Dunque, ristoranti vuoti chiese vuote, come titolava un giornale. Che detta così ci sta anche bene: gli uni e le altre son per il nutrimento, senza cui non si vive in nessuna parte del mondo. È vero, si mangia anche a casa, ma è come il cinema alla tv e non nelle sale, ora chiuse: tutt’altra cosa. E non saprei dire perfettamente cosa; ma è cosa, se ci pensate un po’. Perché si tratta di corpi, di un corpo che il cibo mostra condiviso, lo si prenda in una trattoria o in una chiesa. Dunque di una umanità che svolge se stessa, che non si apparta, ma riconosce una appartenenza. Che non sia egocentrica, come i populismi vorrebbero fosse: noi per noi come conseguenza dell’io per me. È notizia che rischi quarant’anni di galera quel ceffo – un regista hollywoodiano ne potrebbe ben usare la faccia per un satana in spoglie umane – che dalle stanze trumpiane è arrivato fino alla Certosa di Trisulti per predicare quel verbo antievangelico? Colto con le mani nel sacco di sottrazione di denari frutto di donazioni: che sicuramente è giustificabile nella logica dell’io prima di te, che fonda il noi prima di voi. Che è poi quello che sembra, mentre il covid non si decide ad andarsene. Intanto, quella vena di ottimismo sul “ne usciremo meglio” sembra svaporata con i canti dai balconi. E i discorsi che si sentono da politici e no hanno a tema i giovani (per altro già detto di quanta ipocrisia sia zeppa questa attenzione, in chi non molla un ette dei suoi privilegi parlamentari o pensionistici). Quei giovani che vogliono tornare indietro, a come si stava bene tra discoteche e spiaggiate, quei giovani che forse hanno sofferto più degli adulti il furto di alcuni tempi della loro crescita; o quei giovani, e sono la maggioranza, che si sono rifiutati di mettere paura nella loro vita, e ancor più sono pronti a giocarsi tutte le risorse vitali, per sé e per gli altri? Ma per questi ultimi, e per gli altri anche, non possono essere trattati solo per un futuro economico. Chi riuscirà a parlargli del perché della vita? e come gli si potrà dire, se non in quei “discorsi a tavola” eucaristici, se non li frequentano? Quel distacco che non si è voluto vedere fin dai bambini, di un altrove rispetto al senso che il cristianesimo dà . E forse allora si capirebbe finalmente che servono mascherine religiose, per difendersi da un inquinamento nichilista più diffuso di quanto non ci si è voluti accorgere. Si vive senza senso, non cercando senso, sbeffeggiando chi lo rincorre nelle cose invisibili che pure chiamano. Kerouac , parlando di On the Road, il libro giovane di molti giovani – che forse, sì, dicevano “solo erba, quella beh sì, ma mai sentito altro” come se l’erba fosse l’avemaria di penitenza per un’assoluzione piena – diceva che si trattava del “viaggio di due amici cattolici in cerca di Dio attraverso l’America”. Ora si tratta di chiedersi se ce ne siano almeno due amici-cattolici, che si mettono a cercare Dio. Cercarlo, e insieme, per risvegliare l’umano che prepara l’udito al misticismo che ci abita. Anche così, finalmente non temeremo più quello scisma pratico in atto, di chi polemizza con un cristianesimo dedito a curare la carne dell’uomo, per vivificarne lo spirito. Scisma di nuovi catari: loro, alla pari delle sette e trenta del mattino, li si faccia scegliere tra marciapiedi di barboni, e case occupate dai nostrani sans-papiers, o messe impeccabili  ma celebrate da loro preti che finalmente riconoscano la sponda su cui sono. Dove non ci stanno le donne che osano appena toccare la veste del Signore, o apprezzare metà del mantello di Martino.