Finalmente è l’avverbio di chi si è trovato sul carro dei vincitori. A parte che ci si presume vincitori non essendolo comunque, che piaccia o no. Finalmente tocca a noi: ma se lo dicono gli uni e anche gli altri, dove è il vincitore? Si scrive, e si dice, che per vincere occorre pescare nelle file dei nemici: ma, gli uni e gli altri, fino al giorno prima, a proclamare che nessuno osi cambiare casacca; evidentemente rivolto ai propri, ma se lo fanno gli altri, ben venga, dato che noi i numeri non li abbiamo. Eccetera, eccetera. Questi i risvolti in cui si rifugia chi deve elaborare il lutto di star camminando accanto al carro dei vincitori (ma chi sono quelli che qua e là rompono le file e stanno saltando sul carro? giornalisti? imprenditori? prelati?). Eppure non sono pochi – il quasi 19 per cento di 76 fa 14, che sui 46 milioni di chiamati fa oltre 6 milioni e mezzo; e checché sfottano quelli che si sentono accusati di scegliere dalla pancia e per la pancia, sono quelli che un po’ di testa in più ce la mettono. A rischio di essere accusati di votati all’autoannientamento. Perché, una delle due: o si avvalgono, pur di vincere del tutto, di quelli che hanno massacrati fino alla vigilia, o si imparentano tra loro, gli pseudo vincitori del ventre. Componendo una massa di populisti sconosciuti fin’ora alle istituzioni europee. Ma certo: il loro bersaglio comune non è quello di star dentro l’Europa come pretendono di starci quei paesi dell’est, vogliosi di diritti e noncuranti dei doveri? Non li hanno forse frequentati, e non hanno forse condiviso con viaggi in Russia e nelle Corea del nord? Trumpiani di vocazione, o putiniani, che è poi lo stesso? Con dazi che richiamano sovranismi nazionali: proprio ciò che ci ha salvato da guerre finanziarie che in passato sono sfociate in conflitti armati. Cassandra docet. E poi: lo zero virgola che hanno raccolto quelli che si sono presentati fieri di essere fascisti non può distrarre dal fascismo sotterraneo che è fatto di odio razziale, e di disuguaglianze pratiche, che nutre i panciaroli. Non si può recitare che non c’è più destra e sinistra, così annullando quel sano conflitto che fa nascere una vera democrazia, e non una popolocrazia: dove chi comanda non è il bene comune ma l’individualismo più sfrenato. Dove uno vale uno si rinnega il noi. E così si pensa di riandare al voto? Se con la stessa legge elettorale, sarà inevitabile che si alleino in coalizione i due mezzi vincitori di oggi. E vinceranno a larghe mani. A meno che nel frattempo quelli che si sono illusi che cambiare è comunque una panacea, si ravvedano; e turandosi il naso di montanelliana memoria, ma ben aprendo la bocca ad avvertire di non accettare più, nel presente per il futuro, cerchi magici, gigliati o no, ridiano finalmente forza a chi può traghettare verso un popolo che fa delle diversità una ricchezza. (Anche nella Chiesa si è detto a buona ragione che si deve cambiare in un mondo che cambia. E si è pensato che cambiare volesse dire riformare le istituzioni! E non riformare le persone, e le loro relazioni: laici con preti, e preti con vescovi. Ascoltare le vibrazioni di quella che un tempo era chiamata la chiesa che ascolta rispetto alla chiesa che insegna: così accorgendosi che si usano gli stessi criteri pur avendo cambiato il linguaggio. Se non si fanno sbattere i fedeli – laici, preti e vescovi – in faccia al Vangelo, si avranno cattolici che votano contro il Vangelo. Come è successo. Ma allora, scusate, che cosa stiamo predicando?).