La messa della notte di Natale a Bagdad non si celebrerà, per motivi di sicurezza. E dato il contorno del fanatismo guerrafondaio, dolorosamente necessario. Per gli stessi motivi, prima non si voleva permettere ai cristiani di Gaza di recarsi a Betlemme o a Gerusalemme, poi, sì, con un permesso rilasciato dalle autorità israeliane. Da noi, in questa patria italica, c’è un sindaco che impone il presepio in ogni edificio comunale; e che sia grande. Il che, ha fatto scrivere a un notista satirico: “cassato l’iniziale obbligo di escludere dai presepi comunali tutti gli extracomunitari coinvolti, siccome sarebbe rimasto solo l’asino, poteva sembrare satira politica”. Eh, sì, perché il suprematismo bianco sta perdendo colpi nei fatti: camerieri, spazzini, muratori, medici, ma fidanzati e fidanzate, hanno facce diverse dai caucasici di cui si pensa debba popolarsi la penisola. Con qualche subita eccezione per badanti, sennò i vecchi restano soli e ci rimorde la coscienza. Già: perché dopo aver speculato elettoralmente (risultati che ancora non sono reali, ma che dovrebbero addivenire, alla madonna di medjugorie piacendo, al più presto se i giallorossi finalmente smettessero di litigare per scherzo e liberassero il campo!) – dopo aver imprecato con espressioni che sporcherebbe questo schermo se si citassero per intero frasi su bastardi e bestie riferiti a nordafricani, ora – senza un’autocritica su almeno i napoletani cantati come puzzoni (e la memoria ha un senso per traguardare i dirimpettai) – ora ci si stende oltre Po, oltre il Tevere, fin oltre Scilla e Cariddi. L’armata dei bugiardi dev’essere sconfitta: e dunque quello svegliarsi per accorgersi da cui ci siamo lasciati toccare nel nostro avvento di qui, deve partire dal presepe. Quello in cui può mancare il Bambino perché abbiano posto quelli che non trovano posto, neppure una stalla. Lo si è fatto, una volta per sempre, purché ne rimanga l’ammonimento. Un presepe che possa diventare fonte pura, per purificare quei pozzi avvelenati cui si stanno abbeverando generazioni vecchie e giovani, che credono alla lingua della violenza, la sola creduta risolutrice. O alla lingua dell’indifferenza, la sola che acquieta in un’attesa passiva del nulla. Dove non c’è Eterno. O il cui eterno è fatto di angeli i cui battiti d’ali hanno la consistenza dell’effimero. “La vostra disgrazia è nel fatto che vi sembra inverosimile”, ci ricorda Dostoevskij: inverosimile che la presenza di Dio stia nella vita di ogni uomo. Inverosimile che lui stia nascosto nel Bambino di Betlemme; o che la sua presenza sia rifiutata, come nei saccenti di sempre, quelli che bastano a sé. Partire dal presepe per accorgersi di quelli che stanno nel mondo: lavandaie, arrotini, massaie, falegnami e mugnai, ma anche la grazia di Maria e l’accoglienza di Giuseppe, colui che aggiusta per le nostre povere attese il progetto di Dio. Partire dagli umili che siamo, per quanto non viviamo da lavandaie, arrotini, massaie, falegnami e mugnai. E tuttavia sentirsi potenti di Grazia: amati e dunque fatti amanti, accolti e dunque accoglienti. Anche se ciò comportasse sentirsi ormai in pochi, una minoranza. Sarebbe bello potersi presentare all’Eterno come gente che è vissuta da presepe, includendo e non escludendo; e poterci annunciare come chi invece di essere arrogante è stato prossimo