Così, tanto per concludere le note sulla immagine di Chiesa che si rappresenta al mondo (ma è cosa concludibile? per adesso …). O immagine che il mondo rappresenta in una sua parzialità, certo riprovevole, ma non toccando l’essenziale. Anche perché l’essenziale è comune all’una e all’altro: ed è il peccato del potere. Il peccato che Gesù ha descritto come alternativo a Dio. O l’uno o l’Altro. O mammona o Dio. E mammona non è solo traducibile con denaro. Anche: e nella Chiesa e per il mondo sembra essere uno dei tanti traguardi di una vita. Molto più: per la Chiesa è appunto il tesoro nascosto, quello che sta nel cuore dell’uomo, non rassegnato alla sua creaturalità, ma sempre alla ricerca del competere con Dio; e proprio nell’apparire del potere – che si veste sontuosamente ed opera scorrettamente per difendere privilegi non scritti nel Vangelo. Li avrete sentiti certi liturgisti sospetti e alcuni giovani preti dire che le casule da duemila euro sono a gloria di Dio? o che poter duellare con uguali stampi con i governi è per difendere il regno di Dio? o che riconoscersi gerarchicamente attraverso titoli è assimilare sulla terra troni dominazioni principati e potestà (!), e così prepararsi alle grandi sorprese angeliche del paradiso? Un potere sulle anime, che nei secoli ha prodotto guasti teologici che hanno condotto a scismi e a dichiarazioni di eresie. E un potere che si è avvalso di strumenti umani, usati nella finanza con le stesse scorrettezze del mondo. Per una immagine così, che riempie riviste e schermi televisivi, come pensate che si possa ancora mostrare il vero volto della Chiesa? Che è un volto di peccatori, innanzitutto. E da dire senza vergogna: non nascondendo su piedistalli la pochezza degli uomini che sono stati chiamati a custodire l’integrità evangelica, in se stessi prima ancora che predicando agli altri? E poi è una comunità che nel suo piccolo (non è forse il piccolo resto, e sue immagini non sono forse il granello di senape e il pizzico di sale?) sta a fare da trasparenza al Salvatore del mondo. Ma, appunto, senza la sobrietà, Lui non lo si fa intravedere. I due preti che il papa ha finalmente riconosciuto come veri, sono stati mazzolati proprio perché ribelli (ma sempre ubbidientissimi) a una Chiesa che non si sentiva attratta dai lontani o non si teneva lontano dai mezzucci per attirare i figli dei poveri. E con don Mazzolari e don Milani ha riconosciuto anche quei preti che hanno imparato da loro a vivere il Vangelo: restando peccatori, ma credendo fermamente che senza una rivoluzione dell’immagine ecclesiale, il Vangelo sarebbe stato sotterrato sotto bar d’oratorio, e incoerenze varie. Nel loro piccolo, i preti di dopo hanno anche loro pagato in diffidenza: anche se il vento del Concilio ha spazzato via almeno l’apparenza dell’aperto rifiuto. Ma non la sostanza. So di preti che non sono stati ammessi all’episcopato per quelle diffidenze. E di altri che vescovi sono diventati, dopo una accurato esame di fedeltà alle gerarchie, esame cui si sono per tutta una vita ben preparati: poi, come si dice tra gli ecclesiastici, ciò che lo Spirito santo non fa nelle nomine, lo recupera dopo. Che non so se, a cose fatte, non sia un tentativo di consolarsi, come la pioggia che inzuppa una sposa. Perché poi, in un mediocre circolo vizioso, saranno vescovi, magari puri della purezza angelica – e dunque di chi non ha corpo, ma essendo terrestri, non sarà che gli mancherà con il corpo anche una certa anima? – vescovi che non sapranno dire parole nuove al proprio popolo e a coloro che hanno sacramentalmente designato a guidarne le varie porzioni. Vescovi che non san dire che l’immagine di sobrietà è essenziale per i preti: non ho né oro né argento … ma per poter continuare con quel ma che segue, occorre davvero aver rinunciato a oro e argento. A qualsiasi mammona che abbia radici nel potere. Voi non siete principi: lo ha detto il vescovo di Roma, papa di carità universale, ai cinque nuovi eletti nel concistoro dell’altro ieri. Ma l’avranno ascoltato quei venerandi che li hanno preceduti, e a cui è stato detto sicuramente – perché è scritto nel rito – che la porpora di cui si sarebbero vestiti era il segno di una disposizione al martirio? O si saranno turbati, perché si davano certamente disposti al martirio, ma sempre pensando che il loro sarebbe stato un martirio da principi? Dunque spogliazione. Dunque sempre più Zagarolo. Sempre più le periferie di Bozzolo e di Barbiana. (E anche voi pensate che a una vera immagine di Chiesa occorra portare qui la salma di un papa? Io no. Anzi.)