Quel giorno là, io c’ero. L’avrebbero chiamata giornata della liberazione: dai fascismi. Avevo un anno e due mesi. Dunque non potrei averne memoria. Se non per i libri, o per i racconti di famiglia. Mio padre ancora in prigionia, cosa che si sarebbe protratta fino all’inizio del ’46. E le donne rasate, nel mio piccolo paese, in segno di disprezzo: non uccise, ma con quella violenza sulla fronte che le avrebbe segnate a vita. E ancora oggi la si celebra così, festa della liberazione, chiamando a raccolta contro i nuovi fascismi, più occulti, ma non meno pericolosi. Dunque quei corsi e ricorsi della storia, che non si vorrebbero su queste tragedie? Fu appunto Giambattista Vico a dire che “per i Latini il ‘vero’ e il ‘fatto’ sono reciproci, ossia, come afferma il volgo delle scuole, si scambiano di posto”. Siamo ancora, e per sempre, latini pure noi, che viviamo in questa stagione della storia. E per questo forse, e anche, si è entrati in un’era di revisionismi. Dove i cattivi e i buoni si scambiano i ruoli. Buoni i partigiani e cattivi quegli squadroni della morte che marciavano sotto un teschio? O cattivi i partigiani che ammazzarono preti e non, nella rossa Emilia, per molti mesi dopo quel venticinque di aprile? E buoni quelli che, nei vari cimiteri della penisola, vengono ancora oggi salutati, braccio teso, come patrioti difensori di una patria che sarebbe potuta essere invasa dalle orde comuniste dell’est? La verità e i fatti: una disputa che ci sarà sempre, finché gli uomini ragioneranno sull’onda dei borborigmi addominali. E anche oggi: i fatti di una convivenza civile e politica che non si generano da una verità delle cose, ma da illusioni di una potenza che può rendere vero il falso. Liberazione è un termine preciso: liberati da. Liberati da un avversario riconosciuto come tale. Non da un avversario inventato. Stupirebbe chiunque una alleanza con chi fino al giorno prima si è descritto come un demonio. Ma non è quello che avviene. Per il potere, per il gusto del potere, si rinnega quanto si è predicato fino a un momento prima. Basta qualche illusoria promessa, qualche divinazione di un proprio futuro. La pagina evangelica delle tentazioni di Gesù potrebbe essere – ma non è – il manifesto di coloro che sanno prendere le distanze giuste, continuando a chiamare per nome chi ci è nemico. Non che non sia accettabile un compromesso: la politica, si è detto, è l’arte del compromesso. Purché sia nella verità, e nella trasparenza: purché riveli con chiarezza i limiti che hanno condotto a quel compromesso. Dire che si è esagerato nell’inventare un avversario malefico; ammettere che i fatti sono stati negati, negando la verità buona dei fatti; e dire che sì, insomma, siamo uomini, e tutto è lecito , ma fino a un certo punto nel demonizzare gli altri. Raccontarsi insomma, perché fatti e verità finalmente coincidano. (Dovevano avere, nelle intenzioni, un andante diverso queste righe. Volevo arrivare a parlare della ‘liberazione’ che sembra assumere la celebrazione della cresima per una quantità di ragazzi. Finalmente basta: liberi da… E dire che la Chiesa dovrebbe porsi finalmente il problema: il fatto del sacramento non è più la sua verità? perché dunque insistere in una prassi che non educa al fatto cristiano? perché ripetersi in tradizioni che rinnegano la Tradizione, quanto ci è stato consegnato dagli Apostoli? perché questa Chiesa incapace di sane potature in abitudini obsolete, che raccolgono ormai solo canuti e non parlano alle generazioni giovani – fatta ovviamente eccezione per quelli che scambiano per devozioni i santi segni? Riportare verità dentro questa Chiesa: dovremo aspettare ancora molto? I revisionismi sono già avviati anche per lei, questa nostra santa chiesa cattolica, ancora apostolica?, ma tanto invecchiata: non fosse per lo Spirito che la abita, ma non fosse per lo Spirito dietro cui ci si nasconde!).