Così come viene lamentato, finalmente non può restar dubbio a nessuno: il natale così come viene evocato non è il Natale dei cristiani: e ci si potrebbe fermare qui. È altro. Qualcuno sta facendo i conti: se il confinamento (alias lockdown) arriverà sotto l’Albero spenderemo 870 milioni in meno nelle bollicine, consumeremo 70 milioni di panettoni in meno, ci saranno 5 milioni di pranzi da veglione in meno. A conti fatti un natale austero provocherebbe una caduta di 25 miliardi nei nostri consumi. Piangono in tanti. Un natale povero. Di nuovi poveri?! – e però si dovrebbe dibattere di quale povertà si sta parlando, ma un’altra volta. E qualcuno, con chi piange, dovrebbe nel caso piangere? La salute intra-covid da accantonare? E il marasma delle relazioni da ricostruire, rimandato? Ci si era detto, agli inizi del morbo – quando improvvisamente ci si sentiva tutti buoni, tanto buoni, di un buono altro che a natale! – che potesse essere la volta buona. Di cambiare. Cambiare i modi, cambiare gli sguardi. Cambiarsi, e non solo di vestito ma di cuore, di intelligenza. Che il Mondo cambi, che la Chiesa cambi. Poi, non più all’inizio, quando la paura ha lasciato il posto alla insofferenza – e alla rabbia, ma è così penoso che è meglio scivolare via – si torna a desiderare la normalità: non del bene degli abbracci che ci mancano, ma del male dell’indifferenza che ammucchia lasciando soli. Non è stato, e non è facile: stare lontanamente insieme è complicato. Tornare a ragionare come comunità, e non più come individui è difficile. Occorre un vaccino contro l’ignoranza: e i beninformati assicurano che lo si sta sperimentando nei laboratori di babbo natale, naturalmente di quel natale lì, non quello dei cristiani. E, dicono i giornali, intanto le turbe psichiche aumentano. (Forse perché ci sono editori che si adeguano o fanno adeguare persino il papa?: si preannuncia un libro di Francesco cui è stato dato il titolo Ritorniamo a sognare_ ho da sempre, e l’ho già scritto, ripugnanza per i sogni che non siano del sonno, tanto benefici questi, quanto deleteri quelli a occhi aperti, perché illusori, perché devianti_ per questo ritengo, spero, che sia una forzatura editoriale quel titolo, non piacendomi che il papa usi termini già abusati da quel signor B che ha guastato la nazione con la sua tv dei sogni!). Occorre un piano per salvare il Natale, quello storico che fa memoria e quello escatologico che avverte del secondo ritorno del Signore. Potrebbe non essere complicato: basta vivere quel giorno lasciandosi afferrare dalla semplicità degli affetti possibili, e dei beni condivisi. Sapendo, dietro le mascherine prescritte, saper sorridere sulle pochezze umane, senza sprezzarne i protagonisti; e senza rinunciare al giudizio che costruisce, per quanto inviso da scribi e farisei della nostra contemporaneità. Il giudizio costruito, ad esempio, additando le paginate che oggi celebrano la morte di un divo del calcio: nulla toglie alla compassione per l’uomo criticare chi adombra la sregolatezza micidiale del protagonista, a favore di quella parabola che da soli pochi metri incrocia l’angolo impossibile per un goal che diventa così possibile; e costruisce indignandosi per lo scrittore – che pure ha fatto della sua vita una crociata contro la camorra, e pagando di persona – vederlo scrivere oggi un peana maradoniano senza citare i suoi connubi con la malavita: obnubilatio mentis? ecco quel che producono gli idoli persino sui migliori. Ma anche: è lecito per chi crede alla povertà di Betlemme saper pretendere che il francescano insignito or ora del cardinalato non si ammanti di porpora. Francesco, il nudo d’Assisi, rimanderebbe sicuro al suo vicino di posto, a quel Filippo Neri e al suo “no grazie, preferisco il Paradiso” quando gli si voleva offrire la porpora cardinalizia (che era poi un modo subdolo per allontanarlo da quella rivoluzione di povertà che aveva creato nella corrotta Roma papalina). Presumendo buone le ragioni per cui il papa ha pensato a lui – e che non siano di tipo mediatico, come qualche malevolo scrive e qualche invidioso raccoglie – suggerirei che quel frate si presentasse alla cerimonia di investitura (e già questi termini dovrebbero far arricciare tutti i peli) con il suo abito conventuale, e ricevesse solo lo zucchetto, fosse stato fatto nel frattempo vescovo, o semplicemente la bolla di nomina. Un piccolo cambiamento. Ma finalmente l’immagine fastosa della Chiesa si prenderebbe lo scossone sufficiente ad innestare il ritorno convinto alla nudità gloriosa del vangelo betlemitico. In attesa che il cardinalato sia abolito, e la sua funzione principale – eleggere un papa – sia demandata ai vescovi eletti dalle nazioni. (Ma chi sono io per giudicare?!).