Verità e profezia: parole che sembrano andare contro corrente: e oggi, in questo mondo che sta cadendo come aereo trascinato in vuoto d’aria; e in un’ora in cui tornano azioni che si pensavano confinate nel buio di un certo medioevo – sgozzare, e su un altare. Come nel dramma di Eliot, quel delitto nella cattedrale che è l’emblema di ogni uccisione delle verità che denudano il potere. Verità e profezia, parole che rendono inevitabile porsi domande, ma che nello stesso tempo apostrofano come ribelli, in sospetto d’eresia, o, al meno, coltivatori di zizzania quelli che le pronunciano, quelli che ne scrivono. Se non ipocriti, e solo perché si espongono: pur facendolo in nome non di una propria purità, ma di un dovere alla purità propria e altrui. Se non pretenziosi: come se la verità sia diversa se detta da un diplomato scrittore da libri intonsi o da un balbuziente che sta nelle periferie dove si vive. Non si lasciano nascere profeti dentro la Chiesa – e talvolta li si uccide (in pensieri, parole e omissioni) come nella buona tradizione del primo testamento, salvo poi riscattarli a morte avvenuta – perché da sempre li si pensa roba da uomini tristi. Come se la gioia non consistesse nell’aiutare l’uomo a rivivere di continuo, a dare l’indicazione a lasciarsi partorire di nuovo seppure nel dolore. È il dovuto andare contro corrente, che innesca di contrappasso il tentativo di zittire quanti denunciano i tumori che si sono insediati qua e là nel gran corpo chiesastico. “Come ti permetti?” è nello sguardo di chi si è accomodato dentro storie che si coprono o con spiritualismi dai panni cospicui, o in panni sporchi che neppure trattengono residui di spiritualità. Celebrazioni dell’apparire: non più le cattedrali come il luogo dentro cui la profezia assume il rosso del martirio, ma palcoscenici su cui si rappresenta sé, teatralmente avvolti in seriche vesti, e in omelie che non toccano il cuore del Vangelo, perché non toccano lo stomaco e il cuore, insomma la carne delle persone. E si sviluppa l’antiprofezia, come il luogo che disgrega nella idolatria di tutto ciò che stordisce perché seduce: non più lo sguardo limpido alla ricerca della vita e dell’essere, e dunque della verità, rendendola un di-vertire – uno stornare dalle uniche cose necessarie. È l’opposto del verificare; e verificare è rendere ragione delle domande che la vita non risolve mai una volta per sempre. Anche nella Chiesa si vuole imparare dal mondo? Trasparenza, e sia anche teologica, sul vissuto ecclesiale, così come si è ingessato da alcuni secoli (è ”il siamo molto in ritardo” del cardinal Martini, e si riferiva alla traduzione evangelica per un mondo che non ne capisce più la lingua). È una rivoluzione dovuta, o una anarchia, quella che temono tanti episcopi (ed episcopabili)? E invece, prevale un conformismo che conduce ad appiattire il bene sui beni; e dunque a lasciare che la diversità dal mondo, che il Vangelo chiede ai credenti, si sfianchi sempre più in un adeguarsi senza più identità. Eppure senza identità, ce lo insegnano da sempre i saggi che hanno attraversato la vita, non c‘è più il sé, non si è più per nessuno. Non si è, per chi è diverso da noi per cultura o per fede: e ci si odia, e ci si sgozza. E pure nelle relazioni con chi la vita ci ha messo vicino, se non si nutrono di sé, si smarriscono: le relazioni vere, non quelle di complici che vogliono assecondarsi a vicenda nei propri stati inveritieri. E così la misericordia la si può dare e ricevere solo nella verità dell’essere. Perché il perdono è più facile della dimenticanza. Restando la difficoltà del dimenticare come il segno della propria fragilità, che chiama insistentemente alla verità delle cose. Quelle di questo mondo, e dell’Altro. Non che qui, per il passaggio dall’anno mille a oggi di molti uomini dell’annuncio, si sia stabilita la fonte della profezia. Guardi il cielo! Ma da qui, su questo colle, le nubi temporalesche non si vedono sopra ma davanti, dalla finestra che guarda sui tetti ma ti prolunga sino alla cerchia degli Appennini: quando il cielo si fa translucido nel colore del piombo.