Mi auguro che molti cattolici si siano chiesti chi sia stato Lutero – in questo anno, che tramonta alla fine d’ottobre, dedicato alla memoria della riforma protestante avviatasi cinquecento anni fa con quelle 95 tesi che forse sono state affisse, e forse no, sul portale della chiesa nel castello di Wittenberg. Chiedersi chi era questo giovane monaco non è secondario rispetto alla storia che ne è scaturita. Controverso fondatore, o solo uno dei tanti, Melantone e Zwingli tra gli altri, che si sono ribellati partendo da convinzioni diverse? non tutte teologiche, ma politiche, se non economiche? e poi accomunati dalla tradizione protestante in un unico movimento? Lutero la mente, gli altri braccia di una rivoluzione? Perché rivoluzione è stata, dalle sola fide, sola scriptura, sola gratia si è negata ogni mediazione della Chiesa: niente dottrina delle buone opere, nessun merito della vita monastica, niente sacramenti dell’ordine sacerdotale, della confessione, e della Cena, ridotta a pura celebrazione conviviale (tanto che, alcuni miei giovani finiti in America con l’Erasmus si sono trovati a partecipare a “messe” a base di coca cola e patatine – ma questo non c’entra con il luteranesimo d’origine controllata, semmai a quelle frammentazioni inevitabili per chi si ritiene fonte originale nell’interpretare la Scrittura e il proprio agire morale). E poiché gli storici su un punto sono concordi – che il conflitto di Lutero non ebbe l’intenzione di mettere in discussione la chiesa e il papato, ma solo dal porre la questione della illiceità teologica del commercio delle indulgenze – come si è finiti oltre? Si sa che gli epigoni tradiscono i maestri, soprattutto esaltandoli. Ma Lutero, poi, dopo quella sincera indignazione per il gran peccato della chiesa del suo tempo, ci ha messo del suo. Ecco perché è utile sapere chi è stato. Per sapere che cosa ne è stato, nei secoli, di quella accorta riforma della chiesa che era nei suoi desideri. Lui, monaco agostiniano, dalla sofferta vocazione ecclesiastica (ebbe una sua notte buia e proprio nel momento del consegnarsi), si è visto rapidamente affiancare da discepoli che nella novità delle dottrine trovavano la consistenza di una vita altrimenti non più religiosamente significante. Ma invece di reggere dentro la chiesa, di fare resistenza dentro, si è chiamato fuori: smonacandosi; e sposando quella Caterina, lei pure uscita di convento, che gli avrebbe preso non solo il cuore ma pure la conduzione dell’esistenza. Lo si vede da quei discorsi a tavola: certo la raccolta delle conversazioni informali alla tavola di Martin Lutero e di sua moglie Katharina von Bora, su temi quali la teologia, l’attualità politica, l’accademia e la vita quotidiana, fanno emergere un Lutero diretto, a tratti violento e persino volgare. Una deriva, e non la si comprende, se non come una nemesi per un uomo che pure era stato predicatore della grazia. Che è bellezza di Dio. Per la sua vita, lasciare il ministero è stata una decisione forse giusta, forse affrettata, forse sbagliata: non è nel mio giudizio. Ma non stendere la mani alla grazia, questo se lo è fatto mancare, poi. Apparentemente. Secondo quei suoi biografi orgogliosi di lui, della sua umanità anche corrotta. La grazia è un dono; ma vuole corrispondenza; e umiltà nel lasciarsi prendere per mano. Sia chiaro: a me Lutero piace; anche se fino a un certo punto.