Se non fosse che bisogna pure tenersi un poco in contatto con il mondo, scollegherei il tv di casa mia. E non solo perché il canone che paghi è dato solo per il riciclaggio continuo di cose viste e riviste almeno cinque volte (parlo dei telefilm gialli che sono l’unico mio divertissement); e non solo perché i telegiornali hanno la fattura di pastoni, dove la cosiddetta par condicio li infila l’uno sull’altro – i politici, intendo – senza alcun discernimento. Così provocando quegli accumulati popoli dell’ignoranza che siamo diventati, pur nei diversi dialetti, che – ora disimparati – ci potrebbero salvare. Quel che sta avvenendo in questi primi giorni dell’anno, mi ricorda quel proverbio che avverte di stare attenti al piede di partenza: Arda come i va i dé dal du al dùdes de Zenér: anno buono o cattivo? vero o ipocrita? Dal due gennaio a oggi se ne sono sentite di tutte: prima dentro poi fuori l’euro; quattrocento – o quattromila? – leggi da cancellare (operazione che già fu slogan di un ministro bergamasco, cui, pur capace a proprio dire di porcate, non riuscì neppur per una); basta tasse universitarie per tutti – e detto dalla sinistra che si mette a sinistra fa arricciare i capelli anche ai calvi, per il principio di non contraddizione che vorrebbe contributi diversi a secondo dei redditi: e su tutte le tasse; riesumare vecchie leggi sulle pensioni, che (all’erta giovani che state votandoli!) metterebbe nel baratro un intero futuro. Insomma, direbbe sempre l’antica saggezza popolare, töcc i cà i fa ‘ndà la cua; töcc i coiò i völ dì la sò. Il problema è, più volte sottolineato, che politici non si nasce: si diventa. E si diventa imparando: le sane scuole di formazione che gli antichi partiti avevano, sono soppiantate da internet, dove tutti diventano bravi ascoltando i ribollimenti del proprio ventre. E diffondendoli. Dimentichi di quel proverbio milanese che sulla sponda di dirimpetto al mio paese risuonava severo: offelee, fa el tò mestee. La competenza, ecco cosa sembra mancare in questi primi giorni di gennaio, ma non solo da ora. Il sapere che conduce al discernimento: discernimento che si acquista con fatica, con studio, e non certo nei prati di quei mascherati nuovi celti che dei celti non sanno nulla; o di quelle piazze virtuali, finto-democratiche, che di fatto impongono un liderismo senza confronto. Parlando a dei giovani, ieri il ministro dell’economia avvertiva: “Diffidate di chi vi propone delle scorciatoie, da chi vi dice che i problemi sono semplici e che le soluzioni sono a portata di mano. La verità è tutt’altra: i problemi sono complessi perché complessa è la società. Se fate una scelta che produce benefici per alcuni, probabilmente dovrete finanziarla con risorse da sottrarre a qualcun altro. Che non sarà contento. La politica economica è fatta di scelte che allocano risorse, magari spostandole da una funzione economica a un’altra. Ogni partito cercherà di conquistare la fetta di consenso la più ampia possibile, ma attenzione, non tutte le promesse sono realizzabili”. A questa buonsenso fa eco il vescovo Galantino: “Occorre un sussulto di onestà, realismo e umiltà da parte di coloro che chiedono il nostro voto”. Una intromissione del potere ecclesiastico, o una saggezza minima comune a chiunque ragioni? Un tempo i preti erano anche maestri nei paesi: insegnavano il Vangelo partendo dall’abc della scrittura per innestare l’abc della vita: saranno i pulpiti odierni capaci di coniugare Vangelo e città?