Mi sto chiedendo da qualche giorno perché me la prendo tanto. Quegli annodati agli ambienti dell’ultraconservatorismo catto-italiota, quei nostalgici della liturgia tridentina con un latino in cui non sanno immergersi, quei prelati frequentatori dei salotti del patriziato nero, da cui attingono le voglie per cotte plissettate . E nessuno pensi che sia invidia da basso clero, smanioso di una rivoluzione che riporti dentro la Chiesa una fraternité indissolubile da égalité. Non che non ce ne sia bisogno: ma a quale pulizia ideologica porterebbe, a quali poltronifici dismessi, a quali vuoti istituzionali – e, certo, a quale crisi economica per negozi d’haute-couture romani con fastose vetrine purpuree? (ma anche no: li frequentano anche tipi del basso clero, che disdegnano negozi del pret-a-porter; e solo per avere un colletto romano, che certifichi la loro fede cattolica e, appunto, romana: di quale romanità potete ben capire). Ma non ce l’hanno un amico? Uno che dica loro quel che gli va detto, uno che li salvi da se stessi? È vero che siamo in un tempo in cui i consigli non sono ben accetti, soprattutto se toccano dentro le viscere, se infastidiscono i gangli di un accomodamento. Ma a che serve un amico se non a disturbarti sulle certezze di cui non vedi le cadute? Il progettista del nuovo manufatto di Genova sostiene che “il ponte unifica senza confondere, è un oggetto di pace”; anche come immagine allegorica con un ponte tutto comincia a risolversi. Un amico come un ponte. Se lo rifiuti? Se preferisci rinserrarti nel tuo baco come rinascerai farfalla? È opera di secoli – duecento anni diceva il cardinal Martini – l’imbozzolarsi della Chiesa in se stessa; e il fastidio di una Chiesa in uscita, richiesta da Francesco papa, ne è direttamente proporzionale per i cultori del bel tempo antico: quello delle processioni dei vestali con i piviali, dei beniamini comandati, del noi vogliam Dio cantato a squarciagola contro i nemici predestinati all’inferno. Quelli di ieri, i comunisti senzadio, a preparare quelli di oggi, gli islamici in primis. Mi sono meravigliato della distanza, 70 milioni di km, da cui è stato fotografato il Sole: sulle stelle non sono mai riuscito a prendere le misure. Ma settanta milioni di kilometri mi fanno pensare alla presunzione di chi vorrebbe avvicinare l’Inavvicinabile, Dio a sé, il Dio di eruzioni laviche e caos calmo, come racconta al meglio l’Antico testamento. Di chi lo vorrebbe faccia a faccia da questa parte della vita: per descriverlo, per fargli dire cose. Una Chiesa in uscita è una Chiesa che si senta finalmente mortale con i mortali cui annuncia la Vita. Ma lì cascano orpelli, lì ci si induce all’essenziale. Lì si gratta l’ultima pellicola per finalmente vedere “ciò che il mondo voleva e vuole: che il cristianesimo sia abolito. Ma scaltro com’è il mondo, ha capito come per istinto che il miglior modo per abolire il cristianesimo è di mantenere un’apparenza che lo sia ancora” (S. Kierkegaard). I chiesastici che vivono per apparire, cerchino, finalmente desiderandolo, un amico.