Vanità delle vanità è la vita. Non l’ho mai così ben capito come dopo questa notte: in sogno, la signora Bona mi ha rimproverato perché da tempo non scrivo sul sito. Dovete sapere che la signora Bona è morta qualche mese fa, a novantadue anni. Una di quelle donne fino all’ultimo sveglie e battagliere. Una che seguiva questa rubrica, per voler sapere come da qui viveva il suo emerito parroco. Una che circa due anni fa, per una sosta scritturale di cui oggi non ricordo il motivo, pure mi aveva sollecitato a riprendere, e l’aveva fatto con il tono di chi non vuole che accampi scuse. Aveva diritto di non lasciarmi solo, diceva: e ha detto con le stesse parole stanotte (sapete, i sogni sono ricordi che si slacciano dall’impiantito della memoria). E così ho dovuto spiegarle, in sogno, il perché di questo lungo silenzio. Le ho detto di un’evenienza capitata agli occhi, e degli imprevisti piuttosto seri che ne sono seguiti; e dell’ordinanza medica di un periodo di riposo. Riposo che, tra l’altro, costringeva a non leggere, e dunque anche a non scrivere. Però, permesso di vedere la tv. Mi sono così trovato a guardare in orari che solitamente mi vedono in ben altre faccende. A guardare a maratone e tagadà, a quelle giostre di informazioni (?) politiche che si succedono durante tutto un giorno, e tutti i giorni di quest’ultimo mese. E poiché il periodo appena trascorso si prestava al meglio, con i nuovi colori gialloverdi che si sono insediati alla guida del paese, credo che il riposo impostomi non sia stato al massimo delle aspettative delle ordinanze ricevute dalla pietà medica: perché il riposo del corpo era annullato dalla fatica di ingoiare le indigeribili stupidità. Ma tant’è: mi hanno tenuto vivo, tra pensieri sarcastici, mai tuttavia tradotti in parolacce che non si addicono a un prete. Perché? li avete visti? li avete sentiti? Una passerella di nulla che pure si è nutrita di colpi di scena, in mancanza di sostanza. La vanità al potere credo sia la cosa peggiore che possa capitare a un popolo. Ha scritto Victor Hugo: chi non vuole andar nudo, si veste di vanità. Miglior definizione di politici attuali, e di commentatori cavati dal regno dei professionisti del nulla, non poteva calzare meglio sui giorni che abbiamo vissuto. E oltretutto la vanità fa dei brutti scherzi alla memoria. Esponendo al ridicolo, se non alla compassione: il negare quanto si è professato fino al giorno prima, o attaccandosi ai luoghi comuni nella speranza delle dimenticanze altrui; che invece noi non ci permettiamo, perché non possiamo. Noi: cioè quelli che cercano la verità nelle cose; e che si aspettano un servizio di verità da quelli che sono chiamati a gestire il bene comune. Pur nel compromesso che, si dice, la politica è. Ma non nel compromesso che il Vangelo mai permette, se non chiamandolo con il suo nome: peccato. Sì, perché, nel frattempo, c’è stato quell’evento meraviglioso della salma del santo papa Giovanni che è in terra bergamasca, anzi qui. Migliaia di persone a sperimentare una devozione, che certamente va oltre il vedere-toccare. Almeno così spero io, che sono lontano da quel tipo di espressione religiosa (ricevendo l’accusa di una fede intellettualistica: come se la fede non fosse il prodotto di dubbi, di fronte all’invisibile che ci chiama). Ma anche lì. Vanità delle vanità, tutto è vanità. E lei, signora Bona, dall’alto o dal profondo dei cieli, in compagnia del vero papa Giovanni, sta sicuramente dandomi ragione; e sorridendo compassionevolmente vedendo qui in terra lo svolazzare di preti che si stanno prendendo consistenza dall’evento. Anch’essi nudi vestiti di vanità? con le loro cotte plissettate e con le loro apparizioni mielose? Diceva non so chi che “la vanità è il mio peccato preferito”. Non son meglio altri peccati, che non stridano così fortemente con il Vangelo dei beati i puri di cuore? Certo, a ognuno il suo peccato preferito. E mettersi a fare le pulci sui peccati altrui, capisco che possa non essere il meglio della santità. Ma la correzione fraterna è un imperativo del cristiano. Dopo averla applicata a sé, ovvio. Ma la costrizione al riposo, se mi ha impedito di scrivere anche per lei, signora Bona, mi ha affastellato dentro questi pensieri che mi hanno convinto che la vanità è stupidità, quando non è pericolosa. E ho pensato bene di buttar fuori. Per stare in pace.