È un proverbio arabo: “Tacere quando uno stupido ci rivolge la parola è rispondergli con il più eloquente dei discorsi”. Che apparentemente può sembrare poco caritatevole. Ma apparentemente. È che a chi non vuol sentire, perché si ama troppo per ascoltare, può capitare di sentire l’eco del proprio vuoto nel silenzio altrui. Non sempre, ma tentare questa strada certamente non nuoce. Così, alla valanga di notizie che ci arrivano addosso da giornali e tg da quella zona non tanto franca che è in questi giorni Verona, il rimedio può essere il silenzio? Le stupidità di là vogliono cucire addosso alla chiesa un vestito che non è il suo. E dunque è sufficiente il silenzio? Essere diversamente cattolici lo si può giocare su sponde diverse: di chi si vive oggi come una minoranza attraccata al Vangelo, e chi s’attacca alla tradizione come fosse un totem intoccabile. Lo Spirito Santo per costoro non veleggia più come vuole quando vuole nel mare del tempo: è, ingrigito, imbalsamato in una morte sacrilega. Per davvero, così, Dio è morto. Per raccontarla a questo modo, occorre che la minoranza cristiana parli con parole non anaffettive ma passionali, perché il giudizio va compiuto: pena una ipocrisia che sembra annidata in silenzi questi sì complici di tanti preti e vescovi e battezzati. Dunque tacere e parlare, a tempo opportuno e importuno, sono le due azioni da contrapporre alla stupidità dei tanti pur battezzati che sta danneggiando la Chiesa. Certo, nel parlare spesso si equivoca: e in questi giorni si equivoca molto sul Medioevo: l’età dell’oscurantismo, è nei pensieri un luogo comune. Che come tutti i luoghi comuni pecca di parzialità. Nessun tempo infatti sfugge alla fragilità; ma nessun tempo può rinnegare le proprie ricchezze. C’è anche chi le sta mettendo in fila, le luci medievali, e per finalmente far uscire dall’idea di una età maledetta. E l’elenco è ricco di nomi: Benedetto da Norcia – e ricorda i monasteri che han fatto l’Europa – e il sommo Dante, e il magnifico Giotto, e Francesco d’Assisi; e ricco di creazioni: nascono le università, la stampa, il commercio. Insomma nasce là il meglio dell’oggi che conosciamo. Non è quello il tempo oscuro, ma questo: di chi si inarida su greti che non generano l’uomo nuovo, quell’uomo evangelico che rinasce sempre più accostandosi alla novità del Risorto. Per dirla in termini di fede. Vedete: qui sta esplodendo la primavera: nuvole di fiori bianchi sugli alberi che costeggiano la collina. Ma è primavera senza un vero inverno a precederla. Sta finendo un marzo pazzerello, come poetavano gli abbecedari della mia infanzia, che pazzerello non è stato: neppure una secchiata d’acqua a ritmare giornate di sole. Così è quest’epoca: senza ritmi di stagioni o di giorni che inducano a vivere l’esistenza vedendosi nello specchio della propria creaturalità. Narciso può evitare di annegare nel tentativo di raggiungere la sua immagine riflessa se un altro sguardo lo (chi)ama. O non ci si apre allo sguardo che ama davvero, o ci si consegna allo sguardo di chi non ama davvero. Questo mi pare oggi molto diffuso: dentro e fuori i recinti della Chiesa. Perciò l’età oscura può diventare questa, altro che Medioevo. Il tronco nell’occhio di molti, a Verona e non, sta infliggendo al mondo uno spettacolo terribile: quello dell’ipocrisia nascosta da rosari. Parce Domine.