Quelle torri incendiate l’11 settembre di ormai vent’anni fa. Eppure sembra ieri, come molte delle cose che ti si piantano dentro, rispetto ad altre che si perdono ma non del tutto: a volte basta un inciampo buono o meno buono, e riemergono. Ma quelle che ti fanno ricordare il dove il quando e il con chi rimangono per sempre, senilità futura permettendo il per sempre (che poi, chissà, se pure spersi, non si sarà accompagnati da queste trafitture indelebili!). Dunque quell’11 ero sulla bellissima spiaggia di Biarritz, sotto un sole del tutto ancora estivo, con l’Oceano Atlantico a separarci dall’altro mondo del pianeta. E proprio di fronte a quelle torri, pur con qualche spanna di distanza che certo impediva di vedere. E tuttavia davanti. Primo pomeriggio, in quasi consonanza con quella penetrazione come di coltello nel burro. Non vedere ma sapere, quasi in anteprima, rispetto alla diffusione mondiale: a New York c’è la figlia di una coppia viaggiante con noi  (non l’ho detto: parrocchiani di Santa Lucia nel viaggio – non pellegrinaggio, anche se sempre una tappa è anche religiosa, ma viaggio: di cultura di convivenza di contemplazione dell’ altro che il mondo è – una proposta ogni due anni del vissuto comunitario). Una telefonata, e lo sbigottimento prende tutto il gruppo, e si traduce in una corsa al pullman per seguire sulla televisione di bordo. I sentimenti di allora miei non saprei descriverli al meglio, se non per uno smarrimento dentro la bellezza, non più di un imprevisto dentro giorni di pace. E dall’altra parte, davanti a noi, fuoco e macerie, e morti, tanti. L’imprevisto della vita che ti coglie nel pieno di giorni che non immagini poter essere diversi da come li vivi. Il mistero della vita è questo? La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda, e come la si ricorda per raccontarla, ha scritto Garcia Màrquez. È per questo che quando si ricorda quell’avvenimento, non lo descrivo, come è, con terroristi fanatici che si buttano a morte, o con mandanti che festeggiano a spari di kalashnikov. È quella cosa che non ha scomposto la bellezza, data per me la dominante di quel momento. Quanto di tutto il resto della mia vita non è stato come lo racconto? a me stesso ancor prima che agli altri? quanto infioretto? ma quanto appesantiscono? Domande da ritiro spirituale, come no. Ma domande di vita. Da lì discendono giudizi e pregiudizi che segnano l’esistenza. Da lì nostalgie e desideri incolti. Da lì peccati e meraviglie. Chi prima chi dopo, gli riemergono cose che compongono un bilancio, quella somma algebrica che racconta i sì e i no, errori e centrature. Con l’avvertenza che ci si deve ripetere: non tutto è come lo si ricorda. E dunque assolvendosi o compiacendosi, sempre con riserva: è nel gran libro di Dio che sono scritte le cose come stanno, e non come si pensa che siano state. Che è stupendo se solo si pensa che persino ciò di cui adesso, nel ricordo, non ci si sente fieri, davanti a Dio è stata un’opzione lodevole. Perché la morale di Dio non coincide con quella delle Chiese di qualunque confessione. Il che lo si dovrebbe ricordare di più. E non per relativizzare le indicazioni ascetiche, ma per collocarle nell’Assoluto: il che fa loro perdere le penne inutili. 10 settembre ’21, anniversario della morte di mia mamma a cui non avrò mai dedicato a sufficienza la mia riconoscenza