Riuniti ad ascoltare e a dire sulla famiglia, dalla poligamica Africa all’Asia buddisto-confuciana, dalla spersa Oceania alla duplice America: con il peso di una tradizione europea invecchiata nella fede e nei costumi. E così, le sommarie cronache che escono dicono di una compattezza spirituale nella diversità di vedute. Ché, poi, è un motto di difesa scrivere “diversità di vedute”, quando alcuni cardinali, prima e durante, non sanno cos’è l’umiltà dell’attendere, del mettersi in sintonia ascoltando. Anche i cardinali, uomini!, soprattutto “si” ascoltano: il che non è esemplare per qualsiasi consiglio di una chiesa che voglia camminare insieme. E si assiste, tra l’altro, a una rinarrazione modernizzata della voxpopuli-voxDei, già collaudata nella leggenda di sant’Ambrogio, attraverso la spontaneità di un bambino: un giorno, mentre celebrava la messa con la Prima comunione – è un vescovo che racconta – un bambino, salito all’altare per ricevere l’ostia consacrata, l’ha spezzata in due e ne ha dato metà al papà che, essendo divorziato risposato, non avrebbe potuto riceverla. Sarà uscito un “bello, ma andiamo oltre” non riconoscendo al bambino una volontà divina? o è stato un episodio che ha “commosso l’assemblea”? Anche i sentimenti fan parte di deliberazioni pastorali, non c’è alcun dubbio; ma, chiaramente, se la commozione del cuore non è da confondersi con sentimentalismi, neppure è da buttar via con arguzie teologistiche, o esclusioni aprioriste. Così, se non è facile capire perché in una assemblea sinodale dedicata alla famiglia, escano proposte sul celibato dei preti (naturalmente da rivedere!) e sulle diaconesse (naturalmente da introdurre, e da riconoscere al modo anglicano: e prima che poi, gradino su gradino, diventassero vescovi); se non è facile, è logico: se non si vuol finire nella newage cattolica del familismo, o la Chiesa la si vede in tutta la sua globalità o non è. Sfuggendo tuttavia, appena possibile, alla tentazione di trasformare quell’aula sinodale in una stanza dai simbolici lettini d’analisi freudiana. Non sempre, si sa, è buona letteratura quella che accompagna i professionisti dello scavo psicologico: “Si prendono i soldi che hai guadagnato con il sudore della fronte e ti rimpinzano di rancore e risentimento, tanto che dopo un po’ stai peggio di quando avevi cominciato, impiantando talvolta nel cervello falsi ricordi di abusi”. Professionisti che s’annidano anche dentro quel gran corpo che si è composto da ogni angolo della terra, per leggere il Vangelo sulla pelle dell’uomo che vive oggi: occorrerebbe ricordare a qualche solone più o meno imporporato di non renderlo difficile, il Vangelo – e così tradendolo e non tramandandolo; di liberarlo da quelle incrostazioni che hanno fatto dimenticare la persona affamata per privilegiare il sabato; per annunciare, una volta di più e meglio, che Dio è misericordia e non castigo. Ne saranno capaci senza scendere a falsi compromessi, ma senza ergersi ad arrocchi che negano la salvezza già in questa sovranità che qui e ora è data all’uomo dal suo Creatore? Sperare è la liaison tra fede e carità. Dunque speriamo.