A proposito di porsi delle domande, piccole sulle cose piccole e mediocri che spesso inceppano la vita, ma le grandi sul destino di questo umano che ci è imbastito su un divino: non da tutti percepito allo stesso modo, ma da tutti riconosciuto seppur sotto nomi diversi. Domande che hanno sete di verità: sete insaziabile per quanto a lungo si viva, ma lì ad alimentare una inquietudine che ascolta, e si fa in alcuni, con accenti più forti, profezia. Cioè, una risposta, per quanto velata, su quel che si vive per quel che ci aspetta: qui, in questo terzo millennio dell’era cristiana, e per l’immediato. Ad esempio, a volte mi chiedo se sono un buon cristiano: e naturalmente mi do risposte diverse a secondo di quel che vivo in quel momento; meno mi chiedo se sono un buon prete, convinto che un buon cristiano farebbe comunque un buon prete. Ma appunto: che è un buon cristiano? La Chiesa costruisce buoni cristiani? E lo Stato, costruisce buoni cittadini? Quest’uomo è pensato, e fabbricato, al meglio da chi è chiamato a questo difficilissimo ma esaltante artigianato? O ci si fa da sé, e nessuno che s’impalchi a mio maestro? In qualche lettura classica che frammezzo a quelle più odierne, mi sono cercato il Gorgia di Platone. Perché ultimamente c’è una corsa a sostenere il diritto di tutti di parlare senza conoscere, o conoscendo secondo i propri interessi contro quelli di un bene comune: le piazze fomentate da certe reti televisive, ma certi giornali che hanno inventato la sinistra del no-comunque. Dunque, in stretta sintesi da internet: Socrate è arrivato in ritardo all’esibizione di Gorgia, un predicatore monologante, perché ha indugiato nell’agorà, la piazza, uno dei suoi luoghi di conversazione preferiti, oltre che il cuore della vita economica, civile e culturale di Atene. Callicle, che ospita Gorgia, dice che il sofista può ripetere l’esibizione a uso di Socrate. Ma questi però vuole piuttosto sapere da lui qual è la funzione della sua  arte oratoria, che cosa insegna. E lì nasce la differenza fra due modi diversi di intendere la politica del sapere: il primo, Socrate, sta in piazza, discutendo con gli altri da pari a pari, mentre il secondo si esibisce davanti a un pubblico come una celebrità; il primo fa domande, mentre il secondo dà spettacolo come una star accademica. In quanto, però, si professa esperto di retorica, capace di rispondere a qualsiasi questione gli venga posta, Gorgia accetta la sfida di Socrate e si confronta con lui nella modalità del dialogo invece che in quella dell’esibizione discorso-applauso–fine. Insomma, scende dalla cattedra. E lì, in quell’opera giovanile che anticipa temi tipici del suo pensiero maturo, esce l’idea di Platone sulla democrazia: secondo lui essa assumerebbe in maniera del tutto acritica l’uguaglianza degli uomini, rinunciando programmaticamente al principio di competenza. Non solo: ma così è destinata inevitabilmente a degenerare nella più terribile delle forme di governo: la tirannide (e vedi un po’ quanto sta avvenendo dalle piazze di Istanbul, il tributo a un dittatore in nome di una democrazia). E’ evidente che, riletta oggi, non si tratta di negare l’uguaglianza dei diritti, ma di sostenerla con l’uguaglianza dei doveri. Un cittadino ha il diritto di sapere e dev’essere condotto per mano al dovere del sapere. Può un cittadino andare a votare un referendum senza conoscere il che cosa gli si chiede? ma solo sull’onda di rivendicazioni fondate sulla nullità di slogan senza attinenza? E l’immagine della Chiesa di Cristo può essere rappresentata dalle parate più o meno festaiole del centro della cristianità, e delle periferie che si omologano senza criterio; o dev’essere invece salvata dai superficiali ritocchi estetici che rischiano di far perdere il sapore del sale nella piccolezza del lievito? e questo con assidua opera di evangelizzazione che tocchi il cuore invece delle strutture? Chi, per professione, ha bisogno del consenso della maggioranza non può permettersi di parlare francamente: e se Francesco papa lo fa, sulle orme di quella minorità insegnata dal santo d’Assisi, viene impallinato nella sua stessa Chiesa; e se uomini politici agiscono non badando alla poltrona a tutti i costi, nuovi sofisti rovesciano dalla testa alla pancia il pensiero delle moltitudini. Delegare non è umiliante da parte di una moltitudine che non ha ancora avuto gli stessi mezzi: è l’umile riconoscimento di un limite. In un momento in cui stanno proponendo l’auto senza guidatore, senza qualcuno che ti prenda per mano di quale certezza di viaggio può rincuorarsi l’umanità? 

P.S. 15 agosto 2016 – A proposito di deputati che neppure sanno l’italiano, tra i commenti della rete, questo può essere d’appendice all’articolo: Il “marciume indegno” va all’Assemblea Regionale Siciliana  o in Parlamento o in consiglio regionale solo perché viene votato da noi, mica per magia o per qualche strano virus. E poi qualcuno ha il coraggio di criticare Renzi perché governa “senza la legittimazione del voto popolare”. Sono questi i risultati del voto popolare! E poi vedo deputati candidati grazie a 30 click sul blog o all’acquisto all’ingrosso di tessere o preferenze da parte di chi mai ha letto una pagina di educazione civica o, quanto meno un giornale al mese. Chi consiglia di votare NO al referendum sulle riforme (solo per votare CONTRO, come sempre facciamo in Italia ) ha pensato per un attimo che siamo a questo punto proprio perché il sistema elettorale e istituzionale in generale va pesantemente riformato? Ora che un po’ si prova a farlo, votiamo no solo perché Renzi ci sta sulle scatole? Siamo patetici.