreto, fianco a fianco coi preti e i laici "cattocomunisti" (come li chiamava e come non li chiama più: vincenziani, santegidini, ciellini, neocatecumenali, msacchini, scout...) che chiacchierano poco e nulla, ma fanno molto. Qualcuno a questo punto avrà magari sorriso, sia pure senza allegria. Queste notizie sono in realtà una sola: c’è chi blatera e insulta per pessima politichetta e c’è chi si spende. E quelli che niente di serio fanno (e cercano per di più di avvelenare il cuore degli italiani) se la prendono smodatamente e odiosamente con coloro che invece fanno la cosa giusta e con chi, come i vescovi, la nostra bella e solidale gente motiva e difende. Si può rispondere solo coi fatti, stando con più gioia accanto ai poveri. Che non hanno quasi mai il passaporto in regola e sono tutti uguali e tutti speciali. Perciò non si possono usare, soprattutto non gli uni contro gli altri. Chi ci prova – che creda o no in Dio, che riesca o meno a tacitare la coscienza – presto o tardi ne dovrà rendere conto.
retropensieri
Una bella estate: calda come si deve per la stagione che è; asciutta come si deve per la qualità dell’uva; e, come si deve, non solo metaforizzata da rotonde sul mare. E infatti qualcuno non è andato in ferie del tutto: ma di fronte a una immigrazione che ha sempre più i connotati di un esodo epocale, si è schierato. In modo egregio il vescovo Galantino, che ha puntato il dito su una classe politica fatta di nani e ballerine, per chiosare l’harem da lui citato con parole del tempo di Craxi: per ribadire che si viene da lontano. Ma si è schierato contro - nei soliti modi volgari che conosciamo, e che noi disprezziamo, e invece molti apprezzano, a prezzo di un selfie generosamente concesso - l’attuale capo della lega. Che, riferendosi al vescovo lo definisce comunista (ma che gli han fatto i comunisti a questi lombardi per averne questa ossessione fuori tempo? se lo dovrebbero chiedere, battendosi il petto, i preti lombardi del dopoguerra). Dice comunista, ma terrone è la parola del retropensiero del capo leghista - statene certi, non abbiate dubbi: un dna dell’orticello di cui soffre il nostro, e che si sgomitola quando non si hanno altri argomenti, se non quelli appunto della paura del vicino (ma si va in Corea, e si andrà in Nigeria, e la Russia di Putin resta una meta: in Europa ci va un po’ troppo meno, là dove, pur percependo lauto stipendio, dovrebbe lavorare per fronteggiare il momento difficile di questa fetta del mondo). Leghista (lui servito da quel del-debbio che infiamma le cucine all’ora di cena) che declama libera chiesa in libero stato: una citazione presa da qualche dispensa di storia nei corsi accelerati per chi non ha amato gli studi in gioventù. E che inevitabilmente si rivolta contro chi vorrebbe chiudere la bocca alla libera chiesa quando al libero stato chiede che sia retto da gente che si dia al bene comune: e non a sé (ma inutilmente glielo spieghereste: sta su un’altra onda mentale. e se dunque l'avete sentito dire "i vescovi fanno politica!" in toni scandalistici, occorrerà pure ridere, per non piangere, di questa loro deficienza, pur rinunciando a insegnargli che ogni cosa tocchi l'uomo che vive nella polis spetta alla responsabilità di ogni cristiano). E comunque: l’essere perseguitati per l’annuncio del vangelo sine glossa è un punto d’onore che viene dalle beatitudini. Sine glossa: senza aggiustamenti, senza apparentamenti, senza compromessi; e dunque anche la chiesa che sta in Italia avverta se stessa di uscir fuori da quei privilegi, dalla richiesta di quei favori che finiscono per impedirle la libertà di essere se stessa. Forse, è l’ora di mettere sul tappeto il concordato che ha superato i trent’anni, un lasso di tempo sufficiente a rendersi conto che non siamo più gli stessi: né noi credenti che ci sforziamo per il sine glossa evangelico – pur restando consapevolmente peccatori; né gli altri, che inconsapevolmente sono pure essi peccatori. Di retro pensieri soffriamo tutti, su qualsiasi sponda del fiume della vita si stia: accorgersene, e farne accorgere, è il minimo della rincorsa alle tre parole di umanesimo senza delle quali non si dà Vangelo: e nessuno sussulti solo perché vengono dalla rivoluzione francese; e nessuno sia scettico solo perché da subito sono state oltraggiate: appunto, liberté-égalité-fraternité. La rinfrescata di questi giorni, con la giusta misura di pioggia che renderà ancor più prezioso il vino che si berrà, raffreddi i neuroni degli avversari del Vangelo, e dunque avversari dell’uomo, in qualsiasi latitudine: dei nostri prossimi – quelli citati ma anche tutti quelli non citati, abbronzati puliti e pettinati - e di chi, più lontano, emana la bruttezza del suo vivere devastando il complesso cristiano di Mar Elian, costruito 1.500 anni fa, in odio a Cristo: gli uni e gli altri da forzare allo stesso modo alla misericordia di Dio.
