Il termine latino meglio di pietà: nel mondo greco-romano indicava un atto di sottomissione: anzitutto la devozione dovuta agli dei, poi il rispetto dei figli verso i genitori. Oggi, traducendolo con pietà, lo si identifica con quel pietismo, piuttosto diffuso, che è solo un’emozione superficiale e offende la dignità dell’altro. In quell’altro mondo, da cui pure facciamo provenire tanta parte della nostra cultura, il rispetto di chi sta davanti formava un ammonimento a lasciarsi prendere per mano. E dunque, caro Cristiano, quanto mi scrivi riguardo al DaQui ultimo merita una risposta: “L’arrabbiatura con il prete di Bologna non era per le sue parole di condanna di un atteggiamento “a rischio”, quanto per la sua (apparente, a quanto pare) mancanza di pietà. Sbaglio? In compenso, oggi, un altro prete, sempre di quelle zone, ne ha fatta un’altra… Cosa sta succedendo?”. Appunto, cosa sta succedendo? La prima cosa che mi viene in mente è che i preti sono stanchi di essere confinati in sacrestia, dove stare bonini bonini a farsi le cose loro, non venendoci addosso con i loro disturbi celibatari. E sono stanchi di non essere riconosciuti nei loro sentimenti: che talvolta, come succede ad ogni altra persona, possono esplodere anche in un linguaggio non soave, o non misurato. Che vadano a confessarsi, certo, per i loro sbagli: ma gli vogliamo permettere di essere peccatori, e non solo per il sesto o il settimo comandamento? Saltargli subito addosso, con il libertinaggio favorito da Internet, senza aver ascoltato il tono, senza aver visto a chi stavano parlando? L’incriminata “se l’è andata a cercare” fuori dal contesto è certamente irricevibile: ma quanto pietismo ipocrita c’è, solo perché questo è mio figlio? Non è forse un genitore l’ultimo che vuol accorgersi dell’abisso di devianze verso cui si sta incamminando proprio il suo di figlio? La pietas è ammonire: e questa azione ha talvolta bisogno di uno scandalo apparente, per svegliare dal sonno; ha bisogno di quel pugno che papa Francesco ha detto di essere indotto a dare a chi parla male della propria madre. E molti a commentare allora (molti di quelli che Francesco proprio non se lo fanno digerire) che un papa certe cose non le deve dire. O le deve dire? E le deve dire un prete accorto? E non può non dirle qualsiasi adulto cui stia a cuore che certi esempi siano bollati, con forza, perché finalmente ci si scuoti? Dire poverina è rispettare la sua dignità, quella che ogni pietà vera esige? Ed anche: stento a credere che il secondo prete di Bologna abbia voluto assolvere il capo dei capi siciliano contrapponendogli la capo dei radicali. Semplicemente ha voluto richiamare un precetto del Signore, che racconta a chi vuol ascoltare che la vita è vita per tutti, e a nessuno è lecito violentarla, né nel grembo materno, né nel lungo arco di una esistenza. E magari (e spero che quel bolognese prete abbia aggiunto) non violentarla neppure impedendo alla vita di morire con dignità: che è poi l’ultimo atto di pietas chiesto a un uomo, che sia o no cristiano. So, per quanto ti conosco, che condividi tutto questo. Ma ti dirò che talvolta – guardando a destra e a sinistra e in su e in giù – mi sento come Ovidio esiliato tra i barbari di Tomi sul Mar Nero: diceva di sentirsi lui un barbaro, perché non ne capiva la lingua. Ecco: oggi il gorgoglio di pancia che parlano in moltissimi, non lo capisco proprio. E, ti dirò, preferisco essere un barbaro, uno straniero.