Qui in certi momenti del giorno, è lo stesso dei recenti mesi primaverili: intonso, corroborante, nel trillo degli uccelli che non si sono allontanati, e nei rumori di pioggia quando non disturbati da motori. Non è lo stesso registrato con angoscia nella pianura e nelle valli del covid. Con il tormento delle sirene a profanarlo, e dei rintocchi di campana a morto che si rincorrevano di campanile in campanile. La storia come lungo cammino di sofferenza, e di grandezza, è qualcosa che suscita perplessità se ci si ritrova in un contesto non aspettato: o per inerzia di uomini o per insipienza. Eppure, e lo ricorda il papa non solo ai credenti ma al mondo, questo è il tempo, di pesare ciò che conta e ciò che non conta, ciò che è prezioso da ciò che distrugge. In molti stanno disertando chiese, ma anche ambulatori. Leccarsi le ferite è umano, interrogarsi è umano. La salute certo, ma quella totale. E certe incertezze di medici di base lasciati a se stessi; e certi pannicelli chiesastici inventati per tener stretta una comunità che non poteva esserlo comunque? Provvedimenti inadeguati alla gravità di una situazione, palliativi che non hanno prodotto risultati; o almeno non nella misura illusoria con cui sono stati messi in atto. E i preti che non si sono piegati? che hanno preferito il silenzio che interroga a riti televisivi senza anima? Tacciati di pigrizia! Eppure si sono messi davanti a Dio come non gli era forse mai capitato; e seguendo semplicemente il Vangelo dove chiede di tirarti fuori, nel chiuso della tua stanza per incontrarLo. Così come nel chiuso delle case meglio avrebbero sentito il bisogno del Signore, se fosse del tutto calato il sipario su riti troppo meccanicamente frequentati fino a quel momento. Certo il dominicum; ma vero: o meglio il nulla. Trovarsi insomma d’accordo con il dato antico, che attribuisce alla natura il non spreco di energie in ciò che si può ottenere facendo meno. Fare meno per fare meglio? Non è questo anche per la Chiesa un tempo non rimandabile di potatura? Dove il Vangelo non dice, fare silenzio: abbandonare  labirinti morali, o murate teologiche che ampliano solo catechismi, ma inaridiscono il vento dello Spirito. Sine glossa, sine glossa gridava per le piane di Assisi il Poverello. È il momento di ritrovare comunque l’entusiasmo. Assumendo la prospettiva delle persone che soffrono: quelle che nel loro silenzio non trovano risposte; e quelle che le hanno mettendosi in ascolto docile. E certo occorre uno sguardo nuovo alle nostre radici. Uscendo dai paludamenti mentali e d’apparato che frenano. Lo si dice, lo si scrive: ma non s’arriva a convincersi che nel medioevo c’era molta più partecipazione – vescovi preti e diaconi erano scelti dal popolo; e le “fraterie” domenicane francescane e dei serviti nascono per un servizio evangelico alle povertà del tempo, in correzione del potere non più praticato come servizio. C’è una forte resistenza, oggi, soprattutto nei seguaci di quel barocchismo che vede nell’opulenza chiesastica lo specchietto d’allodole: non se lo direbbero mai, perché non sanno: ma qualcuno che li metta di fronte a sé? come pericolo per la salvezza che Chiesa annuncia? chi glielo racconta, con pazienza ma con parresia, che la Chiesa di Cristo non è una organizzazione speculare alle potenze del mondo? che può non aver bisogno di corpi diplomatici – un esempio per tutti, e sono tanti da riguardare. Per non illuderci più di “rimanere sani in una Chiesa malata”. Questo l’entusiasmo vero: Dio dentro.