l'italiano dimenticato
D’estate, si sa, i ritmi si rallentano: per necessità biologica, e per necessità spirituale. Trarsi fuori dall’usato quotidiano, dalle premure che pur fruttuose, finirebbero per soffocare. E dunque c’è chi naviga dalle Alpi al Meridione, passando davanti ai cancelli chiusi di Pompei (per un solo giorno? ma era il loro giorno!); chi raggiunge un ombrellone, i piedi nella sabbia, e le orecchie tappate in difesa dal frastuono dei vicini; e chi invece resta nell’ombra soffusa della propria casa, a godersi la calura che sta fuori. Tutti dotati di libri: quelli consigliati da chi ne sa, perché leggere è la vera vacanza. Credeteci. Non vi consiglierò i miei sette libri del mese di agosto: non voglio influenzare i gusti altrui, tanto che quando qualcuno mi chiede cosa sto leggendo, nicchio, divago, butto lì: ciascuno ha le sue letture, che scopre nei comparti e sui risvolti, nel viaggio settimanale in libreria. Una specie di gelosia del conoscere. Dunque non metto qui titoli: ma questo articolo che potrebbe essere la premessa - perché si legge al meglio se al meglio so la lingua; e se mi lascio affascinare dal segno linguistico che mi accomuna a chi legge altro. Perché la lingua è cultura, cultura è intelligenza, intelligenza è condivisione. L’italiano dimenticato come lingua, è l’italiano dimenticato come individuo e come popolo, come cultura e dunque come intelligenza. Per questo stiamo dove siamo: incapaci di una lingua comune, e dunque di un bene comune, non condividiamo: né tra noi, né tra quelli che bussano alle coste del mare. Eppure la condivisione è il segreto della pace. Spero troviate gustosa questa pagina, e piacevolmente correttiva, nel caso: di grammatica, di sintassi. E di umanità.
Parole sbagliate, verbi usati male. La lingua si disimpara a partire dalle medie e la tendenza verso il basso prosegue fino all’università. Tutti gli errori (anche) degli adulti. Qualche settimana fa il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa ha annunciato di voler avviare, per l’anno prossimo, una serie di corsi di grammatica italiana per i propri studenti. Come mai? Perché la competenza della lingua, indispensabile alle professioni forensi, va calando in modo vertiginoso. È noto, secondo i famosi (o famigerati) rilevamenti Invalsi, che la gran parte degli studenti che escono dalle scuole superiori non sa scrivere, manca dei fondamenti testuali, grammaticali, lessicali, sintattici: dopo le scuole medie, si disimpara l’italiano, e la tendenza verso il basso continua negli anni dell’università e poi in età adulta. Un fenomeno di regressione, il cui primato europeo spetta all’Italia, come ha dimostrato un anno fa anche la ricerca internazionale Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competencies). Dunque, c’è poco da meravigliarsi se l’editoria si attrezza per rimediare all’analfabetismo di ritorno che concerne il leggere e lo scrivere, oltre al far di conto. >>> In questa linea si inserisce l’esigenza di riproporre un vecchio manuale voluto nel 1954 da Adriano Olivetti per le dattilografe, Piccola guida di ortografia (pubblicato ora da Apice libri), a cura di due grandi studiosi come Bruno Migliorini e Gianfranco Folena. E, dopo l’uscita del pamphlet semiserio di Andrea De Benedetti La situazione è grammatica (Einaudi), il nuovo saggio del linguista Vittorio Coletti, Grammatica dell’italiano adulto (Il Mulino). Non un vero e proprio prontuario, ma un libro più articolato che segnala e affronta, analizzandone le ragioni anche storiche, i dubbi e le tante eccezioni che mettono in difficoltà parlanti e scriventi. Non solo l’eterna questione del congiuntivo, che sembra in via di estinzione da quando è nato, ma ben altro. La pronuncia e la grafia: perché scuola e non squola , le doppie z , la d eufonica («ed ecco»), gli accenti e gli apostrofi ( perché e qual è ), la punteggiatura, vera piaga scolastica... I plurali dei nomi composti (lo sapete il plurale di girocollo e di pescespada ?) e dei tanti forestierismi; il mistero dei doppi plurali ( braccia , bracci ) e quello dei plurali dei nomi in -io (principio ); le sottigliezze che fanno litigare su ciliegie o ciliege (una regoletta malefica vuole la i per i sostantivi che al singolare terminano in -cia e -gia ). >>> Poi ancora il genere dei pronomi personali: gli / le la cui distinzione va rispettata almeno nello scritto; la spinosa diatriba sul femminile nelle professioni, per esempio presidente e vigile , che dovrebbero ormai valere per i due generi, e delle forme non ancora accettate da tutti, come sindaca e ministra. Le sfumature di significato che riguardano la posizione di certi aggettivi (non è la stessa cosa dire «un pover’uomo» e «un uomo povero», ma forse neanche «un amico caro» e «un caro amico»); il codesto in disarmo, sostituito da quello ; le ambiguità da evitarsi («il fratello dell’amico di Carlo che è arrivato ieri»); l’invasività del pronome ci ; ilpiuttosto che usato a sproposito in luogo di