Cari monaci di Bose, di incidenti è piena la terra e la vita degli uomini. Più o meno gravi, qualche volta solo bizzarri, se non banali. Della banalità di intoppi tecnologici, forse dovuti a torbidi interessi nemici (ma perché?), o forse solo causati da dilettantismi dell’operatore. Da catalogare così, dopo la lettera scritta per Enzo, l’impedimento a proseguire prontamente con uno scritto rivolto a voi, su quanto successo lì. Nel frattempo molti altri, e per l’affetto a Bose, hanno scritto più o meno schierandosi: che è l’ultima cosa che meritate. E se nessuno avesse ragione, perché tutti hanno torto? Una domanda che merita un tentativo di risposta. Detto del priore che non ha saputo davvero ritirarsi, senza tuttavia sparire (e lo si fa se si continua a vivere insieme, ma finalmente staccando da sé quanti più da vicino hanno diviso l’anticamera della tua cella); detto di lui, e voi? Monaci e monache insieme pregano, lavorano e praticano l’ospitalità, facendo rivivere modi del primo monachesimo. Restando vigilanti e grati per il dono di Dio dato alla Chiesa in questi ultimi decenni. Lo si dice di altro, ma può benissimo essere riflessione anche per voi, ora: la vita può sbocciare solo quando viene rispettata la consapevolezza della sua fragilità. E quanto è successo, dice che la fragilità sottesa ad ogni pur buona cosa umana, si è resa visibile, seppure in maniera scomoda. In sé non è male, ma… Qualcuno vi rimprovera di aver portato le vostre carte a Roma, mentre per statuto poteva bastare il vescovo di lì, ampliando così l’eco di dissapori che – e io condivido – sarebbe stato bene candeggiare nella lavanderia di casa. E non per ipocrisia: quelli di fuori o si confondono o festeggiano. O il vescovo si è detto impotente di fronte a qualcosa di più grande di lui? anche i vescovi sanno riconoscere il più delle volte i loro limiti. O voi volevate innescare un nuovo inizio, inginocchiati come Francesco d’Assisi a chiedere grazia al nuovo Onorio? O vi hanno strappato al silenzio del monastero quei cattivoni del Vaticano, come insinua qualcuno, perché vi vogliono riportare all’ordine, impacchettandovi dentro uno dei canoni previsti, ai quali fino’ora vi siete sottratti? Uomini e donne insieme? ma quando mai! Lo vedete: la stura alle malignità, accanto alle perplessità, s’è data. E la bellezza di tentare di vivere l’alterità – che non è solo di maschi e femmine sotto lo stesso tetto, occupati negli stessi laboratori, e innanzitutto nel laboratorio della preghiera – viene così relegata sotto un “vedi che neppure i monaci sanno vivere di obbedienza nella correzione fraterna”. Lo sapete: potreste essere imputati di voler far finire nel cimitero degli elefanti il vostro vecchio priore. Qualcuno ha scritto che i vecchi sono un mistero irrisolto. I miei nonni sono rimasti in casa, accuditi fino alla fine; brontolando sulle scelte dei figli, spesso non condividendole: per un nuovo attrezzo di lavoro contro l’olio di gomito. Ma a nessuno è stata data quella ciotola di metallo dell’apologo: il nipote che dice al papà anch’io quando sarò vecchio ti darò la ciotola di metallo, come fai tu col nonno. Per la risoluzione del mistero dei vecchi “adesso nei paesi ricchi ci siamo inventati i cimiteri degli elefanti: luoghi, anche belli, dove i vecchi vengono concentrati, e rimangono tra loro. I familiari hanno sopperito in questa maniera alla mancanza di tempo. Ogni tanto vanno a trovarli e per qualche istante i vecchi rivivono il calore familiare. Ma entrare in un luogo dove si convive con altre persone che hanno con noi l’età come unico punto di vicinanza è veramente terribile. Pensare di morire vicino ai figli, ai nipoti è un pensiero che in qualche modo consola”. Sullo straniamento nella morte abbiamo vissuto la stagione più orribile. E non può essere quello che capiti a un vostro padre: un fondatore non è sostituibile? Un padre non è sostituibile. Chiedendogli, per quanto ancora lucido, che avverta quando fa ombra. Ma non permettendo che finisca altrove. Come per Enzo, anche per voi recedere è la miglior virtù del vostro oggi. Se poi gli indirizzi di comunità si debbono rivedere, per confermarli o per correggerli, non diventino una scusa di quell’allontanamento: non permettete a nessun canonista di ingerirsi in cose che non capisce. Perché, se non capisce l’alterità che prende le diverse forme delle convivenze, non capisce l’umano per cui il Cristo vi chiede di essere testimoni.