Senza alcuna presunzione di mettermi alla pari delle riflessioni dello psicanalista Recalcati, sia subito chiaro. Ma il titolo, che più che biblico è catastrofico, con cui ha scritto l’altro ieri su un quotidiano non può lasciare alla finestra, come se i contenziosi appartenessero solo a chi ha ospitalità sui grandi giornali. Dello psicanalista ho grande stima. Più volte anche qui a Fontanella ci ha introdotto a un mondo di pensieri accattivante. Girando lui attorno al “desiderio” e fondando lì quasi il totale dell’esistenza: anzi della eccedenza e della follia del desiderio. Che è vero, finché non si scontra con il limite. Quello appunto di una vicenda come quella di Bose, e come tante altre nella storia della Chiesa. Ricordo ai miei generosi lettori i due daQui che ho dedicato, il primo a frate Enzo, il secondo ai suoi frati e alle sue sorelle (e per chi li avesse mancati, o volesse rinfrescarsene la memoria, li si trova cliccando qui sotto). E l’ho fatto dolendomi che una eredità, preziosa per la nostra Chiesa e per l’oikumene cristiano, finisse per avere la sorte dei cedri del Libano: quando cadono, risuona a sgomento e molto lontano il loro lamento. E infatti, era inevitabile che quelli di fuori della comunità o si confondessero o festeggiassero. E proprio per quella profezia che sta nell’intuizione di Bose: desiderata dai molti che vogliono una Chiesa meno lenta nello sbarazzarsi di storicismi anacronistici; ma osteggiata dai tanti che non vogliono essere smossi da certezze che li tengono in piedi. . Oppositori che Recalcati insinua essere in una probabile normalizzazione dell’evento Bose: uno spurio ecclesiale da risanare? Come in tutte le fragilità umane, ho scritto, in tutti i conflitti – un fondatore che non sa rinunciare alla sua creatura, e una comunità tentata di relegarlo in un cimitero degli elefanti – nessuno ha tutte le ragioni, come non ha tutti i torti. E qui la differenza tra i ragionamenti di Recalcati e la realtà spirituale dei credenti vede il confrontarsi del desiderio con la croce di Cristo: che chiede all’uno l’umiltà di ritrarsi per non fare ombra, e agli altri di tenere comunque viva la memoria del dono di cui vogliono continuare a vivere. È la narrazione del sacrificio, che non annulla il desiderio ma lo contiene: il desiderio di una paternità e il desiderio di una emancipazione. E dunque accusare, come fa lo psicanalista, di una mancanza di pietas, è del tutto fuori luogo. È pietas dare a ciascuno il suo posto nello scorrere dei giorni. E giustamente Recalcati introduce sulla vecchiaia malandata di Enzo, che dev’essere presa in cura: e chi non condividerebbe? Ma i due fratelli e la sorella che hanno già preso posto altrove, non avrebbero potuto caricarsi sulle spalle, loro, il loro mentore? O è Enzo che comunque non vuole allontanarsi? È uno sradicamento, certo, e doloroso: ma quanta esemplarità di obbedienza, per chi si mantiene suo discepolo e per chi ne ha subito mal di pancia! Che la vita di Bose sia condizionata dalla sua presenza, non è motivo altrettanto valido per il rispetto che si deve al “desiderio” di coloro che vogliono vivere con il nuovo priore una stagione rinnovata? E se il Vaticano, altro che correggere il carisma di Bose, avesse inteso zappettarlo ancor più? Ecco perché è bene che Recalcati con il suo scritto abbia richiamato al dovere di non interrompere un dialogo nella Chiesa tra due sponde che di Bose hanno sentori diversi: quelli che ritengono non ci sia mai un diritto illimitato di proprietà sulla propria creatura – non lo si pensa anche dei genitori verso i figli? -; e quelli che non dimenticano che, ancora una volta, tra il dire e l’agire scorre il fiume dei nostri sentimenti. E dunque al fraterno rimprovero a Enzo di non essersi forse lasciato custodire dalla sua cella, non può mancare l’avvertenza che nulla mai è pienamente compiuto, umanamente, neppure in una professione di fede convinta. Ecco perché il titolo dell’articolo (nessuno tocchi Enzo) non può essere biblico: richiama prontamente il “nessuno tocchi Caino”: che non è proprio il meglio se lo imparenti a Enzo Bianchi, l’ex priore che ha fatto grandi cose, pur scivolando anche lui (e chi non scivola?). Pur Recalcati ha qui il suo scivolone. A me pare.