Di una festa? di un anniversario? No, di un voto. Anzi di milioni di voti che si rovesceranno su un futuro prossimo. Qualcuno ha scritto – o declamato dalla tv – che nessuna campagna elettorale è stata brutta come quella che si chiude oggi. Forse. E qualcuno non lascia lì senza spiegazioni, bontà sua. Ragioni del brutto che tuttavia si possono travolgere dal contrario: è brutto dire che l’avversario mente? o dire che le spara grosse? o accusarlo di essere troppo vago per essere vero? Mai come in questa vigilia il cielo si presenta scuro: non certo per la benefica neve che sta impoetando questi nostri giorni qui in collina; ma un cielo foriero di instabilità – nonostante qualche parte stia cantando vittoria ancor prima di sapere se da casa al seggio qualcuno non finisca per cambiare parere per l’imbarazzo dei sondaggi. Ci si accorda, dopo mesi di trattative come in Germania? o si ritorna a votare a settembre? e per tre volte come in Spagna, dato che, almeno nell’immediato, il cittadino europeo non sa correggere gli errori? Ma – e qui nessun ma è più sottolineabile di questo – allora il silenzio dei vescovi? (e finalmente!, dirà qualche acattolico che negli anni ha macinato bile per l’intrusione della Chiesa nei fatti italiani). I vescovi si preoccupano di mantenersi equidistanti da ogni schieramento politico? Giusto: è richiesto dalla natura religiosa della loro missione, ma anche per evitare che il pluralismo dei cattolici, legittimo in politica, produca lacerazioni e divisioni nella vita della comunità ecclesiale. Tuttavia, la necessaria equidistanza dagli schieramenti partitici non significa neutralità di fronte alle implicazioni etiche e sociali dei diversi programmi politici. Ed oggi si può permettere che non avvenga un discernimento tra proposte che in forza di un egoismo nazionale, si impalcano con rosari e testi del vangelo a difensori di una civiltà che è incivile e dunque anticristiana? C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare, disse nel lontano 1995 il cardinal Martini: “La Chiesa non deve tacere perché in Italia è in gioco la sopravvivenza dell’ethos politico. Non è la Chiesa come tale a essere in pericolo; è la natura stessa della politica e quindi della democrazia”. E il cardinale –siamo a ventitré anni fa ma risuona il suo allarme quanto mai attuale – esemplificò così, nel discorso di sant’Ambrogio rivolto alla città: la Chiesa non può rimanere neutrale o muta nei confronti di una cultura politica che contesta la funzione dello Stato nella tutela dei più deboli; nei confronti di una logica decisionistica che cerca di estorcere il consenso per via plebiscitaria; dinanzi al diffondersi di un liberismo utilitaristico che fa del profitto, della efficienza e della competitività un fine, a cui subordina le ragioni della solidarietà; in presenza di una politica che si rifà a una logica conflittuale inaccettabile. Dai pulpiti delle mille chiese italiane è scesa qualche parola di discernimento? O si lasciato che ciascuno sbandasse secondo se stesso? Una predicazione del Vangelo può finalmente attingere alla libertà di tradurre nei fatti che si vivono e secondo le persone che sono date. Non solo può, ma deve. A costo di far storcere il naso a chi si sentiva ormai rassicurato da preti rinchiusi in sacrestia.