“Lo ha costretto al passo lento, a ridurre la velocità. Ne ha imbrigliato la leadership vorace, che stritola tutto. Le immagini di The Donald, l’uomo dal passo svelto, dagli scatti in pubblico, il presidente precipitoso che tutto ritiene una zavorra da cui liberarsi, che lentamente percorre i saloni del Palazzo apostolico fino alla Sala del Tronetto e la soglia della biblioteca privata dove lo attende Francesco, sono un messaggio esplicito. L’antichissimo protocollo vaticano previsto per le visite ufficiali ha dominato Trump: i gentiluomini di Sua Santità in frac lo hanno stretto nel loro passo contemplativo e la camminata è diventata metafora, allegoria allusiva, parabola della pazienza che la Chiesa insegna come virtù cardinale e alla quale neppure uno come Trump può sottrarsi. Il suo macchinone nero e superblindato ha perso l’abbrivio con il quale ha attraversato la mattina romana, appena varcato «il Perugino»: motore al minimo, attento alle strettoie e agli angoli aguzzi e angusti dei palazzi vaticani fino al cortile di San Damaso. Lui, lesto e zelante smanettatore della politica fulminea gestita via social con tweet roventi che rottamano cose e persone in un baleno, avrà capito la lezione che gli ha riservato, inconsapevolmente beffardo, il protocollo vaticano e la sua millenaria regìa? Dentro vi è nascosto un valore pedagogico, secondo il quale la pura frenesia, soprattutto in politica e ancor più in quella estera, spesso rischia di portare a risultati disastrosi ( … )”. Nel bell’elzeviro di Alberto Bobbio, che è il vaticanista per il giornale bergamasco, uno spunto che è più di un avviso per naviganti: una lettura che sa partire da quel che avviene in un certo momento e in un certo luogo per prolungarsi su quel che il futuro potrebbe essere in quel luogo ampio che è il mondo: se non si innesca il passo giusto. Così la cosa che lui e noi abbiamo visto il mattino dell’incontro di Francesco con il presidente statunitense, è diventato uno sguardo per molto più di quel che la tv ha trasmesso. Ed è bello che, il giorno dopo, si siano potute leggere parole che nella trasmissione non si sono ascoltate: perché non dette. E dunque grazie al vaticanista nostrano, che è buono come il salame bergamasco: nostrano appunto. Perché se un appunto gli si può fare, nella piccola enfasi che non poteva mancare alla sua penna per quell’avvenimento, è sull’aggettivo contemplativo attribuito al passo dei cosiddetti “gentiluomini di Sua Santità”. A me, mentre aspettavo impaziente che quella processione si risolvesse in una corsetta (o almeno in un passo “umano”) è venuto in mente tutt’altro che una contemplazione (ma si sa, io son poco ecclesial-romantico, al dire dei più che mi conoscono): ricordate il marchese del Grillo di Alberto Sordi? E il suo saltello che fa inclinare pericolosamente la sedia gestatoria? Così, tanto per fare un dispetto a quel papa che non gliene passava una? Un corteo di Sediari pontifici con il loro frac viola, e i Gentiluomini in frac nero, tutti con diversi collari d’oro, a segnare il passo di una Chiesa che non c’entra nulla con il mondo. Perché non c’entra nulla con il passo del Vangelo. Finché il Vaticano sarà uno stato, dovrà anche seguire le regole di rappresentanza proprie degli stati? Ma chi l’ha detto? Il cambiamento – che i sani di coscienza evangelica si augurano, in sintonia con Francesco papa – nasce dall’immagine nuova che ci si dà. E da un nuovo linguaggio. E la Chiesa che si insedia nelle periferie non può essere segnata dal passo di quei signori (arrivati lì per benemerenze che non sono, tra l’altro, sempre trasparenti – per non ricordare la destra che non deve contare sul bene della propria sinistra). Se per Trump vale la lezione della lentezza, per la Chiesa occorre ormai un passo sollecito: perché i poveri d’anima si stanno moltiplicando; e perché il Vangelo non può e non deve seguire le regole fatue del mondo. Già in Santa Marta si è in gran parte metaforicamente creato quel Zagarolo che da sempre auspico. Ma si potesse fare un saltello decisivo!: i monsignori per carriera depongano le vesti che non siano quelle dell’innocenza meritataci giorno per giorno dal Salvatore; e non più vescovi che non abbiano un popolo di cui condividere profumi e miasmi; e il popolo di Dio, quello minuto, abiti le celebrazioni in San Pietro al posto di nobilume di varia estrazione. Un Vaticano trasformato in Zagarolo: sii benedetto Morselli, tu agnostico, per averci indicato la possibile via di una purificazione.