Ogni anno ne cascano tanti. Ma il 1969 sembra avere dentro di sé una qualche misura di universalità della memoria. Tocca l’arte – con i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, sulla cui Gioconda ci si sta interrogando se davvero è la celebrata icona della perfezione; tocca la politica – con i 100 anni dalla nascita di Andreotti, che è personaggio da non relegare troppo facilmente nelle contrapposte ideologie di chi lo vuol divo e chi luciferino; tocca la malvagità dell’uomo, con i cinquant’anni dalla strage di piazza Fontana, che ha avviato la stagione del terrorismo, ma anche la sua grandezza, con lo sbarco del primo uomo sulla luna, lo sguardo più allungato sul mistero dell’universo. Niente di completo in queste date arrotondate; ciascuno può metterci quel che vuole, a secondo dei suoi interessi e delle sue passioni: un elenco lo si trova facilmente su Internet, ma soprattutto dentro di sé, così che uno può commuoversi per i trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, così foriero di speranze che questi anni stanno uccidendo; o i 37 dall’uscita di Blade Runner, un capolavoro della storia del cinema, dove ogni elemento ha saputo comporre lo scenario di un futuro inquietante perché plausibile, dove la tecnologia non è disumana ma troppo umana. (Lo conoscete? Per chi, come me, non ama molto la fantascienza – se non là dove aiuta la scienza a non sentirsi padrona esclusiva del presente – è tuttavia un film che racconta quel che potremmo essere o diventare, e proprio nell’anno 2019: in una Los Angeles piovosa e sovrappopolata, il poliziotto Deckard, dell’unità Blade Runner, viene richiamato in servizio; la sua specialità è l’eliminazione di esemplari insubordinati di “replicanti” – androidi più forti e resistenti degli uomini, appositamente creati per affrontare le situazioni estreme, ecc ecc: poter richiamare ancor oggi alcune persone che hanno la stoffa degli statisti a rimettere al loro posto replicanti muscolari ma incompetenti!). Dunque fare memoria di ricorrenze, per ricordare comunque che si viene, tutti, da una storia: che piaccia o no, che la si conosca o no, che la si sia vissuta o che ci abbia preceduto. Così ci stanno anche anniversari familiari: che so, i cent’anni dalla nascita della mamma, o i settantacinque dalla mia nascita, o i cinquanta dacché sono diventato prete. Si ricordano gli anniversari anche per esorcizzare il passare del tempo, questo tic tac che sovrasta i giorni: impaurendo o semplicemente tenendo avvertiti. Da come si celebrano – fastosamente o sobriamente – si può evincere di quale risonanza si vive. Di quale sguardo sulle cose e sul mondo – e sulle persone che ci circondano – ci stiamo nutrendo.