Nell’indice di argomenti che mi girano per la testa, a seconda dei giorni delle letture e soprattutto degli incontri, ci sta questo e altro: vogliono certi cattolici uno stato confessionale, né più né meno di uno sharia islamica? e dunque quello che dicono di voler combattere? Con tutti i corollari su cui fanno silenzio, approvando: una critica serrata – al richiamo all’ordine di Francesco papa sulle cosiddette messe in latino, che di fatto sono messe anticonciliari; una radiomaria polacca che incita all’antisemitismo, e fa da bordone al nazionalismo di marca neofascista dei loro governanti; le amicizie di certi politici italiani, da quei cattolici votati a piene mani (si macchiassero di nero in certe celebrazioni religiose, le chiese saprebbero di che pasta è fatta l’inno di lode al Creatore!) con le nefandezze di Putin e/o di Trump; insomma, non è solo (ahimè) la comunione da negare, che sembra essere l’argomento principe del vescovado statunitense, a dire in quale dirupo stiamo sprofondando. E poi temete un bello scisma? Lo scongiura papa Francesco, e certamente alla fin fine ha ragione lui, e non io. Però, della serie che nella chiesa del Signore è accettabile credenti diversamente cattolici, dico sommessamente e rispettosamente al papa, fino a che punto? Lo spirito di appartenenza, il rispetto, la lealtà e, perché no?, il senso del dovere, se non li abita, perché coerentemente non si decidono per altrove? Per ignoranza. Questo mi dice un amico di vecchia data, che sta sulla soglia: ancora eucaristico, ma tentato di andarsene da un apparato che contiene tutto e il contrario di tutto. Che è di chi prega secondo quanto crede senza glosse tradizionaliste, e di chi prega secondo quanto gli piace della religione. Ignoranza dei termini. Ignoranza del Vangelo. Stiamo lavorando male, mi son permesso di dire in una recente assemblea con il Vescovo. Ottenendo una risposta di assordante silenzio. Un gregge diminuito dal Covid, o dai decenni in cui si son chiuse le finestre al Vento del Vaticano secondo? Chiuse allo Spirito che chiamava altrove rispetto a un rassicurante sé ecclesiastico. Generare aspettative è generare illusioni: così si sono difesi i rinserrati, non accorgendosi che non più l’una fuori, ma le novantanove fuori con l’una sola dentro a soffrire di un vuoto ecclesiale. Una Chiesa imbellettata, non potata , se non con uno spulcio superficiale. Così che Dio si è assentato dalla vita dei novantanove: non osteggiato, sparito. E dunque ancora battesimi e prime comunioni e cresime come atti socializzanti, che non producono appartenenza di fede, la compagnia del Signore Gesù. E certo: dico novantanove e so del piccolo resto che non è solo di uno. Per grazia di Dio. Ma sostenere la battaglia dei mille contro i diecimila, concorderete che non viene bene. Pure se fatto con i piedi, una volta, il vino era buono. Vero. Ma i tempi che viviamo non possono solo essere smartphone, facebook e twitter: anzi lo streaming ha prodotto un disastro in tempi di covid, convincendo i molti che una messa lì è la Messa (e questo solo perché si è voluti essere presenti ad ogni costo, come se gli atti religiosi fossero irrinunciabili per la fede: un errore, scusabile, ma accorgersi finalmente che è stato un grande sbaglio!). La Chiesa è compagnia nel prendersi cura non solo della carità delle mense, ma dell’amore che incammina gagliardi e deboli sulle strade della vita. La buona sinodalità – è questo il tempo – è assenza  di paura di un’analisi dura del dove stiamo sbagliando, per restituire in grazia il molto, o il poco, che si ascolta.