Finalmente ho trovato la parola giusta. Quella che gironzola come un moscone fastidioso dentro la testa, ma che non imbocca mai il buco d’uscita. Quella che cerchi per ore, a volte per giorni. O per anni, per finalmente dare corpo a ciò che senti. Sai di averla immagazzinata nel tuo scomposto vagare per righe e pagine e volumi, ma non sai più dove, in quale cartella del tuo computer mentale. E poi eccola lì, anzi qui. Spuntare improvvisamente. Per renderti conto che è proprio lei quella che cercavi – una ossessione che l’ha fatta diventare persona tanto che appunto ora la stai indicando con un lei; e si va su Treccani per rinfrescarla. E così ri-sai: indica un fenomeno piuttosto raro, di ovuli fecondati che si sovrappongono, e che ai cinesi non andrebbero bene perché vogliono un figlio solo e non due o tre. Insomma, per i cinesi ma anche per la parola nel suo significato figurato, un superfluo, una aggiunta inutile, che talvolta rovina la vita (o l’estetica, come nel caso del campanile di Sant’Alessandro con quel di più, e in più tondo, che lo innalza quel tanto da essere il più alto della città, ma non il migliore, checché invidino i preti che vi ambiscono!). Una parola per dire la Chiesa oggi. Che negli ultimi decenni ha risposto al Concilio aggiungendo: come se impegnativi programmi e organigrammi diocesani nuovi potessero essere più evangelizzanti. Ho scritto qui recentemente che potare è il verbo giusto per questo tempo della Chiesa, chiamata in Sinodo da papa Francesco. Nonostante qualche pizzicotto qua e là tanto per tenerci svegli; e visto che l’indirizzo da lui dato a Firenze nell’ultimo convegno è stato fino ad ora snobbato a favore di quei cinque ambiti di Verona (che chi sa perché vogliono ancor far scuola, anche se si è ormai in tempi di sintesi e non di specializzazioni), ecco dai prossimi giorni mettersi in moto il fantasma di cui pare proprio che si tema: il Sinodo. E quel che sta avvenendo in Germania? mi sussurrava un vescovo romano qualche giorno fa capitato qui in collina, riferendosi alle problematicità che emergono in quel Sinodo. Paura che snellire rotondità prelatizie nuoccia; e che rendere più elastico il passo delle comunità, e più libera l’appartenenza evangelica dai gravami posti sulle spalle altrui (sempre le spalle altrui?!) riduca alla insignificanza. Dunque un Sinodo per potare. Nello stile del vignaiolo che certo fa “piangere” la vite, ma per darle più forza, sennò il vigore si disperde in virgulti che non arrivano a maturazione. Abbassando, come debbono temere quanti amano il vino, la sua gradazione. Me lo spiegava ieri sera chi ha cura del prezioso vigneto in cui si specchia la nostra abbazia: se resta a lungo senza essere potata, la vite addirittura inselvatichisce e produce solo pampini e uva selvatica. Quel che succede nella vita di chi si disperde sul tanto, sul superfluo: finisce per inaridirsi, per non essere frutto. Fare delle scelte, lasciar perdere quanto ha saputo valere per ieri ma che oggi non sa offrire più segni: potare dunque. Partendo da quella illusione che è la fede popolare. Ad esempio, si può vivere anche senza le bardate processioni del Corpus Domini. Lo si è cominciato in città, ed è durato cinque anni e poi i soloni dei piviali (e degli stendardi, oltretutto lasciati tristemente in chiesa per mancanza di portatori – mica si potevano caricare sui bimbi di prima comunione, comandati nelle loro tuniche bianche, già annoiati di loro, ma chiaramente senza spalle all’uso) i soliti soloni hanno riottenuto il ritorno al “come eravamo” a favore di quei mantellati delle Crociate (scherzo, ma non troppo) che non si sono più visti invitati a sfilare. Non è detto che non sia bella una vite inselvatichita: anzi, il tanto fogliame attira, ma sotto nulla. Saranno duecento, meno giovani e tuttavia forti – ci mancherebbe fossero da meno dei trecento di Sapri – a guardarsi finalmente senza le solite vie di fuga; e senza la fregola di concepire su un precedente concepimento: perché talvolta l’eccesso di vita produce asfissia sulla vita. Ammetteranno le selvatichezze delle loro chiese i vescovi radunati in Sinodo? ascolteranno attentamente i loro vignaioli, preti e laici, che vi passano la vita? e che sanno l’essenziale per soffrirne la mancanza? Sto facendo scorrere sul desktop le foto di un viaggio sulle Dolomiti: così solenni e maestose riprese a distanza; ma riprese da dentro, una pietraia inguardabile. Chi vede da lontano e chi da vicino, vedono la stessa bellezza della grazia di Dio nella Chiesa di Cristo?