Dunque il covid non ci ha cambiato, non ha cambiato la Chiesa – che si trova nella tentazione di ri-calcinarsi dentro “quel che eravamo” – né nel mondo. Le sceneggiate dell’Europa che ha impiegato settimane per accordarsi sull’indispensabile della propria sopravvivenza politica, nella svolta richiesta dalla pandemia, ha fatto venire a galla, tra gli altri paesi del nord,  l’Olanda, e non per il suo lato bello. Con un’alterigia tutta calvinista, a condannare i cattolici come inconvertibilmente lassi (e magari è un po’ vero); però sostenendo ‘sta cosa da attaccati ai propri tulipani, e alle multinazionali cui danno ospitalità fiscale a spese degli altri paesi del continente: frugali loro? sulla pelle degli altri! Non ci ha cambiato il covid, ma può diventare l’occasione di cambiare. Dispiacendosi, si può condividere l’affermazione di un polemista, che descrive l’essere umano come la più evoluta delle scimmie, ma il più goffo e ridicolo tra gli dei (distanziamento sì o no, quanto, dove, per quanto; e i negazionisti che sono come i terrapiattisti: un meteorite si spera di poca consistenza, ma si sia consapevoli che gli uni e gli altri sono insani). Il che non deve portare alla disperazione. Soprattutto nella Chiesa che è costretta da un virus a interrogarsi sul chi è per questo mondo, un mondo che è ben oltre lei. E dunque a non riaffossarsi dentro tradizioni che non chiamano i “lontani”, e disperdono i “vicini”. È bastato un virus per farsi accorgere di assemblee affollate da chi ci stava solo per il bollino premio-paradiso. E a convincere che le chiese semideserte di queste settimane non rifioriranno più, pur nelle percentuali non vere del pre-covid, dentro cui non si contava al vero, ma non si contava per illudersi. Di una comunità parrocchiale fatta di seimila persone, che frequentassero in tutte le celebrazioni neppure in mille, possibile che non sia stato un avvertimento? Non lo è stato. Perché, se non perché la Parola non è entrata come la Tradizione ridotta alle non disturbanti tradizioni? Quei pur buoni credenti, e i loro preti, che hanno pensato di riempire il vuoto – un vuoto che accettato in pienezza avrebbe finalmente scosso – con celebrazioni televisive, oggi gli è rifilato il conto; e detta così può essere persino provvidenziale pure quell’errore. Ma “la Chiesa di papa Francesco è una Chiesa che chiede di non stare a guardare seduti sul divano, come spesso dice lui. Che capisce la paura di tanti ma dice che per vincerla bisogna aiutare chi ha bisogno, e anche se è diverso da te. È il Vangelo a esigere di non restare indifferenti, a non ammettere classifiche su chi aiutare prima e chi aiutare dopo. È la Chiesa di un Dio che non si accontenta di essere al centro della vita spirituale, ma chiede di essere incontrato nella vita materiale, soprattutto di chi soffre. Non è una Chiesa comoda, certo: è una Chiesa esigente. Ma è la Chiesa del Vangelo”. Lo scrive il cardinale di Bologna, così come lo si è scritto anche da noi, pur da cattedre meno autorevoli. Ma ci si scontra con chi non ci sta, ed i peggiori sono quanti vanno in direzione ostinata e contraria, ma sempre a favore di vento, venti fasulli. Quelli a cui manca di unire al vero il fascino della bellezza, che è poi l’unica maniera di sconfiggere i moralismi, l’unica gamba che sembra sostenerli. Quelli a cui l’esperienza francese – il canto degli organi nelle loro cattedrali ad accompagnare la contemplazione; e quelle liturgie sobriamente solenni e plasticamente illuminate sul mistero e non sui celebranti; e quel “accueil” che bada alla persona in cerca della domanda giusta, quella evangelica – esperienza di decenni ormai, è sempre risultata nemica: eppure il loro ritrovarsi tra pochi, granello di senape che testimonia nella massa, avrebbe potuto essere profetico anche per noi. E invece no: noi si badava ai numeri, alle tante carte che stabiliscono al minimo l’andare e il venire della vita, all’appartenenza istituzionale più che a quella carismatica, scordandosi del detto, dalle congregazioni vaticane ai supporter curiali di periferia, che il cammello è un cavallo disegnato da un comitato. Una Chiesa che finalmente non si scandalizzi (e preti e i diaconi, non ho notizia di vescovi!) perché il papa manda il suo elemosiniere ad aiutare i/le trans. Non è facile; ma non è così difficile capire che il mistero di Dio che si fa uomo è un interrogativo cogente per un cristiano: assunta da Gesù nella sua bellezza e nelle tante fragilità, la carne degli uomini è il prossimo da servire in tutta pienezza.