Tante, come sempre in tutti i Natali che si vivono. Tante e belle: pace, luce, bontà. Ma parole. Parole, parole, parole. Che si sentono ma non si ascoltano, se il giorno dopo le trovi nel cestino della memoria. Solo che quel cestino non lo si rovescia più: è un cestino che s’allarga a dismisura, nella misura di quanto man mano lì si accumula. Ma qualche volta, di sfuggita, salta su qualcosa d’accantonato. Provocato magari da u riflusso. Qua e là, da nord a sud, passando per la Toscana, in un passaparola nuovo, alcuni preti si son detti indisposti a celebrare un Natale ipocrita. Dove c’è tutto meno il Signore, dove il presepe serve per rimarcare un confine. All’opposto di quello che vorrebbe ricordare: Lui è venuto per quelli che Egli ama, indistintamente al colore della pelle, e dalla provenienza geografica. E come può essere diversamente, Lui che da buon ebreo palestinese un po’ abbronzato è nato? Se mancano quelli che Lui ama, che Natale è? si dicono quei preti. E ce lo siamo detto noi, giusto dieci anni fa, noi i preti di parrocchia in città: allontanati i neri che stavano presso i parcheggi dell’ospedale, loro che non disturbavano proprio nessuno, se non certi fanatici scesi dalle valli, leghisti la cui ignoranza era pari agli scarponi ormai abbandonati. Allontanati loro, allontanato il Bambino: così un presepe sì, ma con quel vuoto, per non imbastire una festa fatta di notizie false. La falsità di chi celebra un Signore della storia, che si prende per scagliarlo contro, manco fosse un politicante dei nostri presenti orizzonti. Dieci anni ci sono voluti perché crescessero parole di concretezza: certo pace e luce e bontà; ma, o per tutti e significate concretamente dalla testimonianza di chi si dice cristiano, o niente. Per questo ho detto nella celebrazione della Notte la mia soddisfazione per un Vangelo che finalmente è predicato nella Parola che è: per giudicare pur senza condannare, per separare senza disprezzare. Le parole possono essere dette solo se generate dalla Parola: che è lì nei secoli dalla venuta del Salvatore a dire che o si vestono i poveri, o si dà loro casa, o non li si sfama solo con gli avanzi che cadono dalle nostre mense epuloni che, ma con la dignità che il loro corpo redento esige, oppure cristiani non si è. Ma essere cristiani così interessa davvero a chi si nutre di marginalità, e non di sostanza evangelica? Abbiamo visto, continuiamo a vedere, e ancora vedremo il sorriso di Dio dentro la minorità cristiana che siamo diventati:minorità che non s’impaura di fronte a chi parla e non agisce. E dunque non chiama in verità alla pace alla luce alla bontà.