oppure ; così comeassolutamente, diventato un avverbio passe-partout (positivo o negativo). Il grande capitolo dei verbi, compresi i dubbi sugli ausiliari con il verbo servile («è dovuto partire» e non «ha dovuto partire»). E il lessico, con l’eccesso di usi stranieri: delle 305 parole nuove entrate nell’uso tra il 2000 e il 2013, ben 124 sono puri anglismi, spesso sostituibili da forme italiane perfettamente omologhe ( Jobs Act , spending review ...). >>> Ma quel che conta più delle regole e delle eccezioni, si sa, è la sensibilità verso i registri da utilizzare in rapporto alla situazione testuale: in certe condizioni l’uso del congiuntivo è d’obbligo, in altre si può soprassedere. Evviva dunque le grammatiche come quella di Coletti (leggibile da tutti e non prescrittiva), anche se la responsabilità maggiore per rimediare alle lacune linguistiche, che sono poi lacune cognitive e sociali, dovrebbe spettare alla scuola e all’università. Le riforme finora hanno voluto guardare altrove, inglese e internet su tutto, raramente affrontando le carenze del parlato e della scritto nella lingua madre. Ma il paradosso è che la vera emergenza è la lingua italiana: sarebbe utile affiancare la storia della letteratura nei licei con lo studio continuo della lingua; sarebbe indispensabile una formazione ad hoc per gli insegnanti, eccetera. Perché la situazione è davvero grammatica, e c’è poco da ridere. / di Paolo Di Stefano /
nostalgici e saccenti
Due categorie che oggi insegnano alla Chiesa come deve essere. Prendendosela con il suo papa che non è quello che si vorrebbe per sé. Per le proprie sicurezze rinchiuse. Nostalgici e saccenti dentro e fuori la Chiesa. E lo fanno usando generi letterari diversi, a secondo che scrivano o parlino su media laicisti o cattolici: dal sarcastico all’arguto insolente, dal beffardo al sottilmente ironico. Un papa che va dai valdesi? Ma quando mai! Il gesuita divenuto papa che chiede perdono per le nefandezze della cosiddetta conquista dell’America, senza sottolineare che furono i suoi confratelli di allora ad essere espulsi per aver difeso gli indigeni? E dai! E un manifesto - perché tale resterà, che gli piaccia o no,come un’enciclica detta invece che scritta – che chiede finalmente il cambiamento dello status quo economico, per cui i poveri non debbano restare poveri? Ma come si permette di uscire dal suo campo, inteso come il recinto di sacrestia? dicono i professori di democrazia, quelli con la puzza sotto il naso, magari storpiando i fatti per non darsi il piccone sull’alluce. Che siano preti e affini che si rifiutino a questa nuova evangelizzazione, che rend vivo e vivibile finalmente il Vangelo dovrebbe preoccupare di più, molto di più, i vescovi: non tutti, ma quelli che non s’avvedono di quel cambiamento culturale la cui cifra è quella di restare fermi; e chiedersi perché all’interno delle loro chiese ci stanno più di alcuni che si stanno rifiutando di vedere questo cambiamento: di linguaggi e di gesti che finalmente svelano l’essenzialità evangelica. Dicano: "Francesco ha completamente archiviato il Novecento, non si preoccupa di essere accusato di comunismo - visto che il comunismo non appartiene più alla cronaca, ma è archiviato nella Storia - ma si preoccupa di parlare a nome di coloro che non hanno voce: poveri, diseredati, vecchi e bambini. Ha capito che non ci sono più partiti politici o movimenti che se ne occupano e allora viene da chiedersi: ma chi dovrebbe farsene carico se non chi deve annunciare il Vangelo?". E gli stereotipi papali che cosiddetti professori continuano a perseguire, per negarsi all’inseguimento delle domande che potrebbero scomporre i loro gusci anticlericali? Certo non l’hanno letta - non ne sono tenuti (ma i cattolici nostalgici, quelli sì, avrebbero dovuto meditarla): al numero 25 dell’Evangelii Gaudium si parla della conversione del papato, accanto a tutte le altre forme di conversione. E si rifà a quanto Gesù ha detto a Pietro: una volta che ti sarei convertito, allora conferma i tuoi fratelli nella fede. Allora! E dunque quello che viene preso per un vezzo (vi prego: pregate per me) non è forse un riconoscimento del peccato che abita ciascuno di noi, e che questo papa ci ricorda continuamente offrendo la propria fragilità, perché nessuno dimentichi la propria? Come dire la lontananza dal Vangelo a quei fratelli della fede, che non nella debolezza, di cui parla Paolo, ma nella potenza credono di avere salvezza? E che ne sanno dei paradossi della vita, coloro che si sono rassegnati, nella polvere dei loro studi, a convincersi che il mondo è così, che ricchi e poveri sono la griglia del vissuto umano, e che non esiste nessuna isola dell’utopia? Due gli argini, simili seppure apparentemente contrapposti, su cui siedono rannicchiati nostalgici e saccenti: ma il fiume della vita evangelica scorre, portando sempre acqua nuova. Portando energia a chi non teme di immergere i piedi in questo viaggio che viene da lontano, e conduce lontano.