Andare a scuola con una pistola nello zaino? Con la Georgia, salgono ad una decina gli Stati degli usa in cui gli studenti possono portare pistole negli zaini. Tra questi, Texas, Colorado, Idaho, Kansas, Mississippi, Utah, Wisconsin e Oregon. Insieme ai luoghi di lavoro, nel corso degli anni licei, college, università, se non quando le scuole elementari, sono stati il teatro di stragi, uccisioni di massa, o anche singoli omicidi, compiuti per lo più da ragazzi. Alcuni di questi massacri sono diventati tristemente famosi. E nonostante il loro impatto emotivo sull’intero paese, non sono riusciti a modificare le leggi sul possesso delle armi. Dal 1990, sono state più di 250 le vittime di sparatorie nelle scuole americane, quasi 180 dal 2000. Le vittime devono essere moltiplicate: decine di morti, centinaia di feriti, migliaia di parenti, compresi quelli dei killer, le cui vite vengono devastate. Nonostante, il nuovo presidente assicura alla lobby americana delle armi da fuoco che questo diritto non sarà mai toccato. E dunque: di che si parla, da noi, della facoltà di sparare di notte sì e di giorno no? purché ci sia un evidente pericolo di restarci secchi? Legittima difesa: da sempre, e  non solo nelle leggi costituzionali degli Stati, ma anche nei manuali di teologia morale è inteso come principio. Appunto come principio. Ma il tema dovrebbe essere: armarsi tutti per l’eventualità di una aggressione, sconfigge o amplia il pericolo di soccombere? E poi: già che il principio è riconosciuto negli ordinamenti legislativi, per che cosa questa nuova legge? Per accontentare una destra che in ogni menù mette più di un pizzico di paura misto a odio? E dunque per una manciata di voti, che assicuri il posto fisso a politicanti di molta bassa lega? Ed eccola qui la pancia del popolo bue – come altri scrittori osano sfidare il politically incorrect, chiamando per nome il clima che prepara i venti fascisti. La concorrente al soglio presidenziale francese, dicendosi cattolica (alla santanché, per intenderci) difende il suo diritto di criticare il Papa “che fa bene a chiamare alla compassione”, ma essendo egli stesso un sovrano, non deve intromettersi negli affari degli altri stati. Ha o non ha un diritto? Per dei sovranisti dovrebbe essere facile la soluzione, se non peccassero all’origine (il loro peccato originale) della sovranità che si nutre di opposizione, e non di condivisione. Ma a proposito di diritti, il cardinal Hummer racconta: “quando io, sul sagrato di San Pietro, quattro volte ho visto, ai funerali di due Papi e all’insediamento di altri  due, che da una parte eravamo noi (cardinali e vescovi), dall’altra i rappresentanti dei governi (parecchi notoriamente atei e alcuni che si professano cristiani ma che forse sarebbe meglio se si professassero atei), mi domandavo che tipo di religiosità è questa. E sognavo il giorno in cui, per una manifestazione di questo genere, vedremmo là il popolo delle borgate romane, che hanno diritto di trovarsi col loro vescovo alla fine o all’inizio della sua missione”. Il diritto del popolo romano, contro l’immagine del sovrano papale a triregno: una bella scossa, forse quella che definitivamente riconsegnerebbe Pietro al suo mandato evangelico. Un diritto che insedierebbe il servizio, e non la potenza, e la carità come risposta a tutte le violenze del mondo, contro ogni presunto diritto alla violenza per rispondere all’aggressione. Perché armarsi prepara la guerra: sui posti di lavoro, nelle scuole, nelle chiese: i fatti di cronaca ormai quotidiana son lì ad avvertirci. Noi, i cristiani – come quelli vessati dall’Egitto alla Siria – si risponde con la frusta della parola, la stessa di Gesù, per ridare all’altro una primaria percezione della sua dignità: “Perché mi percuoti?”. E non con un colpo di pistola, che ne annienterebbe la possibilità di quel pentimento che gli spalancherebbe le porte del Dio crocifisso.