Si racconta che il no alle Olimpiadi a Roma è stato deciso da un ristretto gruppo di opinionisti, radunati nell’officina del meccanico che cura la moto di quel expolitico non ancora del tutto ex che va sotto il nome di “dibba”. Dunque le cose stanno così, e non è una leggenda romana: è nero su bianco in un libro scritto dallo stesso ex non ancora del tutto ex. Si racconta dunque che il suo meccanico abbia convocato un po’ di vicinato, tra pezzi di ricambio su pavimento oleoso, per un sondaggio, preliminare di quella votazione in rete di cui i suddetti sarebbero stati le cavie. Una decina di persone, ma rappresentative: un fruttivendolo, un edicolante, un pensionato, e un paio di familiari, il “dibba” stesso in veste di elicitatore. Non è detta l’età dei partecipanti, ma forse non conta ai fini del risultato. Che sentenzia: linea dura, le Olimpiadi non si facciano, la stragrande maggioranza dei romani è contraria. Sulla teoria della relatività dei numeri non si arricci il naso, e sui concetti di maggioranze e minoranze neppure: quel soviet romano, come quello russo prima della scorporazione, ha ragioni che il popolo deve far proprie. Pena, le buche nelle strade, o l’irrisione degli avversari: volete mettere la saggezza che da un bar sport qualsiasi della periferia si sposta in una officina meccanica? D’altronde, qualche mese dopo – adesso – non si è proclamato che i deputati del popolo si arriverà a sceglierli per sorteggio? I social sono lì – qui – a costruire un mondo di opinioni, dove non le certezze religiose, ma neppure quelle scientifiche si salvano sotto l’ “io la penso così”. La chiamano democrazia diretta. Diretta da chi, è il problema. Un grosso problema. Forse conoscete la storia di Titone. Ma la scrivo per quei due o tre che han fatto l’Iti, e dunque non sono tenuti a conoscere la mitologia greca. Dunque Titone era un uomo normale, come me e come te. Normale fino a quando Eos, che era la dea dell’aurora, si innamorò di lui. Lei una dea, lui un uomo, lei immortale, lui mortale? Come può continuare l’amore? Zeus era il capo, il padre di tutti, pronto ad esaudire ogni capriccio dei figli. E su richiesta di quella figlia innamorata, concede l’immortalità a Titone. Festa grande? Macché. Si dice che l’amore è cieco; e qualche volta stupido. Ci si dimentica di chiedere qualcos’altro accanto alla immortalità per quel giovane uomo: l’eterna giovinezza. E infatti Titone resta prigioniero di quel privilegio: non morirà più, ma si corromperà in una vecchiaia senza più bellezza. Cosa avrebbero deciso l’edicolante, il fruttivendolo, il pensionato, il meccanico – insomma tutto il bar sport, tutte le claques organizzate dei commenti on line – così ripiegati nel presente di una presunta eterna giovinezza delle proprie idee? Se falla lo sguardo lungo, se non si esce dal recinto di una officina di un’edicola di una botteguccia, che futuro? Cittadini di una nazione, responsabili. Ma cittadini della diversità cristiana. Negli ultimi giorni, seppure in modo ancora indiretto, sembra che i Vescovi stiano uscendo da quel dire prelatizio e diplomatico sull’emergenza emigrazione. Troppo silenzio, rinchiusi dentro recinti che loro chiamano di rispetto per le istituzioni civili. Ma sono pavidità che non hanno la forza del Vangelo. Beati se sarete perseguitati, perché non avrete taciuto. Beati se rigetterete l’accusa di essere “buonisti” chiamando finalmente gli altri, per quel che sono, “cattivisti”. Beati se difenderete l’orfano e la vedova, quelli che oggi sono di pelle diversa e di etnia diversa, perché vostro sarà il regno dei cieli. Beati se lascerete gli ovili dentro cui prosperate tra certezze datate, e segni datati, e vesti datate: e un linguaggio datato. Beati voi: vi sarà data resurrezione, immortalità non disgiunta da bellezza, l’eterna giovinezza.