Certo è il sentimento di questi terribili giorni, per uomini e donne di quella terra che non smette di sussultare, dopo la scossa che ha seppellito centinaia di familiari. Una paura ormai inscritta nella genetica di quegli abitanti, che non possono neppure sperare che quei fenomeni siano occasionali: loro e i loro nonni e i loro trisavoli sanno del ripetersi, a distanza di pochi lustri, dell’infamia delle viscere di quella terra. Una paura che tuttavia non li allontana, in una lotta che gli insegna, di volta in volta, a ricostruire e sempre un po’ meglio. I mostri, anche questo è nel loro nobile diénnea, si sconfiggono non arrendendosi alle loro zampate funeste. Ma di un’altra paura scrivo: di quella che è alimentata – in questo popolo di emigranti dalle Alpi alla Sicilia, per i migranti che ora bussano dalla Sicilia alle Alpi – da imbonitori televisivi e cartacei, e da alcuni sindaci di una terra, quale quella bergamasca, che della necessità del varcare le soglie della Svizzera – e non per chiedere ma per arricchire di strade di case e di banche – ha provato una umiliazione che dura da settant’anni. Ma non vorresti mai che nel numero di chi alimenta questa paura ci fossero quegli imbonitori da pulpito che sono i preti. E invece sì: ci sono paesi dove il parroco vorrebbe e il sindaco no; e paesi dove il sindaco vorrebbe e il parroco no. Vogliono insegnare al papa a non essere buonista, sui loro fogli anche appesi alle porte delle loro chiese: manco fossero le grida di Lutero, ma all’incontrario. Non avendo probabilmente mai introiettato, nella loro formazione, che la giustizia è il cemento della bontà; e la misericordia è la porta spalancata nei muri di cemento che pure sostengono una casa. E dunque accusare di buonismo è solo una scappatoia ridicola per non caricarsi della bontà. Il papa sbaglia dicendo “le persone devono essere amate e le cose usate; ma il mondo va male perché amiamo le cose e usiamo le persone”? Dunque chi stesse sulla soglia di questa assemblea, con il desiderio di incontrarla, sarebbe inevitabilmente indotto a pensare che il Vangelo sbaglia, che Cristo ha sbagliato nell’accedere alla Cananea. E volterebbe le spalle. Anzi, le sta voltando. Alimentare la paura dell’altro, del forestiero da parte di un prete è paura di che? paura di perdere la roba? di perdere il ruolo? o è la paura di perdere se stessi, dovendo rifare i conti con una formazione che li ha sempre fatti credere che mettersi a destra (dando e indicando di dare il voto a partiti di destra, avessero o no un pensare cristiano) fosse inevitabile dopo che “il Figlio è salito alla destra del Padre”?! Nascondendo la paura del forestiero nella paura dell’islamico, dunque ritenendo che ogni musulmano sia un terrorista. Un poco (o più) ignoranti sono, soprattutto quelli che vi dicono che il Corano loro l’han letto. Islamici terroristi, come cattolici terroristi nell’Irlanda del Nord, tanto per non cercare equivalenze di male al tempo delle Crociate? Paura degli islamici come la paura dei comunisti, per questo clero bergamasco che ancora non sa prendere le distanze da errori e confusioni del passato. Nessuno ancora, che io sappia, ha guardato dentro questo “pensare cristiano” che ha avuto in Pio XII il suo capostipite; comunisti dunque atei, per la paura di quell’ateismo bolscevico che nulla aveva a che fare, nel ’48, con chi votava a sinistra qui da noi, soprattutto in chi viveva nelle grandi industrie delle periferie milanesi: una lotta per la palese ingiustizia di chi accumulava, e non spartiva, se non in stipendi da elemosina. Stare dalla parte dei “padroni” è il peccato originale che ci ha portato a queste cadute di presenze nelle nostre chiese: altro che la comunione in mano, o inginocchiati, o le balaustre tolte, come nelle interviste – eminenti solo per le vesti sgargianti in cui si avvolgono – di insignificanti spargitori di lamentazioni vaticane! L’indifferenza per Domineddio non è per la rinnovata liturgia, che non sia avvale più del tombale celebrare tridentino; è in questo schierarsi con i potenti, dimenticando che allora “saranno sbalzati dai loro troni”, ma ora impediscono a cuori giovani di essere raggiunti dall’ebbrezza dello Spirito; e lasciandoli in quel mare di inconsistenze che sono i social, dove ciascuno è senza alcun confronto, senza alcun conflitto, tanto meno con Dio. In questo scorcio d’estate una rilettura del Guareschi ci chiarirebbe che i seguaci paolotti di don Camillo non erano certo migliori degli adepti di Peppone. E don Camillo, che era un intelligente prete della bassa, dei comunisti non aveva paura, ci conviveva; e delle arroganze dei suoi se ne accorgeva.