Vive la maggior parte del tempo nel nido, ha cupi versi monosillabici, abita la notte. Dalla tradizione indiana a quella aborigena, dai miti classici di Grecia e di Roma alle teorie rinascimentali, il gufo è portatore di morte. Non proprio per tutti i popoli: in Siberia, forse perché già l’habitat è immagine di vuoto, lo si descrive come uno spirito benevolo. E per dirla tutta (ma non è tutto), i nativi d’America oscillano tra il vederlo come colui che custodisce la saggezza e lo scheletro della morte (forse la morte è vista come narratrice di salvezza?). Nella letteratura fiabesca il gufo è rappresentato come un animale saggio ed erudito: dotato di chiaroveggenza. Ma per tanti porta scalogna. E infatti gufare è tra i verbi più usati dalle tifoserie che si contrappongono. E fin lì uno dice affari loro, soprattutto se non ha l’animo del tifoso sfegatato. Ma quando gufare diventa il quotidiano? Anzi, quando è servito, come è servito, da quotidiani o da trasmissioni televisive, che vivono solamente di opposizione, comunque e a prescindere? Lì a dire che tutto andrà storto; e dirlo con il sussiego di chi crede di sapere di più e meglio. Sull’Expo chi non ricorda quelli che (stendetevi i nomi sulla lavagna mentale, e disertateli): non si sarebbe fatta, o solo a metà, e poi chi sa quanti intrighi di mafia dietro, io non ci andrò, e non toccheranno i numeri che prevedono. E invece, eccolo lo spazio elegante, ben servito, tanto bello da far sopportare ore di coda, festosamente, per entrare nei padiglioni: perché i numeri, ad oggi, sono addirittura al di là delle previsioni. Per non dire delle gufate sul nuovo ospedale di Bergamo, che è lì bello funzionale e ammirato internazionalmente. Chi sa se sentono lo smacco, se stanno rosicando, oppure come gufi che passano la vita rinserrati nel proprio nido, non riescono neppure ad accettare l’evidenza. Così in politica. Da chi non ha fatto nulla pur avendone il potere, le peggiori gufate: queste invasioni che ci sommergeranno! Dimenticando (ma per la verità si dimentica ciò che si sa ma abbiamo politici che non sanno, e si vantano pure di non sapere quel poco di storia patria) dunque dimenticando che il popolo italiano è forse quello più imbastardito di tutti, perché più di tutti invaso da orde del nord e del sud del mondo: e da lì, dall’essere stati imbarbariti, non è forse venuto l’essere un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori e trasmigratori? Possibile che non ci si veda mai nella parte migliore che siamo? Ma si gufa anche dentro la Chiesa. Si gufa contro il Sinodo prossimo, si gufa contro l’enciclica papale: si gufa da chi non accetta che altri possano condurre meglio, e innanzi, e fuori. Portare scalogna nella Chiesa è rifiutarsi alla grazia dell’oggi, alla vocazione dell’incarnazione. È vivere annidati, che è l’opposto del cammino che il discepolato richiede. Che non è qualità di chi gufa: essendo solo mosso da sé, da invidia, e dalla pochezza di chi non sostiene la diversità. Nel nostro quotidiano serpeggia il pessimismo: non possono essere i gufi gli angeli del nostro tempo. I nostri simboli. Di ben altre ali il mondo ha bisogno: e di ben altri occhi che sostengano il sole.