acquarelli estivi

Si sa, quando meno sei accalappiato dalle cose da fare, tanto meglio i pensieri vengono a galla. E se poi ti cerchi anche un luogo che favorisce… Sulle rive dell’Adda, sotto quel salice imponente che struscia i suoi rami sull’acqua, don Santino il posto l’ha trovato. E alcuni tardi pomeriggi se li è presi, in quest’estate torrida che tutti descrivono con il verbo “percepire”. La percezione della realtà che non è la realtà: “sentono” tutti, uomini e donne, più caldo di quanto faccia. Così di dice, e si scrive. Con quale fondamento scientifico, don Santino non se lo spiega: se il termometro è a trentacinque, perché dovremmo soffrire a quaranta? Ma neanche tanto ci mette la testa. Che dicano e scrivano, al primo grosso temporale d’agosto si sarebbe tutto dissolto! Quello che gli rimbalza, è che su tanta parte della vita si usa ormai la percezione come strumento di interpretazione della realtà. (Molto parente, ma meno nobile, di quando si dice: “io la penso così” – con quella ostinazione che rivela l’assenza determinata di un ascolto delle ragioni opposte!). Fino a snaturarla, la realtà, o a caricarla di significati altri rispetto a sé. E’ successo a lui (ma a quanti altri?) di soffrire per un fatto colto in maniera esattamente contraria; e solo perché qualcuno ha deciso di credere più a una versione percependola come più attinente a sé, in barba alla verità dell’accadimento: usando filtri che lasciano scorrere solo ciò che si vuole per sé. L’accanimento terapeutico nell’uso della psicologia ha condotto a stravolgimenti dei propri vissuti in forza di soluzioni che accomodassero i sensi di colpa; qualcosa che quel nostro prete abduano ha sperimentato in certi colloqui con persone intente a cercare una via d’uscita da un passato da cui ricavavano solo frammenti negativi. Impedendosi il bene e la bellezza che pure si erano vissuti. Convincere che quel che è stato del proprio “improprio” passato è tutto cancellato per chi si abbandona alla misericordia del Signore, è da sempre  il suo punto forza; non esiste peccato, dice, che ci si debba trascinare per tutta la vita. Forse dovremmo tutti, e dice a se stesso don Santino, lasciarci accarezzare più spesso dalla brezza che scende dallo stormire di questo salice che ora mi mette in ombra. E che si descrive piangente: ma è la sua forza e la sua verità nel panorama della terra. E dunque occorre reagire, quando percepire è negarsi alla verità delle cose, dei fatti, delle occasioni. E delle relazioni: dell’amicizia e dell’amore. E della inseparabilità della felicità e del dolore. Accanirsi a vivere dentro la fatica della debolezza – senza lasciarsi liberare verso una gratitudine, sia pure segnata da imperfezioni – non è il Vangelo dei cristiani. Non è quello che tento di predicare, e che ho sperimentato personalmente come libertà. Se lo dice, don Santino, in questo tardo pomeriggio d’agosto, mentre l’ultima luce del sole ancora scavalca le sponde di questa valle del fiume.