Per quei due miei lettori che sentono questo nome per la prima volta: è una che aveva il dono della profezia. Ma, si sa, non tutte le profezie sono gradevoli. Dunque quando predisse che la sua città sarebbe stata distrutta, non fu presa a sassate, ma quasi. Anzi peggio, perché i contemporanei pensarono bene di passare a noi il suo nome come foriero di sventure. Chi vede sentieri storti, e avverte, non solo anche oggi non è ringraziato, ma si sente dire: non fare la Cassandra. Cui si dovrebbe rispondere: e tu non fare lo struzzo; immergendo gli occhi nella sabbia o voltandoli da un’altra parte, non ti salvi. Così può sembrare a qualcuno fuori luogo usare in tempo d’avvento parole che apparentemente non sono di speranza. Apparentemente: perché vivere di speranza vuol soprattutto dire accorgersi. Di quel che avviene, che diventa segno di quel che verrà. Stolti!, capaci ormai di leggere nel cielo delle matematiche meteorologiche quando nevicherà oppure no, e del tutto incapaci di lasciarsi cogliere da fremiti di ragionevole timore di fronte a una umanità che sta scivolando. Chi ancora pensasse che non tocchi ai pulpiti cristiani occuparsi delle cose della terra – ma soprattutto di quelle che vanno sotto il nome di politica – non solo è fermo a quella cantina di pregiudizi che han fatto fiorire le cose peggiori nei decenni scorsi sulla responsabilità personale; ma, e principalmente, si prepara a scartare le possibili voci che facciano da corno di richiamo alla vigilia di tempi bui. Lo sapete: dire dai pulpiti la parola comunismo – contro, naturalmente!? – non solo è possibile, ma desiderabile. Dire la parola fascismo, no. Non capendo che già è fascismo non poterla pronunciare. Predicare che il fascismo è l’esatto opposto del fatto cristiano: perché – nazionalista autoritario e totalitario – nega ogni premessa di quella fraternità senza la quale non si fa Vangelo; e dunque avvertire che le fobie contro la libertà degli individui e l’ospitalità allo straniero necessariamente sconfinano da una appartenenza verace alla Chiesa: questo non può essere taciuto, o rimosso nel panorama che il nostro mondo sta vivendo. Non è enfasi esagerata oggi l’avvertenza di persone attente sulle orde nere che avanzano nelle menti di troppi nostri connazionali, di troppi che frequentano le nostre chiese (la storia è maestra? macché!). Essere costretti a marciare contro le marce di individui che già han scelto la divisa, e che già si sono posizionati di fronte agli avversari, giornali o sedi di volontariato, è il segnale di un pezzo di terreno già perso. Siamo in una vigilia: e in vigilia le sentinelle ancor più debbono scrutare. Perché non si finisca in quei tanti natali che sprofondano in un clima festoso dimentico del dolore che non vien mai meno. Natali sordi e muti: se non sono la festa dei poveri betlemiti dell’oggi, se non si sottraggono alla ipocrisia di chi si inscrive nella massa di chi chiude le porte della città, sottraendosi all’arte del “buon vicinato” che prepara ogni pace. Specialmente se credenti, occorre osare, per fare di questo Natale una qualche rinascita. E se per arrivarci occorrerà prenderci il fardello di cassandre, sarà un prezzo giustificato della fede che ci rende liberi. Di fronte ai potenti del mondo. E agli arroganti.