Una bella estate: calda come si deve per la stagione che è; asciutta come si deve per la qualità dell’uva; e, come si deve, non solo metaforizzata da rotonde sul mare. E infatti qualcuno non è andato in ferie del tutto: ma di fronte a una immigrazione che ha sempre più i connotati di un esodo epocale, si è schierato. In modo egregio il vescovo Galantino, che ha puntato il dito su una classe politica fatta di nani e ballerine, per chiosare l’harem da lui citato con parole del tempo di Craxi: per ribadire che si viene da lontano. Ma si è schierato contro – nei soliti modi volgari che conosciamo, e che noi disprezziamo, e invece molti apprezzano, a prezzo di un selfie generosamente concesso – l’attuale capo della lega. Che, riferendosi al vescovo lo definisce comunista (ma che gli han fatto i comunisti a questi lombardi per averne questa ossessione fuori tempo? se lo dovrebbero chiedere, battendosi il petto, i preti lombardi del dopoguerra). Dice comunista, ma terrone è la parola del retropensiero del capo leghista – statene certi, non abbiate dubbi: un dna dell’orticello di cui soffre il nostro, e che si sgomitola quando non si hanno altri argomenti, se non quelli appunto della paura del vicino (ma si va in Corea, e si andrà in Nigeria, e la Russia di Putin resta una meta: in Europa ci va un po’ troppo meno, là dove, pur percependo lauto stipendio, dovrebbe lavorare per fronteggiare il momento difficile di questa fetta del mondo). Leghista (lui servito da quel del-debbio che infiamma le cucine all’ora di cena) che declama libera chiesa in libero stato: una citazione presa da qualche dispensa di storia nei corsi accelerati per chi non ha amato gli studi in gioventù. E che inevitabilmente si rivolta contro chi vorrebbe chiudere la bocca alla libera chiesa quando al libero stato chiede che sia retto da gente che si dia al bene comune: e non a sé (ma inutilmente glielo spieghereste: sta su un’altra onda mentale. e se dunque l’avete sentito dire “i vescovi fanno politica!” in toni scandalistici, occorrerà pure ridere, per non piangere, di questa loro deficienza, pur rinunciando a insegnargli che ogni cosa tocchi l’uomo che vive nella polis spetta alla responsabilità di ogni cristiano). E comunque: l’essere perseguitati per l’annuncio del vangelo sine glossa è un punto d’onore che viene dalle beatitudini. Sine glossa: senza aggiustamenti, senza apparentamenti, senza compromessi; e dunque anche la chiesa che sta in Italia avverta se stessa di uscir fuori da quei privilegi, dalla richiesta di quei favori che finiscono per impedirle la libertà di essere se stessa. Forse, è l’ora di mettere sul tappeto il concordato che ha superato i trent’anni, un lasso di tempo sufficiente a rendersi conto che non siamo più gli stessi: né noi credenti che ci sforziamo per il sine glossa evangelico – pur restando consapevolmente peccatori; né gli altri, che inconsapevolmente sono pure essi peccatori. Di retro pensieri soffriamo tutti, su qualsiasi sponda del fiume della vita si stia: accorgersene, e farne accorgere, è il minimo della rincorsa alle tre parole di umanesimo senza delle quali non si dà Vangelo: e nessuno sussulti solo perché vengono dalla rivoluzione francese; e nessuno sia scettico solo perché da subito sono state oltraggiate: appunto, liberté-égalité-fraternité. La rinfrescata di questi giorni, con la giusta misura di pioggia che renderà ancor più prezioso il vino che si berrà, raffreddi i neuroni degli avversari del Vangelo, e dunque avversari dell’uomo, in qualsiasi latitudine: dei nostri prossimi – quelli citati ma anche tutti quelli non citati, abbronzati puliti e pettinati – e di chi, più lontano, emana la bruttezza del suo vivere devastando il complesso cristiano di Mar Elian, costruito 1.500 anni fa, in odio a Cristo: gli uni e gli altri da forzare allo stesso modo alla misericordia di Dio.